Presto sarà necessario decidere se lEuropa
incarni ancora la forza di unidea politica, etica, culturale
comune, oppure se la sua costruzione sia opportunistica, arida,
e infine scettica
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La splendida cornice del Campidoglio romano, con i rintocchi della
sua campana, la celebre Patarina, il 25 marzo di mezzo
secolo fa rappresentò lo sfondo per la firma dei Trattati
che diedero vita alla Comunità Economica Europea e allEuratom
da parte della Germania, della Francia, dellItalia, dellOlanda,
del Belgio e del Lussemburgo. Il sogno antico di unificare il Vecchio
Continente si pensi alla Giovane Europa fondata
da Giuseppe Mazzini nel 1834 diventava una grande realtà.
Una realtà economica, soprattutto, fondata sul libero mercato
di merci e di capitali, e sul movimento interno delle persone; ma
anche, nella prospettiva dei Paesi fondatori, una futuribile realtà
politica e istituzionale.
Parziale, però; non priva di ambizioni e di resistenze. Nel
1954 il veto di Parigi aveva bloccato la nascita della Ced, la Comunità
europea di difesa, che Alcide De Gasperi voleva non solo come una
mera riorganizzazione sovranazionale di tipo militare. Inoltre,
lo scenario internazionale, con la Guerra fredda che contrapponeva
le democrazie occidentali al blocco dominato dallUnione Sovietica,
tagliava fuori la parte di Europa centro-orientale che faceva capo
a Mosca. Quel respiro a due polmoni, che Giovanni Paolo
II avrebbe poi auspicato con forza, era ancora unutopia inimmaginabile.

Nel nostro Paese i Trattati di Roma incontrarono, al momento della
loro ratifica in Parlamento, il voto contrario del Partito comunista
di Togliatti, mentre le valutazioni dei socialisti di Nenni furono
più articolate e si tradussero nella scelta dellastensione.
Come ha ricordato il presidente Napolitano, «quel voto fu
ancora intriso di pregiudiziali ideologiche, che conducevano a previsioni
catastrofiche sul fatale cammino, in seno alla nascente Comunità
europea, delle forze monopolistiche e su un impatto devastante del
processo di integrazione per parti fondamentali delleconomia
e della società italiana».
Comunque, con quei Trattati prese il via il processo di Unione europea
che, sia pure a zig zag, vede attualmente ladesione di 27
Stati. Con le firme di quel fine marzo di cinquantanni fa,
i Sei Paesi fondatori, divisi storicamente, (e anche accanitamente
contrapposti, come nel caso della Francia e della Germania), si
mettevano alle spalle uninterminabile epoca di guerre, di
orrori infiniti, di devastazioni di territori con milioni di vittime
civili, di nazionalismi e di totalitarismi esasperati, per guardare
a unEuropa unita e libera, come si era espresso
nel 1941, dal confino di Ventotene, il Manifesto di
Altiero Spinelli e di Ernesto Rossi.
Negli Stati Uniti, dove si era rifugiato, fu Jean Monnet a perseguire
il sogno di un modello funzionale europeo, con lintroduzione
di elementi di sovranazionalità in singoli settori produttivi
che avrebbero trovato concreta attuazione con la Ceca, la Comunità
economica del carbone e dellacciaio. Ma saranno tre grandi
leader cattolici, Konrad Adenauer, Robert Schuman e Alcide De Gasperi,
insieme con un liberale di antica tradizione filo-europea, lallora
ministro degli Esteri Gaetano Martino, a dare con grande realismo
una dimensione più politica al progetto continentale. Nel
1955, a Messina, proprio sotto la presidenza di Martino, una conferenza
dei Sei Paesi, allindomani del fallimento della Comunità
europea di difesa, decideva di avviare una più ampia intesa
doganale ed economica. Un diplomatico inglese presente a quella
riunione aveva osservato, (ma guardando in modo particolare alla
situazione del suo Paese): «Non ne verrà fuori nulla.
E se venisse fuori qualcosa, non sarebbe nulla di buono».
Il tempo avrebbe ampiamente smentito questa previsione. Al Mec e
allEuratom fecero seguito linsediamento a Bruxelles,
nel gennaio 1958, della Commissione, e, in ottobre, la costituzione,
a Lussemburgo, della Corte europea di giustizia. Fra laltro,
i Trattati indicavano tra gli obiettivi anche le elezioni dirette
del Parlamento, lintroduzione della moneta unica e, in una
prospettiva non remota, il varo di una Costituzione europea.
Dopo il 1989 e il crollo del Muro di Berlino e dellormai decrepita
Cortina di ferro, si avviò il processo di allargamento dellUe
ai Paesi dellEuropa centro-orientale. Nel frattempo altri
partner, compreso il Regno Unito, si erano di volta in volta aggregati
ai Paesi fondatori.
