Marzo 2007

Europa e risanamento fiscale

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Rientra l’allarme deficit
Barbara Marescalchi  
 
 

 

L’Italia non
ha molti margini
di manovra: sta da protagonista nel
sistema-Europa,
a caccia di successi globali, oppure
rischia di subire
la competitività
ritrovata degli altri.

 

Dopo sette anni magrissimi, torna la ripresa economica in Eurolandia; e, con essa, si chiude una brutta pagina della storia europea: l’insurrezione del 2003, quando Francia e Germania decisero di imporre la legge del più forte, affondando il Patto di Stabilità per non subirne rigori e regole. Che ovviamente avevano violato. E che poi hanno cambiato per trasformarlo da camicia di forza in un codice di condotta più flessibile, e in breve più moderno. Quel giorno, però, la certezza del diritto nell’Unione e uno dei suoi princìpi base, l’eguaglianza tra gli Stati membri, vacillarono pericolosamente.
Acqua passata. Oggi la Francia, che per prima aveva sfidato il vecchio Patto, lasciando scivolare il deficit oltre il 3 per cento per non schiacciare più di tanto il tasso di sviluppo, è stata anche la prima ad uscire dalla procedura anti-deficit. Poi, a maggio, verrà il turno della Germania risanata. E l’anno prossimo, se tutto andrà bene, toccherà anche all’Italia. E forse pure alla Grecia.
Tutte le pecore nere, insomma, stanno a poco a poco rientrando all’ovile della disciplina finanziaria, tutte insieme convertite al credo del risanamento dei conti pubblici come una delle carte essenziali da giocare nella partita della competitività globale di sistema. Con la crescita economica, che tende a ridurre il differenziale con quella americana, e con il calo dei prezzi del petrolio, che aiuta a carburarla, non solo esplode dopo anni l’ottimismo, ma tornano a splendere dovunque in Europa le tradizionali virtù “tedesche”: bilanci stabili e moneta forte.

Se ieri per l’Italia fu provvidenziale entrare nel “Club dei reprobi” da buona ultima, soltanto dopo che Francia e Germania l’avevano inaugurato con gran fracasso, oggi è altrettanto essenziale uscirne al più presto: come prevede la tabella di marcia del nostro Paese. Però con la lucida consapevolezza che, in un’Europa che ormai viaggia compatta verso l’obiettivo dei deficit zero nel giro di tre-quattro anni, la contabilità in ordine è condizione necessaria, ma non sufficiente. Ci vuole altro, infatti, per recuperare competitività e mordere sui mercati globali, come insegna la Germania che è tornata a fare la locomotiva dell’Unione europea grazie al rilancio degli investimenti e delle esportazioni. Il segreto? Riforme strutturali, minori costi salariali, aumento della produttività.
Con il gigante tedesco che torna a ruggire, deciso ad ottenere il massimo di efficienza economica, tra l’altro tagliando bruscamente gli oneri amministrativi, nazionali ed europei, che gravano sulle sue imprese (meno 25 per cento entro il 2012, propone Bruxelles), con la Francia che non è disposta a essere da meno e con la Spagna che continua a tirare, l’Italia non ha davvero molti margini di manovra: salta sulla diligenza della rapida modernizzazione del sistema-Paese a colpi di riforme strutturali coraggiose, per stare da protagonista nel sistema-Europa, a caccia di successi globali, oppure rischia di autocondannarsi a subire la competitività ritrovata degli altri. A soddisfarne tutti gli appetiti senza poter saziare i propri: non tanto per il protezionismo altrui, quanto per mancanza dei requisiti in regola per vincere fuori dai patrii confini.
In un’area euro che si prepara a dimenticare i deficit eccessivi e ormai tutta proiettata nella corsa alla conquista dei mercati globali, asiatici in testa, le riforme passano inevitabilmente sulla prima linea del fronte, gli imperativi di Maastricht arretrano. Ma mentre cambia l’ordine delle priorità, è bene ricordare che i ritardi nelle decisioni accentuano le divergenze di competitività tra Paesi invece di appianarle gradualmente: gioco molto pericoloso quando le svalutazioni sono off-limits, regnano la moneta unica e l’euro forte, ed è la Banca centrale europea a decidere la politica dei tassi, che deve andare bene a tutti. A chi è più competitivo e a chi lo è meno.

 

   
   
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