Marzo 2007

L’europa utile

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L’anno della speranza
(e dei risultati)
Mario Pinzauti  
 
 

 

 

 

Per creare
le premesse per
un grande futuro, occorrerà tuttavia superare passaggi che potrebbero
essere pericolosi, come ad esempio le elezioni
presidenziali
francesi.

 

La partenza di gennaio è stata incoraggiante, l’inizio primaverile promette bene: anche se solo in estate inoltrata o in autunno potrà arrivare la certezza o meno che il 2007 sarà per l’Europa l’anno del grande rilancio. Mentre scriviamo, in piena e festosa celebrazione del cinquantesimo dei Trattati di Roma e della nascita del Mercato Comune (25 marzo 1957), le probabilità di successo sono, sulla carta, notevoli. Ma poiché nascondersi difficoltà e rischi sarebbe irrealistico, la Commissione europea ha fatto entrare in campo il Settimo Cavalleggeri dell’Unione, vale a dire l’Europa utile, quella che, come noi da qualche anno segnaliamo su queste pagine, ha lavorato molto e bene per migliorare le condizioni di vita dei cittadini e continua a farlo.
Per favorire il successo del suo intervento, quest’Europa è stata anzitutto ufficialmente e solennemente dotata di un nuovo nome. Da dicembre si chiama anche “Europa dei risultati” e da allora – per decisione della Commissione europea – ha il ruolo di principale cavallo di battaglia nell’attacco scatenato dalle istituzioni dell’Unione contro il muro dei dubbi e dei pessimismi davanti al quale l’integrazione europea è bloccata da due anni, dal fatale 2005 degli infausti referendum contro la Costituzione svoltisi in Francia e in Olanda.
È stata una scelta opportuna? E potrà sensibilmente contribuire a liberare dalle ruggini del 2005 la macchina dell’Europa politica? La Commissione europea lo spera. E lo sperano molti europeisti, prendendo tra l’altro nota del fatto che questa enfatizzazione del ruolo dell’Europa dei Risultati, o Europa utile, come noi preferiamo continuare a chiamarla, avviene mentre anche la ripresa del processo d’integrazione politica è incoraggiata da una ricca serie di fatti nuovi.

Il primo gennaio Bulgaria e Romania sono entrate nell’Unione, la famiglia comunitaria è passata da 25 a 27 membri, la sua popolazione è cresciuta da 453 milioni a 483 milioni di abitanti, l’ampiezza del suo territorio ha raggiunto i 3 milioni 970 mila 500 chilometri quadrati, 368 mila 500 in più rispetto al 2006. Con l’ultimo allargamento (il settimo dalla firma dei Trattati di Roma e la nascita del Mercato Comune) l’Europa di cui facciamo parte è diventata il più grande spazio economico del mondo; e quello dove, da oltre sessant’anni, non si combattono più guerre; e quello dove, da ormai poco meno di vent’anni, sulle macerie di una barriera che fu politica, economica, anche militare – la cosiddetta Cortina di Ferro – popoli dominati per decenni da regimi politici nemici hanno fondato un patto di collaborazione e di amicizia. Aggiungiamo che il primo gennaio la cosiddetta Eurolandia, cioè la zona euro, si è arricchita di un nuovo membro, la Slovenia, e che alla fine del 2006 l’economia europea ha potuto annunciare una contenuta ma apprezzabile ripresa, con la conseguenza tra l’altro di far uscire dal libro dei sogni la “strategia di Lisbona”, soprattutto la parte che riguarda l’impegno a creare un buon numero di nuovi posti di lavoro.
Ed ecco come e perché la cancelliera tedesca Angela Merkel, presidente di turno dell’Unione per il primo semestre del 2007, ha potuto vantare di avere qualcosa di sostanzioso in mano mentre, nel clima solenne dei vertici del cinquantenario dei Trattati di Roma, lanciava il suo appello per una sollecita ripresa del processo di ratifica del progetto di Costituzione, approvato ormai (dopo il sì della Finlandia, della Bulgaria e della Romania) da 18 dei 27 Paesi.
Dunque, anche per l’Europa politica i primi mesi di quest’anno sono stati positivi. Per ottenere che lo siano anche i mesi successivi e per consegnare alla storia il 2007 non solo come l’anno in cui si è celebrato un grande passato, ma si sono create le premesse per un grande futuro, occorrerà tuttavia superare passaggi che potrebbero essere pericolosi. Ad esempio, le prossime elezioni presidenziali francesi, da cui potrebbe uscire la spinta ad annullare il disastroso no del 2005 alla Costituzione, oppure a confermarlo, nell’uno e nell’altro caso influenzando le decisioni di una parte almeno degli altri otto Paesi oggi contrari o incerti.

