Il viaggio lungo il tratturo, era detto monticazione:
le mandrie, con i pastori al seguito, lo intraprendevano a maggio,
con
la chiusura della Dogana.
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In quei giorni un denso fumo nero coprì la nostra città,
avvolgendola dun magico velo scuro, come fosse una tela di
ragno.
Quel fumo era così strano che non potevo indovinare donde
venisse, né da quale fuoco fosse originato, visto che le
fabbriche avevano spento le loro ciminiere, che gli argani non lavoravano,
le merci restavano ammonticchiate sui moli.
La legge marziale ci teneva segregati nelle nostre case, ogni circolazione
era interdetta. Tre milioni di abitanti, lorecchio incollato
allapparecchio radio regolato sulle stazioni straniere, attendevano.
Noi attendevamo, impotenti, castrati, incapaci della più
debole reazione, condannati a un incubo nel quale si confondevano
sensazioni e allucinazioni.
Il fumo avvolgeva la città con una nuvola nera-turchese,
con una minaccia di tuoni e di pioggia.
Quel fumo proveniva da mucchi di libri bruciati dai loro proprietari
per paura del potere. La città bruciava. I camini sputavano
un tale fumo, come se le nostre case fossero state trasformate in
fabbriche. Come se avessero paralizzato le fabbriche e deciso di
produrre solamente le merci necessarie ad un movimento di resistenza
passiva alla Gandhi.
La popolazione bruciava i suoi libri per evitare che le perquisizioni
provocassero più tardi unumiliazione insopportabile.
Qualcuno li bruciava per i suoi figli, un altro perché aveva
sette persone a carico, un terzo perché aveva paura della
tortura, un altro perché temeva la povertà, un altro
perché immaginava ciò che quei vandali potevano far
subire alla sua giovane moglie.
Tutti bruciavano i libri. Ma quale bisognava bruciare per primo?
Si cominciava timidamente con le opere degli scrittori locali, poi
venivano quelle dei Russi: Erenburg, Polevoi, Solochov, Majakovskij.
Ma per precauzione si bruciavano anche Cechov, Turgenev, Puskin,
Dostoevskij e Tolstoj. Si riducevano in cenere Engels, Marx e Trotzski.
Coloro i quali non avevano in casa né Engels, né Marx,
bruciavano Baudelaire, Kariotakis, Kazantzakis; si bruciava Byron,
Schiller, Solomos, Eminescu... Si bruciavano le poesie di Mao perché
bisognava bruciare qualcosa. Se si fosse incorsi in un poliziotto
ignorante? Se il capo fosse stato privo di cultura?
Hugo, Zola, Camus e Sartre, Malraux e Gide: fumo sulla città.
Si bruciavano Macrighiannis e Fotakos, Kolokotronis, Rigas, Valaoritis.
Si incenerivano Ritsos, Glinòs, Varnalis, Vutiràs,
Kosmàs Politis, si bruciavano Theotakis, Dickens, Mark Twain
e Jack London, i canti popolari di Politis perché non erano
scritti in demotico. E le fiamme si alimentavano con i francesi
Maupassant, Roman Rolland, Aragon.
La terra di Zola andò in fumo come Lidiota di Dostoevskij,
come Guerra e pace di Tolstoj, e La mia vita di Gorki uscì
dai camini con crepitii come se fosse stata vittima dei piromani
del Volga. Una nube provocatrice emanavano i versi di Varnalis,
mentre I condannati di Théotokis generava un denso fumo pieno
di passione. LEroica di Kosmàs Politis emetteva un
fumo nero pieno di forza e di gioventù come i suoi protagonisti
adolescenti, e i poemi di Majakovskij si spandevano verso il cielo
come dei fuochi dartificio. I racconti de Larmata a
cavallo di Babel proiettavano spade, mentre Per chi suona
la campana di Hemingway produceva un maschio fracasso.
