Marzo 2007

Proposte per il futuro

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Una Finanziaria da rifare
Innocenzo Cipolletta  
 
 

 

 

 

La Finanziaria, malgrado sia
riuscita a contenere il disavanzo
pubblico, ha
sollevato più
critiche che
consensi e quella del governo
precedente finì per creare ingenti debiti sommersi.

 

L’ultima Finanziaria potrebbe essere stata veramente l’ultima della sua specie. Infatti, per evitare gli esiti infelici di una legge con un unico articolo e con migliaia di commi, e non solo questi (si pensi alla modalità del dibattito e alla confusione generata nei cittadini), il governo e il Parlamento si apprestano a cambiarne le procedure. Vale dunque la pena ricordare da dove nasce l’attuale impostazione della Legge Finanziaria e avanzare qualche proposta che potrebbe aiutare ad alleviare il lavoro dell’Esecutivo e del legislatore.
Allo stato attuale, il tormentone inizia formalmente il 15 maggio con il Dpef (Documento di programmazione economica e finanziaria), culmina con la presentazione in Parlamento della Legge Finanziaria e della Rpp (Relazione revisionale e programmatica) il 30 settembre, si dipana lungo tutto l’ultimo trimestre dell’anno per la discussione e approvazione parlamentari entro il 31 dicembre, e si esaurisce, seppure soltanto formalmente, il 31 marzo dell’anno successivo con la presentazione della Relazione generale sulla situazione economica del Paese.
Questo lungo percorso finisce per monopolizzare gran parte dell’attività legislativa in campo economico del Parlamento, genera tensioni sociali e politiche, e produce risultati non certo esaltanti. Di fatto, si finiscono per caricare sulla Legge Finanziaria tutte le aspettative e si rischia di voler fare in una sola volta tutto quello che appare necessario, con il risultato di scontentare la maggior parte del Paese, proprio per cercare di accontentare tutti.
Di qui, il ripetersi dell’assalto alla diligenza da parte di tutte le lobby e di tutte le corporazioni, le critiche, i ripensamenti. L’ultima Finanziaria, malgrado sia riuscita a contenere il disavanzo pubblico e a rilanciare il sistema infrastrutturale, ha sollevato più critiche che consensi e quella del governo precedente finì per creare ingenti debiti sommersi per non scontentare l’elettorato alla vigilia delle elezioni.

D’altronde, l’attuale assetto è ancora figlio del vecchio impianto della programmazione economica iniziato negli anni Sessanta, con il Piano Quinquennale di Pieraccini, poi proseguito con la programmazione annuale scorrevole di Ruffolo (primi anni Settanta), e culminato con la Legge Finanziaria e la Relazione revisionale e programmatica. Questo impianto, che ha svolto un suo ruolo nel passato, si basa ancora sul presupposto che la politica di bilancio dello Stato debba essere fatta essenzialmente per correggere l’andamento spontaneo dell’economia nel breve termine e ottenere risultati praticamente accettabili. Infatti, si parte a maggio con una previsione “tendenziale” dell’economia per l’anno successivo, si ipotizzano certi interventi di natura fiscale e finanziaria, e poi si produce uno scenario revisionale programmatico frutto della combinazione degli andamenti congiunturali con l’azione di governo.
Ma le cose non stanno più in questi termini, specie dopo l’adesione all’euro. Non è più – se mai lo è stato – il bilancio dello Stato che determina l’andamento dell’economia nell’anno successivo, ma è piuttosto vero l’inverso: è l’andamento dell’economia che influenza il bilancio pubblico, come abbiamo visto a più riprese, perché genera aumenti o riduzioni nel gettito fiscale, nella spesa per ammortizzatori sociali, e quant’altro.
Ciò non vuol dire che la finanza pubblica non abbia influenza sull’andamento dell’economia, ma questa influenza non si avverte nel breve termine (l’anno successivo), ma nel medio e lungo termine, perché incide sui fattori strutturali della crescita economica, attraverso la competitività delle imprese, la disponibilità di infrastrutture, la qualità e la certezza delle regole, la formazione del capitale umano, e così via.
In queste condizioni, andrebbero aboliti tutti i documenti a carattere revisionale (Dpef e Rpp), che potrebbero essere reperiti sul mercato degli studi economici o forniti periodicamente dai diversi enti o istituti di ricerca esistenti (sull’esempio della Germania), mentre la presentazione della Finanziaria andrebbe anticipata alla fine di luglio per dare tempo al Parlamento di studiarla e di proporre modifiche, utilizzando anche il periodo estivo. Il governo, poi, dovrebbe recepire quelle modifiche emerse dal dibattito che ritiene utili e sulle quali pensa di avere una maggioranza, per poi porre a votazione l’intero impianto modificato, senza più possibilità di emendamenti. L’intera operazione potrebbe concludersi in ottobre, occupando così un solo trimestre dei lavori parlamentari. Dopo sei mesi, ossia nel successivo aprile, si potrebbe fare un bilancio di assestamento per tenere conto del reale andamento dell’economia.
Il governo avrebbe così il tempo, nel corso dell’anno, di varare tutti quei provvedimenti e riforme che fanno parte del suo programma, senza dover aspettare la Finanziaria e senza caricarla di atti e normative spesso improvvisati, che invece necessitano di un maggiore spazio temporale per essere correttamente scritti e coscientemente approvati. Per questo è urgente che si metta mano subito a un nuovo impianto per la politica economica del Paese, e fanno bene governo e Parlamento a volersene occupare in tempi brevi.

 

   
   
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