Marzo 2007

L’analisi di Bankitalia

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Una ripresa che crea condizioni favorevoli
Mario Pinzauti Governatore della Banca d’Italia
 
 

 

 

 

 

Occorre uno sforzo simile a quello che negli anni Ottanta portò il Paese, con decisioni sofferte ma lungimiranti,
a infrangere la
rigida spirale dei prezzi e dei salari.

 

L’economia italiana continua a trarre vantaggio dal buon andamento del ciclo europeo e mondiale, benché il suo tasso di crescita resti inferiore alla media europea. Nel 2006 l’aumento del prodotto è stato poco inferiore al 2 per cento. Dal punto di vista congiunturale il miglioramento rispetto agli anni precedenti è evidente.
Ma non basta: è necessario che alla crescita, finora per lo più indotta dal buon andamento delle economie europee e di quella tedesca in particolare, si sostituisca via via una crescita interna. Ciò richiede che si avvii un processo di aumento duraturo della produttività totale dei fattori, che ristagna dalla metà degli anni Novanta. Occorre liberare le risorse materiali e soprattutto di capitale umano, in particolare quelle dei giovani, di cui il nostro Paese dispone in abbondanza. Emergono segnali positivi soprattutto nelle imprese più esposte alla concorrenza internazionale, ma è ancora difficile discernere con sicurezza l’effetto di cambiamenti di natura strutturale da quello dei fattori abitualmente osservati nelle fasi di ripresa del ciclo.

Numerosi contratti di lavoro sono già scaduti o scadranno entro la fine dell’anno. L’auspicio è che l’azione delle parti sociali conduca a una ripresa della produttività, alla crescita dell’occupazione. Vanno confermate e rafforzate le politiche di promozione della concorrenza negli ambiti in cui essa è ancora insufficiente. Gli strumenti vanno attentamente considerati: liberalizzare significa affidare la difesa del consumatore, finché possibile, all’operare della trasparenza e della concorrenza e alla tutela delle autorità competenti. L’agenda delle riforme strutturali è ancora ricca; vi tornerò in altra sede. Qui basti notare che esse sono più agevoli quando la congiuntura è positiva: l’occasione va colta appieno.
La ripresa crea condizioni favorevoli anche per proseguire nel risanamento della finanza pubblica. Questa ha beneficiato nel 2006 di una dinamica delle entrate superiore alle attese, determinata in parte dal buon andamento dell’economia. Si deve resistere alla tentazione di spendere con leggerezza l’inatteso aumento del gettito fiscale. Il debito pubblico, frutto cumulato di scelte improvvide compiute in passato, anche in anni lontani, resta molto ampio: è il maggiore in Europa in rapporto al Prodotto interno lordo. I bassi tassi di interesse che hanno prevalso dall’introduzione dell’euro hanno attenuato la percezione dell’onere che esso rappresenta per noi e per le generazioni future. La sua dimensione rende molto costoso per i conti pubblici ogni incremento nei rendimenti dei titoli di Stato; ostacola l’investimento e la riqualificazione della spesa pubblica; riduce i margini di manovra della politica di bilancio. Un abbattimento del debito nel prossimo decennio, periodo ancora relativamente favorevole sotto il profilo demografico, consentirebbe di affrontare in modo più graduale i costi dell’invecchiamento e di ripartirli in modo più equo.
Il debito pubblico può essere ridotto significativamente in tempi brevi. Si deve puntare a un bilancio strutturalmente in pareggio. Alla fine degli anni Novanta il rapporto fra il reddito e il Prodotto interno lordo era uguale in Italia e in Belgio, al 114 per cento. In Belgio il sostanziale pareggio del bilancio e una crescita maggiore di quella italiana di circa sei punti nel periodo considerato hanno permesso di ricondurre il rapporto fra debito e Pil al di sotto del 90 per cento nel 2006. In Italia è oggi al 107 per cento. Quest’anno l’incidenza della spesa per interessi sul Pil risulterà in Belgio inferiore a quella italiana di circa un punto percentuale. Una riduzione stabile del rapporto fra debito e Prodotto interno lordo richiede due condizioni: crescita e riduzione della spesa.