È per evitare questo rischio, o per ridurlo al minimo, che la Commissione europea e gli europeisti si sono impegnati per sollecitare una grande spinta popolare per il rilancio dell’integrazione, ricorrendo alla mozione degli affetti suscitata dalle celebrazioni del cinquantenario e, più ancora, alla prova provata dell’utilità dell’Europa per i cittadini, cioè alla messa in vetrina, e con una visibilità, anzi un’enfasi, mai avutesi in cinquant’anni, dei vantaggi che il popolo dell’Unione ha ottenuto e continua a ottenere dalla costruzione di una sempre più grande casa europea.
È una vetrina che è ricchissima e che si può permettere il lusso di continui aggiornamenti. In dicembre la Commissione europea, con il suggestivo titolo “L’Europa per voi”, ha pubblicato e diffuso un elenco di dieci “azioni” a favore dei cittadini realizzate dall’Unione nel 2006. Sono azioni che determinano o determineranno presto cambiamenti radicali: come “Galileo”, il satellite sperimentale europeo che ha emesso i primi segnali l’anno scorso e diventerà operativo nel 2008, quando fornirà assistenza di navigazione al traffico terrestre, marittimo e aereo di tutto il mondo.
Sono azioni mirate a rendere più efficienti e agili tutta una serie di iniziative economiche e sociali: come quelle riguardanti i settori dei servizi, dove grazie a norme che sono state varate nel 2006 ed entreranno in vigore nel corso di quest’anno si creeranno 600 mila nuovi posti di lavoro. Sono azioni che, come altre già portate a termine in passato, tutelano la salute e la sicurezza dei cittadini, ad esempio segnalando (con il sistema “Reach”) le proprietà pericolose di 30 mila sostanze chimiche e i modi per difendersi da esse, oppure imponendo l’assoluta veridicità delle attestazioni che sulle etichette o sugli imballaggi di prodotti alimentari promettono qualità, perfino ipotetiche difese contro alcune malattie.
Sono anche azioni che – come avviene con la missione in Libano – contribuiscono a preservare la pace in nome e su mandato dell’Europa; o che, come si verifica con il lavoro di “Frontex”, la nuova agenzia europea che organizza la cooperazione nell’ambito dei controlli frontalieri, operano per ridurre l’emigrazione clandestina, per salvare le vite dei disperati coinvolti nei naufragi delle carrette del mare e per debellare la tratta internazionale di esseri umani; o che, grazie a un progetto di legge in vigore dal luglio di quest’anno, abbasseranno notevolmente, fino a un massimo del 70 per cento, i costi delle chiamate roaming, cioè fatte utilizzando il cellulare in un Paese dell’Unione diverso da quello di residenza.
Tutto questo è nel pacchetto di “azioni 2006”, di cui fanno parte anche altri vantaggi che i cittadini hanno ricevuto dall’Europa utile (ad esempio le misure per ridurre il peso economico della Pac, la Politica Agricola Comune, che nel ‘70 assorbiva quasi due terzi del bilancio comunitario e oggi costa la metà, il 37 per cento del totale, rendendo disponibili investimenti sostanziosi per l’occupazione, l’aiuto alle zone disagiate e per altri importanti interventi). E il seguito, il pacchetto 2007, ha già cominciato ad arrivare, facendosi aprire la strada da un vero e proprio colosso dell’Europa utile.

