LItalia non
ha molti margini
di manovra: sta da protagonista nel
sistema-Europa,
a caccia di successi globali, oppure
rischia di subire
la competitività
ritrovata degli altri.
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Dopo sette anni magrissimi, torna la ripresa economica in Eurolandia;
e, con essa, si chiude una brutta pagina della storia europea: linsurrezione
del 2003, quando Francia e Germania decisero di imporre la legge
del più forte, affondando il Patto di Stabilità per
non subirne rigori e regole. Che ovviamente avevano violato. E che
poi hanno cambiato per trasformarlo da camicia di forza in un codice
di condotta più flessibile, e in breve più moderno.
Quel giorno, però, la certezza del diritto nellUnione
e uno dei suoi princìpi base, leguaglianza tra gli
Stati membri, vacillarono pericolosamente.
Acqua passata. Oggi la Francia, che per prima aveva sfidato il vecchio
Patto, lasciando scivolare il deficit oltre il 3 per cento per non
schiacciare più di tanto il tasso di sviluppo, è stata
anche la prima ad uscire dalla procedura anti-deficit. Poi, a maggio,
verrà il turno della Germania risanata. E lanno prossimo,
se tutto andrà bene, toccherà anche allItalia.
E forse pure alla Grecia.
Tutte le pecore nere, insomma, stanno a poco a poco rientrando allovile
della disciplina finanziaria, tutte insieme convertite al credo
del risanamento dei conti pubblici come una delle carte essenziali
da giocare nella partita della competitività globale di sistema.
Con la crescita economica, che tende a ridurre il differenziale
con quella americana, e con il calo dei prezzi del petrolio, che
aiuta a carburarla, non solo esplode dopo anni lottimismo,
ma tornano a splendere dovunque in Europa le tradizionali virtù
tedesche: bilanci stabili e moneta forte.

Se ieri per lItalia fu provvidenziale entrare nel Club
dei reprobi da buona ultima, soltanto dopo che Francia e Germania
lavevano inaugurato con gran fracasso, oggi è altrettanto
essenziale uscirne al più presto: come prevede la tabella
di marcia del nostro Paese. Però con la lucida consapevolezza
che, in unEuropa che ormai viaggia compatta verso lobiettivo
dei deficit zero nel giro di tre-quattro anni, la contabilità
in ordine è condizione necessaria, ma non sufficiente. Ci
vuole altro, infatti, per recuperare competitività e mordere
sui mercati globali, come insegna la Germania che è tornata
a fare la locomotiva dellUnione europea grazie al rilancio
degli investimenti e delle esportazioni. Il segreto? Riforme strutturali,
minori costi salariali, aumento della produttività.
Con il gigante tedesco che torna a ruggire, deciso ad ottenere il
massimo di efficienza economica, tra laltro tagliando bruscamente
gli oneri amministrativi, nazionali ed europei, che gravano sulle
sue imprese (meno 25 per cento entro il 2012, propone Bruxelles),
con la Francia che non è disposta a essere da meno e con
la Spagna che continua a tirare, lItalia non ha davvero molti
margini di manovra: salta sulla diligenza della rapida modernizzazione
del sistema-Paese a colpi di riforme strutturali coraggiose, per
stare da protagonista nel sistema-Europa, a caccia di successi globali,
oppure rischia di autocondannarsi a subire la competitività
ritrovata degli altri. A soddisfarne tutti gli appetiti senza poter
saziare i propri: non tanto per il protezionismo altrui, quanto
per mancanza dei requisiti in regola per vincere fuori dai patrii
confini.
In unarea euro che si prepara a dimenticare i deficit eccessivi
e ormai tutta proiettata nella corsa alla conquista dei mercati
globali, asiatici in testa, le riforme passano inevitabilmente sulla
prima linea del fronte, gli imperativi di Maastricht arretrano.
Ma mentre cambia lordine delle priorità, è bene
ricordare che i ritardi nelle decisioni accentuano le divergenze
di competitività tra Paesi invece di appianarle gradualmente:
gioco molto pericoloso quando le svalutazioni sono off-limits, regnano
la moneta unica e leuro forte, ed è la Banca centrale
europea a decidere la politica dei tassi, che deve andare bene a
tutti. A chi è più competitivo e a chi lo è
meno.
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