Poi guardano
nella lontananza. Per accompagnare chi è in mare,
per sorvegliare
il suo viaggio,
il suo tempo
dellincertezza,
il suo bisogno della terraferma.
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Una dopo laltra. Una accanto allaltra. Come creature
di pietra che aprono le braccia per difendere qualcosa, per tenere
al riparo qualcuno da unincognita, da una minaccia incombente
o remota di tempesta.
Una dopo laltra. Una accanto allaltra. Come per fermare
il vento, o almeno distoglierlo, disorientarlo, ingannarlo, domarlo,
frastornarlo aggiogarlo, come per farlo sfrenare lungo i bastioni,
fino a sfiancarsi, a dissolversi, senza entrare rapinoso
nei vichi, senza rovesciarsi bucaniere della natura
sul mare.
Una dopo laltra, accanto allaltra: a volte pitturate
con i colori delle chiese di una fiaba; con le facciate rivolte
allinfinito, intrise della salsedine di secoli.
Una dopo laltra, accanto allaltra, proteggono la città
dalla paura di una rovina, dallincubo della marea che può
sommergere allimprovviso, dallangoscia per la furia
irrefrenabile che a volte può diventare il mare.

Poi guardano nella lontananza. Per accompagnare chi è in
mare, per sorvegliare il suo viaggio, il suo tempo dellincertezza,
il suo bisogno della terraferma.
Forse dal largo del mare sintravedono. Forse sono solo una
curva di luce nel tramonto. Ma quella curva di luce basta come promessa
di pace, di ritorno.
Chiese sul mare. Chiese di Finibusterrae. Pochi passi le separano
dalla profondità, dal movimento leggero che nasconde labisso.
Una dopo laltra, accanto allaltra, le chiese di Gallipoli
custodiscono il senso del radicamento ad uno scoglio e della proiezione
verso il mare, lo stupore per loltre e la trascuranza per
il particolare. Perché in queste chiese la condizione che
ha senso è quella della complessità, quella della
connotazione umana, antropologica, culturale. Non è casuale
la contraddizione tra lesterno e linterno. La facciata
povera, umile, dimessa, viene compensata oppure smentita?
dalla preziosità dellinterno, da quella sorta
di celebrazione dellarte per la quale molte menti e molte
mani si sono poste allopera.
Forse la devozione è tutta nellesterno, nella pietra
consueta, uguale a quella di ogni altra casa. Linterno, invece,
è una manifestazione di giubilo, la sintesi dellespressione
dellarte e della fede, della filosofia e della passione del
colore. Poi forse è anche un luogo dartificio.
Linterno è unesperienza esistenziale della penombra:
in qualsiasi ora del giorno, fino a quando il vespero non si rabbuia,
in queste chiese non esiste una condizione di luce diversa da quella
della penombra.
Nella penombra le figure sulle tele sembrano muoversi come il filo
di fumo di una candela. Mentre lodore del mare si confonde
con lodore di cera. Mentre dalla porta semiaperta il vento
scivola tra gli scranni leggero come un bisbiglio di rosario.
Bisogna forse superare le categorie e le coordinate della storia
dei fatti in genere e dellarte in particolare per riuscire
a raggiungere il senso più vero, essenziale, della pittura
lavorata in queste chiese sul mare.

Forse bisognerebbe quasi violare la paternità del soggetto
per una suggestiva attribuzione ad una temperie culturale e conseguentemente
pensare che i dipinti non abbiano un solo autore ma che siano lopera
di innumerevoli mani, di colori impastati in tempi diversi, quasi
come un racconto che nasce sul porto o arriva sul porto, distante
due passi: fatto di voci su voci, di lingue familiari e forestiere.
Forse bisognerebbe pensare a questi dipinti come se fossero esiti
di anonime preghiere.
Una dopo laltra. Una accanto allaltra. Il senso del
loro ordine non è quello della progressione ma quello della
continuità e della contiguità. Il senso sta nel sentimento,
nella percezione di protezione che riescono a suscitare. Perché
forse non cè differenza sostanziale tra conoscere e
non conoscere la storia delle chiese che guardano il mare. Forse
neanche nel conoscere o non conoscere il loro nome. Si può
confondere San Francesco di Paola con Santa Maria della Purità,
San Francesco dAssisi con lImmacolata, Santa Maria degli
Angeli, il Crocefisso, il Rosario, Le Anime.
Si può confondere. Come ci si può confondere nellintrico
dei vichi che sembrano tutti uguali, tra le case che sembrano tutte
uguali, con le ore del giorno che nel borgo sembrano tutte uguali.
Quello che conta è larmonia della loro articolazione,
la semplicità della simmetria che forse traduce la linearità
di una visione del mondo, lombra che proiettano sulla strada,
che si allunga e poi precipita nel mare.
