Marzo 2007

la vera forza del vecchio continente

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L’eurobarometro
e il sorpasso
M.B. - D.M.B.  
 
 

 

 

 

 

La lezione
dell’euro è che
uno speciale misto di visione e di
convenienza può essere l’anima della grande
politica.

 

La misurazione del gradimento/non-gradimento della moneta unica europea rileva che il 48 per cento dei cittadini del Vecchio Continente è complessivamente soddisfatto dell’euro, contro un 38 per cento sfavorevole; ma rileva anche che quella maggioranza si va progressivamente sfaldando.
Il primato degli scontenti, in modo particolare, spetta all’Italia (con un 48 per cento di “nemici” dell’euro), seguita dalla Grecia (46 per cento) e dall’Olanda (43 per cento), mentre secondo un sondaggio dell’Istituto “Tns Sofres” i francesi che giudicano l’euro come una “cattiva cosa” sarebbero saliti dal 45 al 52 per cento in tre anni, ponendosi dunque alla testa dei contestatori della divisa europea.
Eppure, c’è stata una notizia a suo modo “storica”: mercoledì 27 dicembre 2006 per la prima volta il valore delle banconote in euro in circolazione ha superato quello dei biglietti in dollari. Ebbene: soltanto cinque anni prima, a cavallo tra il 2001 e il 2002, nei giorni in cui nasceva con un’operazione di straordinaria complessità organizzativa e in un clima di sorpresa popolare, almeno due comitati d’emergenza si riunivano quotidianamente nella zona più riservata dei grattacieli di Francoforte per seguire passo dopo passo, minuto dopo minuto, l’introduzione della nuova moneta con un inconfessabile pensiero: che cosa fare, se l’operazione avesse potuto da un momento all’altro fallire?

Sulla Kaiserstrasse, dentro la sede della Banca centrale europea, erano pronti alcuni “contingency plans” che sarebbero dovuti intervenire nei sistemi dei pagamenti, e a pochi chilometri di distanza, ai confini della città, una “stanza d’emergenza” quasi identica veniva animata dai dirigenti e dai tecnici della Bundesbank, fino ad allora considerata una sorta di madre donatrice della nuova Bce. In collegamento con le altre Banche centrali, tutte le statistiche venivano incrociate per cogliere eventuali anomalie. Quelle che ci furono, (solo un paio significative), vennero risolte con interventi tecnici nel giro di ventiquattr’ore. La stampa dell’epoca non ne riportava traccia.
Ma un allarme più profondo e meno tecnico sulla sopravvivenza economica e politica dell’euro non sembra essere mai scomparso nel Sistema europeo delle Banche centrali. Avrebbe resistito la moneta unica alle divergenze strutturali dei Paesi che partecipavano all’unione monetaria? Qualche Paese – primo sospetto l’Italia – avrebbe perso il passo e si sarebbe dovuto staccare, mandando in baracca l’intera costruzione? La debolezza dell’economia europea, superata da quella americana, avrebbe tolto attrattiva e convenienza all’euro fino a farlo abbandonare?
Non si spiegava altrimenti l’ostinazione con cui le Banche centrali nazionali continuavano a trattenere nelle proprie casseforti quantità esorbitanti di riserve valutarie, la cui utilità era giustificata solo dall’ipotesi di un clamoroso collasso della moneta unica. I dati disponibili confermano che lo stato ufficiale delle riserve valutarie delle Banche centrali nazionali dell’Eurosistema è pari a 325,5 miliardi di euro, cui vanno aggiunti una quarantina direttamente a disposizione della Banca di Francoforte.
Sembra un paradosso, ma le riserve valutarie della zona euro sono aumentate del 15 per cento solo negli ultimi due anni. Già nel settembre del 1998 Romano Prodi, nell’ultimo periodo del suo primo governo, aveva lanciato la proposta di utilizzare le riserve nazionali, ritenute ormai inutili, per un piano di rilancio delle infrastrutture e dell’economia europea. La proposta, che tenne banco per giorni in tutte le Cancellerie europee, cadde progressivamente nel silenzio. E ogni volta che venne risollevata trovò l’opposizione dei banchieri centrali.

