Marzo 2007

Antico e nuovo

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Anatomie di liuti
Sergio Bello  
 
 

 

 

 

Si può discutere
sui legni usati,
sui diversi metodi
di invecchiamento, ma il fattore
determinante per
un violino resta
il tempo.

 

 

Si chiama Douglas Martin, ha 63 anni, di mestiere è costruttore di splendide barche a remi, ha un laboratorio incorporato nel suo cottage in stile coloniale nel Sud del Maine, nel New England. Pare che sul tavolo della sua cucina facciano bella mostra di sé una serie di prototipi di violini, di chitarre, di altri liuti, ancora non del tutto sgrossati, in legno di balsa e in fibra di grafite: alcuni presentano le tradizionali curvature e le note strozzature, altri sono notevolmente bombati e presentano fiammature accentuate, come se fossero stati montati all’incontrario.
Ebbene: Douglas Martin si dice convinto che si può migliorare il suono dei violini e degli altri strumenti utilizzando materiali diversi da quelli tradizionali, dunque con un palese sovvertimento delle antiche regole.
Sul conto di questo progettista di barche con l’hobby del liutaio girano molte leggende metropolitane. Una delle quali vuole che nel corso di un workshop un musicista stesse provando un violino, i cui incavi laterali intralciavano il movimento del polso. Senza preoccuparsi più di tanto, Martin segò l’angolo che dava impaccio e tappò la fessura con quel che aveva più a portata di mano.

Lì per lì, sembrò uno sprovveduto, abbandonato dai lumi della ragione e da quelli della conoscenza minima delle norme che presiedono alla realizzazione di uno strumento delicato come il violino. Sembrò, abbiamo detto: non fosse che nel 2005 ha presentato un suo prototipo, il “Balsa 4” in occasione di un workshop annuale all’Oberlin College, organizzato dalla Violin Society of America. E quando con questo strumento vennero eseguiti dei brani, le sue qualità si rivelarono eccellenti. Al punto che Joseph Curtin, direttore di quel workshop e liutaio di Ann Arbor (Michigan), vincitore nello stesso 2005 del “Genius award” della MacArthur Foundation per il design dei suoi strumenti, esclamò: «Da questo momento, il violino tradizionale è divenuto obsoleto».
Ma ce ne vuole ancora, perché balsa e grafite diventino i principali materiali di realizzazione di un liuto.
Certamente, dall’Australia alla Germania sono in corso ricerche e sperimentazioni per ottenere un suono sempre migliore dagli strumenti a corda. È noto che John A. Decker, fisico e ingegnere aeronavale, ha creato “Rain-Song”, una linea di chitarre tutte in grafite, che offrono ottime sonorità. Sappiamo anche che in un recente convegno in Germania Martin Schleske, notissimo liutaio di Monaco di Baviera, ha affermato che «il legno ha esaurito il suo potenziale nella prima metà del XVIII secolo». Secondo Schleske, non c’è alcun dubbio che «se Stradivari fosse vivo, con la sua curiosità innovativa avrebbe già scoperto le promettenti proprietà acustiche delle fibre di grafite, dando inizio a una nuova età dell’oro del violino».
Per il violino classico, il manico in genere è in legno d’acero; per quel che riguarda le corde, una è in acciaio, mentre le altre sono in budello rivestito di alluminio; cassa e tavola armonica sono in legno di abete, di acero, di ebano. Per gli studi “anatomici” di chitarre e violini, si analizza quanta energia viene diffusa sotto forma di note musicali e quanta viene dissipata come calore nella struttura dello strumento; e, per la direzione delle vibrazioni, si sta studiando la propagazione di queste, che si diffondono con differente velocità a seconda delle venature: nella grafite la diffusione sembra essere omogenea.

Per quel che riguarda le chitarre, ricordiamo che il più antico musico è rappresentato in un bassorilievo ittita del 1000 a.C. Ma è dal XVI secolo in poi che hanno un’evoluzione identitaria. La chitarra costruita tra il 1580 e il 1600 aveva cinque paia di corde in budello ed era decorata con fini intarsi intrecciati. La chitarra di produzione francese del 1759 aveva sei paia di corde e fu una delle prime a presentare il manico rinforzato con legno di ebano. Nel 1830 comparve lo strumento a cassa curva e a tastiera asimmetrica, realizzata a Vienna sul modello delle celeberrime chitarre di Luigi Legnani. Nel 1908 comparve la chitarra americana, tipo Martin, di chiara ispirazione europea: motivo a ricciolo e prezioso manico in cedro nero. È del 1947 la Bigsby Marce Travis, una delle prime chitarre elettriche: aveva il corpo di acero pieno, e la sua forma innovativa venne imitata a lungo. Del 1958, infine, la Gibson Flying V, a coda di rondine, prodotta in poche centinaia di esemplari dal design inconsueto, diverso dalle forme tradizionali in auge fino a quel momento. La chitarra moderna ha tre corde di nylon per le note medio-alte, e tre corde di seta rivestite di metallo per quelle medio-basse.
Comunque sia, ancora adesso, ogni mattina, il maestro Andrea Mosconi entra nella sala nella quale sono custoditi i violini, accanto al Palazzo Comunale di Cremona, li tira fuori dalle teche e li suona per alcuni minuti. Perché – sostiene – un esercizio del genere è quanto mai necessario per conservare le qualità acustiche di strumenti che sono unici. Lo sanno bene appassionati e liutai, i quali ritengono, addirittura, che la vita di strumenti del genere cominci più o meno sessant’anni dopo la loro nascita.
Un Amati, uno Stradivari, un Guarneri del Gesù, ovvero quelle che sono state definite «le macchine da suono più belle ed efficaci di tutti i tempi», avrebbero rivelato le loro caratteristiche quando il maestro liutaio era passato a miglior vita. Si può discutere sui legni usati, sui diversi metodi di invecchiamento, sui microrganismi presenti nelle acque del Po (ma scomparsi o ridotti al lumicino dopo la rivoluzione industriale e gli scarichi inquinanti nel fiume), e anche sulla qualità dell’aria e sulla qualità degli esecutori che lo hanno posseduto: ma il fattore determinante per un violino resta il tempo.
Di questo si dicono convinti i puristi e coloro i quali hanno in Cremona il tempio unico e insuperabile degli strumenti. Non a caso è stato scritto (da Gianni Sibilla, in L’industria musicale, edito da Carocci) che andare in un concerto ci fa riconoscere a noi stessi. E dal momento che una storia sta per cominciare, andremo ad ascoltarli e a scoprirci con violini non più di legno. Solo che per giungere alle conclusioni occorrerà tempo. Tanto tempo. Moltissimo tempo.

 

   
   
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