Forse è proprio questo il senso: il legame che fra terra
e mare viene rappresentato dallombra di un luogo sacro, da
qualcosa di immateriale che si ripete nel tempo, con variazioni
impercettibili.
Non cè differenza, forse, tra conoscere e non conoscere
a chi appartenessero le mani che hanno compiuto il miracolo dello
sfavillio nella Purità, che nome portasse colui che ha raggrumato
nella smorfia di Misma tutta la beffa tragica, la sarcastica sfrontatezza,
il sorriso sprezzante, probabilmente anche il dolore seppellito
nel ghigno, probabilmente anche la disperazione gabellata con una
sorta di ringhio, e il pentimento inconfessato per il male fatto
al mondo, per il peccato contro il cielo compiuto da ogni uomo di
ogni tempo e di ogni luogo.
Allora, nella penombra, nella temporalità sospesa, sfibrata,
rarefatta, il Malladrone crocefisso in San Francesco soffoca ancora
il suo pianto e urla il suo giudizio di disprezzo verso se stesso.
Probabilmente la differenza che ci può essere tra conoscere
e non conoscere i particolari di queste chiese è determinata
dalla maniera di stabilire una relazione e un confronto con i segni
del sistema simbolico-culturale dal quale proveniamo, al quale apparteniamo.
Allora che cosa può significare, ancora, in questa età,
tra le forme molteplici e i mutamenti vorticosi di questa civiltà,
linquietudine che provoca quella figura di malnato, la sua
deformità, la sua maschera ostentata. Per quale motivo
ancora chi lo guarda rimane turbato dalla sua sembianza alterata?
Forse è per il fatto che il Malladrone si propone come una
delle tante innumerevoli significazioni della Storia
o forse più esattamente del tempo che si disgrega
e dissipa le vite sotto uno sguardo che, invece, al tempo resiste
e, resistendo, deride la morte delle creature, della loro carne,
del loro pensiero.
Oppure può essere perché il Malladrone costituisce
licona del tempo mai redento, delle sfere del bene e del male
mai definitivamente identificate e delimitate, probabilmente perché
non identificabili, non delimitabili.
Una dopo laltra. Una accanto allaltra. Si ritraggono
e si prolungano nello spazio disegnato dalla loro ombra, a seconda
dellora, oppure della consistenza delle nuvole, a seconda
della luce del sole e della luna, della trasparenza o della schiumosità
del mare, del nostro modo di pensare e di abitare il confine, di
percepire e di esprimere il senso della riva, della demarcazione,
della distanza.
Una dopo laltra, accanto allaltra.
Lasciarsele alle spalle con il desiderio di tornare a rivederle,
e poi attraversare il ponte costeggiando il Rivellino per trovare
come per un caso, distrattamente la chiesa che forse
rappresenta tutte le altre, quella che più di ogni altra
si protende quasi a sfiorare lacqua. Una cappella minuscola,
quasi una fantasia della pietra, il miracolo di un altare alzato
su unonda, quasi un osso di seppia che la marea ha depositato
in quel punto.
Ma dentro cè ogni odore del mare, ogni movimento del
vento; dentro cè tutto il silenzio del tempo. È
il congiungimento della terra e del mare attraverso un simbolo semplice
e assoluto delleterno. Dentro cè tutto lo spazio
che un pensiero che prega riesce a pensare, a immaginare; cè
tutta lansia di chi chiede una benedizione prima di intraprendere
la via misteriosa del mare, il ringraziamento di chi per quella
via è ritornato.
Santa Cristina è il luogo per la preghiera dellapprodo.
Basta un passo soltanto per ritrovarsi sulla sua soglia. Per dire
di comè stato il mare, di cosa si è portato
dal mare; per dire delle paure, del sogno di casa, di donna, per
dire della solitudine, della nostalgia, del chiarore di stelle sulla
superficie che genera lillusione di poter penetrare il buio
dello sprofondo.
Santa Cristina è il luogo per la preghiera della partenza.
Per il passaggio ad unaltra condizione dellesistenza.
Questa chiesa ha un campanile che fa immaginare una vela: la condizione
di una sospensione, una relazione con il vento, con il mare, con
le braccia che innalzano o ammainano, con una direzione da seguire,
da cambiare, con unesperienza di orientamento nello spazio
infinito e nel tempo della transitorietà, con lipotesi
e la possibilità di un naufragio, di uno smarrimento.
La vela costituisce, forse, il senso di una presenza certa nellincertezza
determinata dalla vastità e dalla imponderabilità
e dalla imprevedibilità del mare.
Il rispecchiamento della forma della chiesa nel mare è la
metafora di una duplice appartenenza, di una condizione di reciprocità
che non conosce frattura, della sponda che si confonde con lacqua,
dellimpossibilità di tracciare un confine tra terra
e mare, dellorigine senza differenze. Perché lì,
in principio, era soltanto il mare. Perché lì, forse,
un giorno lontano sarà soltanto il mare.
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