Il livello dell’imposizione tributaria in Italia è elevato. Penalizza le imprese e le famiglie che compiono il proprio dovere fiscale. In prospettiva, esso va moderato. I frutti della lotta all’evasione devono trovare compensazione nella riduzione delle aliquote. Si può stimare che nel 2006 le entrate delle amministrazioni pubbliche siano cresciute di circa un punto percentuale del Pil; aumenteranno ancora, secondo le previsioni, nel 2007. Uno stabile riequilibrio dei conti pubblici richiede interventi strutturali che contengano la dinamica degli esborsi nei grandi settori della spesa corrente al di sotto della crescita potenziale dell’economia. In rapporto al prodotto, la spesa primaria corrente ha raggiunto nel 2005 il livello massimo registrato nel dopoguerra; nel 2006, stando alle informazioni disponibili, è rimasta prossima a tale livello.
Nel campo della previdenza è necessario assicurare al tempo stesso una pressione contributiva non eccessiva, l’equilibrio finanziario del sistema, l’erogazione di pensioni di importo adeguato. In Italia il tasso di occupazione nella fascia di età tra i 55 e i 64 anni supera di poco il 31 per cento: oltre dieci punti in meno rispetto alla media dell’Unione europea; quasi venti punti al di sotto dell’obiettivo condiviso dall’Italia e stabilito nel 2000 dal Consiglio europeo di Lisbona per il 2010. Occorre uno sforzo di consapevolezza collettiva, simile a quello che alla metà degli anni Ottanta e successivamente con gli accordi del 1992-93 portò il Paese, con decisioni sofferte ma lungimiranti sulla scala mobile, a infrangere la rigida spirale dei prezzi e dei salari.
Grazie ai prezzi e alla qualità dei propri servizi, Borsa Italiana dispone di un importante strumento competitivo; può inoltre ancora beneficiare dei vantaggi informativi legati alla consuetudine comune a tutte le piazze finanziarie, di accentrare la negoziazione dei titoli, soprattutto azionari, sui mercati nazionali. Non potranno però non avvertirsi gli stimoli della crescente competizione. Alla lunga, le forti esternalità di rete e le economie di scala che caratterizzano i mercati finanziari, la fisiologica attrazione della liquidità verso i mercati di maggiore spessore rischiano di marginalizzare le strutture che restino isolate: così è avvenuto in Italia per le Borse regionali. Il mancato sfruttamento di economie di scala può indebolire, in prospettiva, la stessa competitività dei prezzi praticati dalla Borsa italiana.
In altri Paesi i fondi pensione contribuiscono, insieme ad altri investitori istituzionali, all’efficienza e alla liquidità dei mercati finanziari; stimolano l’innovazione e la concorrenza tra gli intermediari; aumentano le risorse disponibili alle imprese sotto forma di capitale di rischio e di prestiti obbligazionari; esercitano un vaglio continuo sulle strategie delle aziende quotate, con riflessi positivi sul grado di trasparenza e sulla qualità del governo societario. In Italia, il loro scarso sviluppo costituisce un fattore di ritardo nella crescita del sistema finanziario e nella ristrutturazione di quello produttivo. L’anticipo all’anno in corso dell’entrata in vigore della nuova normativa previdenziale è un passo nella direzione giusta.
L’impiego del Tfr nella previdenza complementare può comportare benefìci considerevoli per i lavoratori. Il raggiungimento di pensioni adeguate richiede un’accumulazione su un ampio orizzonte temporale. Sono possibili, sui mercati finanziari, strategie di investimento che consentono di ottenere, con rischi contenuti, rendimenti reali in linea o superiori a quelli garantiti dalla rivalutazione del Tfr. Su orizzonti temporali estesi, rendimenti più elevati possono essere ottenuti attraverso l’investimento in titoli azionari, anche se a costo di rischi aggiuntivi.

 

   
   
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