Marzo 2007

NARRATORI DI GRECIA

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Fumo sulla città
Costas Valetas  
 
 

 

Il viaggio lungo il tratturo, era detto “monticazione”:
le mandrie, con i pastori al seguito, lo intraprendevano a maggio, con
la chiusura della Dogana.

 

 

In quei giorni un denso fumo nero coprì la nostra città, avvolgendola d’un magico velo scuro, come fosse una tela di ragno.
Quel fumo era così strano che non potevo indovinare donde venisse, né da quale fuoco fosse originato, visto che le fabbriche avevano spento le loro ciminiere, che gli argani non lavoravano, le merci restavano ammonticchiate sui moli.
La legge marziale ci teneva segregati nelle nostre case, ogni circolazione era interdetta. Tre milioni di abitanti, l’orecchio incollato all’apparecchio radio regolato sulle stazioni straniere, attendevano. Noi attendevamo, impotenti, castrati, incapaci della più debole reazione, condannati a un incubo nel quale si confondevano sensazioni e allucinazioni.
Il fumo avvolgeva la città con una nuvola nera-turchese, con una minaccia di tuoni e di pioggia.
Quel fumo proveniva da mucchi di libri bruciati dai loro proprietari per paura del potere. La città bruciava. I camini sputavano un tale fumo, come se le nostre case fossero state trasformate in fabbriche. Come se avessero paralizzato le fabbriche e deciso di produrre solamente le merci necessarie ad un movimento di resistenza passiva alla Gandhi.
La popolazione bruciava i suoi libri per evitare che le perquisizioni provocassero più tardi un’umiliazione insopportabile. Qualcuno li bruciava per i suoi figli, un altro perché aveva sette persone a carico, un terzo perché aveva paura della tortura, un altro perché temeva la povertà, un altro perché immaginava ciò che quei vandali potevano far subire alla sua giovane moglie.
Tutti bruciavano i libri. Ma quale bisognava bruciare per primo? Si cominciava timidamente con le opere degli scrittori locali, poi venivano quelle dei Russi: Erenburg, Polevoi, Solochov, Majakovskij. Ma per precauzione si bruciavano anche Cechov, Turgenev, Puskin, Dostoevskij e Tolstoj. Si riducevano in cenere Engels, Marx e Trotzski. Coloro i quali non avevano in casa né Engels, né Marx, bruciavano Baudelaire, Kariotakis, Kazantzakis; si bruciava Byron, Schiller, Solomos, Eminescu... Si bruciavano le poesie di Mao perché bisognava bruciare qualcosa. Se si fosse incorsi in un poliziotto ignorante? Se il capo fosse stato privo di cultura?
Hugo, Zola, Camus e Sartre, Malraux e Gide: fumo sulla città. Si bruciavano Macrighiannis e Fotakos, Kolokotronis, Rigas, Valaoritis. Si incenerivano Ritsos, Glinòs, Varnalis, Vutiràs, Kosmàs Politis, si bruciavano Theotakis, Dickens, Mark Twain e Jack London, i canti popolari di Politis perché non erano scritti in demotico. E le fiamme si alimentavano con i francesi Maupassant, Roman Rolland, Aragon.
La terra di Zola andò in fumo come L’idiota di Dostoevskij, come Guerra e pace di Tolstoj, e La mia vita di Gorki uscì dai camini con crepitii come se fosse stata vittima dei piromani del Volga. Una nube provocatrice emanavano i versi di Varnalis, mentre I condannati di Théotokis generava un denso fumo pieno di passione. L’Eroica di Kosmàs Politis emetteva un fumo nero pieno di forza e di gioventù come i suoi protagonisti adolescenti, e i poemi di Majakovskij si spandevano verso il cielo come dei fuochi d’artificio. I racconti de L’armata a cavallo di Babel’ proiettavano spade, mentre Per chi suona la campana di Hemingway produceva un maschio fracasso.