Mentre infatti si annunciava l’uscita di un opuscolo in ventidue lingue sulle “azioni 2006”, iniziavano, e in pompa magna, le celebrazioni del ventesimo anniversario di Erasmus, «un fattore chiave – per dirla con le parole di Jan Figel, commissario europeo per l’Istruzione – nell’europeizzazione del sistema d’insegnamento nell’Unione». Nato nel 1987 Erasmus ha finora coinvolto 1 milione e mezzo di studenti (di cui il sessanta per cento ragazze) e 20 mila 877 docenti in un’esperienza di studio e d’insegnamento in università di Paesi europei diversi da quelli di normale residenza. Basato su borse di studio (da tre mesi a un anno per i ragazzi, da una settimana a sei mesi per i docenti), il programma partì a passo di lumaca e tra molte diffidenze e resistenze. Il primo anno le adesioni di studenti furono 3.244, le università coinvolte in tutta l’Unione poche decine. Ma poi Erasmus mise, si può dire, le ali ai piedi. Le adesioni salirono presto a decine di migliaia, poi a centinaia di migliaia, fino a toccare il risultato complessivo di 1 milione e 500 mila (per i soli studenti) e a considerare realistico il raggiungimento nel 2012 di 3 milioni di partecipanti, con un raddoppio dunque, in cinque anni, delle adesioni messe insieme in un ventennio. Nel frattempo, la collaborazione delle università dell’Unione che aderiscono al programma è arrivata al novanta per cento del totale e i Paesi coinvolti sono saliti a 31, dato che ai 27 della famiglia comunitaria si sono aggiunti l’Islanda, il Liechtenstein, la Norvegia e la Turchia.
Tutto questo nonostante che, per i giovani provenienti dalle classi meno abbienti, l’esperienza di Erasmus sia stata tutt’altro che un periodo di piacevole alternativa alle abitudini di studio e di vita di casa propria. A tutti è stato richiesto un rapido, talvolta brusco adattamento ad ambienti, compagnie, metodi d’istruzione diversi oltre che all’esigenza di comunicare in una lingua che era familiare solo per una ristretta minoranza. Moltissimi degli studenti e delle loro famiglie hanno affrontato pesanti sacrifici economici a causa dell’esiguità delle borse di studio, tema su cui, con grande franchezza, ha recentemente richiamato l’attenzione lo stesso commissario europeo per l’Istruzione, Jan Figel, dal quale è partito un appassionato appello affinché gli importi vengano rivalutati in modo apprezzabile.
Ci auguriamo che l’Europa utile, con il sostegno dei governi dei Paesi membri, possa trovare la soluzione per questo problema e magari faccia in tempo a inserirla nel bilancio 2007 delle sue “azioni” a favore dei cittadini. In attesa che ciò avvenga, molti giovani di Erasmus si compensano, si può dire, da soli. Da un’inchiesta della Commissione risulta infatti che una notevole percentuale dei partecipanti al programma ha maggiori possibilità – rispetto ai loro coetanei – di trovare una buona e ben retribuita occupazione dopo la laurea. E anche questo è un elemento, certo non secondario, del successo di Erasmus, un’azione europea che festeggia i suoi primi vent’anni dando un bel contributo all’esito positivo della campagna in corso per ottenere il sostegno popolare all’offensiva per rimuovere gli ancora consistenti ostacoli lasciati sulla strada dell’integrazione europea dai referendum di due anni fa.
«L’Europa si sta riconnettendo con i cittadini», ha trionfalmente annunciato Margot Wallström, vice presidente della Commissione europea nel corso della presentazione dei successi 2006 firmati Ue. Ed è vero. La riconnessione è tuttavia da completare, e per farlo altri successi saranno indispensabili. Come sarà indispensabile farli conoscere al maggior numero possibile di cittadini. Per questo motivo in noi, e crediamo in molti altri, provoca grande stupore e non poca amarezza l’annuncio della prossima chiusura del Cide, il Centro Nazionale d’Informazione e Documentazione Europea, che in sei anni di vita (iniziò la sua attività nel marzo 2001) ha fornito informazioni e documentazioni utili sul funzionamento e sulle politiche dell’Unione europea a 1 milione e 300 mila cittadini, ha collaborato con 630 enti, ha organizzato 24 corsi di formazione e decine di convegni, ha pubblicato libri, ha aperto, nella sua sede di via IV Novembre, a Roma, una biblioteca che è la seconda in Italia per livello di varietà e aggiornamento di monografie specializzate dedicate esclusivamente ai temi del diritto, della politica e dell’economia dell’Unione europea, con un catalogo elettronico on line appena trasformato in un’Open Search Library.
La chiusura del Cide per tutti coloro che per ragioni di lavoro o di studio sul complicatissimo tema Europa hanno bisogno di continui aggiornamenti, chiarimenti e approfondimenti significherebbe – lo possiamo dire per esperienza diretta – la perdita di un difficilmente sostituibile punto di riferimento, tra l’altro aumentando per noi e per chi ci legge il rischio di fornire o ricevere errori, imprecisioni, omissioni. Eppure sembra che stia per avvenire.

 

   
   
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