Il vasaio Vasilis Zarkadis, aiutato da suo figlio Nicola, bruciava
anche lui i suoi libri nella cucina della sua casa. Aveva trasformato
la pattumiera in forno e vi bruciava senza interruzione i suoi cari
libri acquistati con il suo sangue, quei preziosi libri comprati
per suo figlio Nicola, per la speranza della sua vita.
Il figlio aiutava in silenzio. Due cumuli si elevavano sul pavimento.
Il primo si componeva di libri che Zarkadis aveva deciso di non
bruciare, qualunque cosa fosse successa.
Vasilis! lo chiamavano da fuori.
Non gridare! Che cè?
Che cosè questo fumo asfissiante che riempie
la vostra cucina?
Beh, è una cucina, è fatta per questo.
Anche tu bruci i tuoi libri, tutti quelli che possiedi, i
tuoi cinquanta libri?
Sì, anchio, in previsione di un imprevisto.
Anche tu hai bruciato Papadiamantis?
Certamente. Non si sa mai.
Hai bruciato Il sogno sulle acque?
Anche tu. Tu ne hai molti.
Parla piano.
Un momento. Vi sono novità?
Quelle che conosci. Musica marziale e tensione internazionale.
Sì, se vieni a sapere qualcosa, chiamami.
Zarkadis si rimise a scegliere i libri insieme a suo figlio. Ogni
tanto ne gettava uno nel fuoco. Esitò unora prima di
sacrificare La madre di Gorki.
Nicola disse: No, questo no, papà, non bruciarlo.
Zarkadis rilesse la scena in cui la madre accende il samovar per
offrire il the agli amici del figlio. Trascorse così quella
notte di fumo e di incubo, tra il fumo e le fiamme dei libri offerti
in pasto alla belva che divorava la nostra patria.
Sua moglie venne a cercare Nicola e gli disse: Sbrigati,
Vasilis. Perché ti attardi? Tu fai vegliare anche il piccolo.
O li bruci tutti, o non ne bruci nessuno. Essi non capiscono nulla
di queste cose. È sufficiente che vedano un libro per sospettarci.
Era lalba. Vasilis bruciò ancora alcuni libri, lentamente
e con cura, come se dicesse addio a un parente o a un amico carissimo,
a un pezzo della sua vita.
Allinizio aveva provato pena ad accendere la carta, poi era
andata decisamente meglio.
Sì, un pezzo della sua vita! Cotrombasi de Castropirgu gli
era stato donato da Maria, la studentessa dagli occhi a mandorla.
I poemi di Ghiesénin, comprati al mercato di Monastiraki,
subito dopo la grande dimostrazione delle Acciaierie.
E ancora il dono di Stavros, la Storia della Rivoluzione Francese,
di Michelet.
Attizzava quel dannato fuoco che, come un boia, non tollerava la
salvezza di nessuno. Gettava continuamente al Minotauro i suoi libri,
le sue emozioni, i suoi ricordi, la sua vita.
Quando sorse il giorno, Zarkadis continuava a bruciare i suoi libri.
Il vicino venne a domandare: Tu bruci ancora, Vasilis?
Sempre.
Tu non hai dormito, eh? Tu hai bruciato tutta la notte. Credi
di essere il solo? Il nostro vicino, il dottore, brucia i suoi libri
in lavanderia e sua moglie stende i suoi panni per dargli il cambio,
come se avesse fatto il bucato.
Ognuno fa come può.
Anche oggi noi non andremo a lavorare, né domani,
e Dio sa fino a quando. La radio annuncia che è interdetta
luscita, a rischio della propria vita. Dimmi, hai tu sentito
altro? Pensi tu che qualcuno mi convocherà per avere firmato
quella petizione? Anche tu lhai firmata. Ciò basta
per attirare il male su noi.
Anche se non ci chiamano, ciò che hanno fatto è
sufficiente.
Che cosa?
I libri. Essi ci hanno costretto a bruciare i nostri libri
, disse Zarkadis. E rientrò in casa.
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