Il vasaio Vasilis Zarkadis, aiutato da suo figlio Nicola, bruciava anche lui i suoi libri nella cucina della sua casa. Aveva trasformato la pattumiera in forno e vi bruciava senza interruzione i suoi cari libri acquistati con il suo sangue, quei preziosi libri comprati per suo figlio Nicola, per la speranza della sua vita.
Il figlio aiutava in silenzio. Due cumuli si elevavano sul pavimento. Il primo si componeva di libri che Zarkadis aveva deciso di non bruciare, qualunque cosa fosse successa.
– Vasilis! – lo chiamavano da fuori.
– Non gridare! Che c’è?
– Che cos’è questo fumo asfissiante che riempie la vostra cucina?
– Beh, è una cucina, è fatta per questo.
– Anche tu bruci i tuoi libri, tutti quelli che possiedi, i tuoi cinquanta libri?
– Sì, anch’io, in previsione di un imprevisto.
– Anche tu hai bruciato Papadiamantis?
– Certamente. Non si sa mai.
– Hai bruciato Il sogno sulle acque?
– Anche tu. Tu ne hai molti.
– Parla piano.
– Un momento. Vi sono novità?
– Quelle che conosci. Musica marziale e tensione internazionale.
– Sì, se vieni a sapere qualcosa, chiamami.
Zarkadis si rimise a scegliere i libri insieme a suo figlio. Ogni tanto ne gettava uno nel fuoco. Esitò un’ora prima di sacrificare La madre di Gorki.
Nicola disse: – No, questo no, papà, non bruciarlo.
Zarkadis rilesse la scena in cui la madre accende il samovar per offrire il the agli amici del figlio. Trascorse così quella notte di fumo e di incubo, tra il fumo e le fiamme dei libri offerti in pasto alla belva che divorava la nostra patria.
Sua moglie venne a cercare Nicola e gli disse: – Sbrigati, Vasilis. Perché ti attardi? Tu fai vegliare anche il piccolo. O li bruci tutti, o non ne bruci nessuno. Essi non capiscono nulla di queste cose. È sufficiente che vedano un libro per sospettarci.
Era l’alba. Vasilis bruciò ancora alcuni libri, lentamente e con cura, come se dicesse addio a un parente o a un amico carissimo, a un pezzo della sua vita.
All’inizio aveva provato pena ad accendere la carta, poi era andata decisamente meglio.
Sì, un pezzo della sua vita! Cotrombasi de Castropirgu gli era stato donato da Maria, la studentessa dagli occhi a mandorla. I poemi di Ghiesénin, comprati al mercato di Monastiraki, subito dopo la grande dimostrazione delle “Acciaierie”. E ancora il dono di Stavros, la Storia della Rivoluzione Francese, di Michelet.
Attizzava quel dannato fuoco che, come un boia, non tollerava la salvezza di nessuno. Gettava continuamente al Minotauro i suoi libri, le sue emozioni, i suoi ricordi, la sua vita.
Quando sorse il giorno, Zarkadis continuava a bruciare i suoi libri. Il vicino venne a domandare: – Tu bruci ancora, Vasilis?
– Sempre.
– Tu non hai dormito, eh? Tu hai bruciato tutta la notte. Credi di essere il solo? Il nostro vicino, il dottore, brucia i suoi libri in lavanderia e sua moglie stende i suoi panni per dargli il cambio, come se avesse fatto il bucato.
– Ognuno fa come può.
– Anche oggi noi non andremo a lavorare, né domani, e Dio sa fino a quando. La radio annuncia che è interdetta l’uscita, a rischio della propria vita. Dimmi, hai tu sentito altro? Pensi tu che qualcuno mi convocherà per avere firmato quella petizione? Anche tu l’hai firmata. Ciò basta per attirare il male su noi.
– Anche se non ci chiamano, ciò che hanno fatto è sufficiente.
– Che cosa?
– I libri. Essi ci hanno costretto a bruciare i nostri libri –, disse Zarkadis. E rientrò in casa.

 

   
   
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