A cinque anni di distanza i dubbi sulla tenuta dell’euro appaiono assurdi. È vero che l’economia europea è stata a lungo molto più debole di quella americana, ma da alcuni mesi è tornata a crescere persino più velocemente di quella Usa. È vero che anche per l’Italia si parlava solo un anno fa, a Davos, di “rischio Argentina” e che Portogallo e Spagna sono tuttora in condizioni di ritardo e debolezza strutturale rispetto al resto dell’Eurozona.
Ma proprio l’Italia sta dimostrando la volontà di riportare ordine nei conti pubblici nonostante le difficoltà politiche. In questo momento, con il dollaro che si deprezza mese dopo mese contro l’euro, tanto che il valore delle eurobanconote in circolazione ha superato quello dei dollari, l’unico sentimento in grado di descrivere il bilancio dei primi cinque anni dell’euro a Bruxelles e a Francoforte è di soddisfazione.
La quota dell’euro nelle riserve ufficiali globali è rimasta inalterata negli ultimi anni: era il 18 per cento nel ‘99 (equivalenti alle riserve in marchi), per salire al 25 per cento nel 2003 e lì restare stabilmente. «Dalla dracma del periodo ellenistico, al fiorino dell’Impero commerciale olandese, alla sterlina del Commonwealth, fino al dollaro – ha chiarito la Bce – l’uso internazionale di una moneta è sempre andato di pari passo con il suo ruolo nel commercio. Poiché l’Europa è l’area più importante nel commercio mondiale, non sorprende l’importanza dell’euro».
I dati del Sistema europeo mostrano che la maggior parte dei Paesi dell’euro commercia anche con Paesi terzi principalmente in euro. Testimonianze di una crescente preferenza della moneta unica europea a fini turistici sono comuni in tutto l’Est, da Zagabria a Vladivostock.
Dato che, in volume, il commercio di materie prime è ancora prevalentemente in dollari, e che quindi è su tale valuta che si devono compensare gli squilibri delle bilance dei pagamenti, l’euro è ancora molto lontano dal poter diventare la prima valuta di riserva del sistema monetario globale.
Tuttavia l’annuncio da parte di Cina, Svizzera, Russia e Italia di voler diversificare significativamente le proprie riserve in dollari (i primi tre con acquisti di euro) – una pratica già massicciamente attuata dai Paesi del Golfo produttori di petrolio, e in particolare dagli Emirati – ha spostato l’attenzione sulla moneta europea come simbolo di un ruolo diplomatico “in stile svizzero” grazie a una politica estera europea più cauta e stabile di quella degli Stati Uniti.
Dal 2001 le riserve globali sono aumentate, secondo il Fondo monetario, da 2.000 a 4.700 miliardi di dollari, due terzi dei quali fanno capo a Paesi in grado di modificare gli scenari diplomatici: Cina, Taiwan, Giappone, Corea del Sud, Russia e Singapore. Senza i loro acquisti di titoli del Tesoro americano, gli Stati Uniti finirebbero in recessione. La Cina, in particolare, dispone del 22 per cento delle riserve mondiali (per il 70 per cento in dollari) e grazie ad esse è in grado di respingere le pressioni Usa per la rivalutazione del “reminbi”. Un particolare segno di debolezza ha coinciso con le difficoltà politiche del presidente Bush.
A fine novembre 2006, poco dopo la sconfitta dei repubblicani alle elezioni di medio termine, per la prima volta il dollaro ha infranto la soglia di 1,30 contro l’euro, sotto la quale era rimasto per gli ultimi sei mesi, poco sotto il minimo storico di 1,35 toccato nel 2004. Da allora, però, la Federal Reserve ha aumentato i tassi americani di 425 punti base in due anni, portandoli al 5,25 per cento, con un differenziale nominale pari a 175 punti base sui tassi euro.
Una caduta del dollaro non è però una buona notizia per l’Europa. Anni fa si calcolava che un deprezzamento del 10 per cento della divisa americana togliesse un punto di crescita al Prodotto interno lordo tedesco ed europeo. Oggi le conseguenze potrebbero essere molto più attenuate. Il legame tra la forza dell’euro e il ruolo politico dell’Europa non può dunque essere sottovalutato.
Così giunge come una coincidenza favorevole che nello stesso anno la celebrazione del lustro valutario si accompagni con quella del 50° anniversario del Trattato di Roma, da cui scaturì la Comunità, e poi l’Unione europea.
Un astrologo parlerebbe di un raro allineamento di stelle in cui tutto sembra coerente: la crescente forza dell’economia, l’affermazione internazionale dell’euro, la volontà di rivitalizzare l’integrazione politica, la presenza di leader politici filo-europei nella maggior parte dei Paesi del Vecchio Continente. La forza dell’euro potrebbe essere il simbolo di un’opportunità politica per l’Europa.
Uno scenario irrealistico? Sarà finalmente l’occasione per mobilitare le riserve valutarie europee a favore dello sviluppo economico? In fondo, la lezione dell’euro è che uno speciale misto di visione e di convenienza può essere l’anima della grande politica.

 

   
   
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