Tuttavia, la strada per passare da unUnione tenuta insieme
dalleconomia, cioè dallEuropa dei mercati e dei
mercanti, allUnione politica istituzionale vera e propria
sarà tuttaltro che agevole. La bocciatura del Trattato
costituzionale da parte degli elettori francesi e olandesi, le riserve
e anche le opposizioni che emergono in altri Stati, indicano che
il processo può essere rallentato, e per qualche tempo anche
arrestato. Ma, in ogni caso, non cancellato. Mezzo secolo fa, i
Trattati diedero vita a unEuropa simile al mitico «è
un po aquila, è un po cavallo, ma intanto vola,
anche se non sempre alto». Ed è proprio questo, nel
momento in cui i Sei sono diventati Ventisette, il problema del
futuro prossimo: far volare lircocervo, perché strada
facendo si trasformi in Pegaso.
Se, infatti, lEuropa è una comunanza di valori di civiltà,
secondo la recente formula di Václav Havel, nella quale rientrano
la libertà individuale, la democrazia, lo Stato di diritto,
la società civile, i diritti e i doveri, ne consegue che
la casa europea può e deve essere costruita non
già prescindendo da essi, né distorcendoli, ma soltanto
sulla loro base, e che in una comune politica europea ci si batta
e ci si assuma la responsabilità per laffermazione
di questi valori, perché lidentità del Vecchio
Continente non perda credito allinterno e oltre i confini
europei. E se come ha scritto il giuspubblicista tedesco
Ernst-Wolfgang Bockenforde le nazioni dEuropa dureranno
ancora a lungo, anche nella loro forma e organizzazione politica,
ma spogliate della pretesa di risolvere sovranamente, da sole, tutti
i problemi delleconomia e della sicurezza, allora il loro
raccogliersi in ununione politica deve assumere il carattere
di una forma e unità sovrastanti le loro peculiarità,
non assorbirle o farle economicamente svanire. Vi sono ragioni sufficienti
per prendere molto sul serio il monito lanciato poco prima di morire
da Jean Monnet, il padre del piano Schuman e dellUnione mineraria:
«Se dovessi rifare tutto quanto, comincerei dalla cultura».
Una moderna visione dellEuropa dovrà immaginare, e
realizzare, il trasferimento del centro di gravità per lulteriore
integrazione soprattutto dato lattuale livello delleconomia,
che non andrà intaccato nel campo delleducazione
e della cultura. Non per creare un uniforme paesaggio culturale
europeo, ma per evolvere e far crescere una comune coscienza continentale
proprio nella molteplicità culturale che contraddistingue
i popoli europei, e per conservare in vita e trasmettere la base
culturale e spirituale dellEuropa.
Il discorso è complesso, perché porta a chiedersi
in che cosa consista questa base cultural-spirituale, e quale sia
la sua portata. Certamente, vi rientrano i valori del Cristianesimo
che allidentità e alla cultura europee hanno dato unindelebile
impronta oggi per alcuni insidiata, per altri arricchita
dalla laicizzazione ma anche il razionalismo, lIlluminismo
e le forme multiple della società civile. Occorre fare un
discorso coraggioso: non ci troviamo di fronte a un Europa
latina soltanto, perché i Ventisette includono pure
terre e mentalità che sono state segnate da scismi e lotte
per le investiture, da separazioni tra Stato e Chiesa, da una Riforma
e da una Controriforma, e dallidea di libertà politiche
generate dalla storia delle rivoluzioni, quella francese e
per quel che riguarda le mie personali convinzioni soprattutto
quella americana. E la scommessa è di federare, concertandole,
tutte le diversità, e di fondere orchestrando anche
questi tutti gli aspetti in realtà complementari che
contraddistinguono il ricchissimo crogiolo delle civiltà
del Vecchio Continente.
Proprio non so dire da dove adesso possa venire la spinta ad agire,
come la si ebbe al tempo dellistituzione dellUnione
mineraria. In ogni caso, presto sarà necessario decidere
se lEuropa incarni ancora la forza di unidea politica,
etica, culturale comune, oppure se la sua costruzione sia fondamentalmente
opportunistica, arida, e infine scettica, cioè si occupi
solo, ed egoisticamente, della correttezza fiscale e del profitto
economico.
Se, in occasione del 50° anniversario
dei Trattati, i Governi dellUnione desiderano avvicinarsi
ai loro cittadini, come possono escludere un elemento essenziale
dellidentità europea qual è il Cristianesimo,
in cui una vasta maggioranza di loro continua a identificarsi? Non
è motivo di sorpresa che lEuropa odierna, mentre ambisce
a porsi come una comunità di valori, sembri sempre più
spesso contestare che ci siano valori universali e assoluti? Questa
singolare forma di apostasia da se stessa prima ancora che da Dio
non la induce forse a dubitare della sua stessa identità?
Non si può pensare di edificare unautentica casa comune
europea trascurando lidentità propria dei popoli di
questo nostro Continente. Si tratta infatti di unidentità
storica, culturale e morale, prima ancora che geografica, economica
e politica. Unidentità costituita da un insieme di
valori universali, che il Cristianesimo ha contribuito a forgiare...
Sotto il profilo demografico, si deve purtroppo constatare che lEuropa
sembra incamminata su una via che potrebbe portarla al congedo dalla
storia.
Joseph Ratzinger
Papa Benedetto XVI

Con lunanimità
e senza risorse in bilancio non ci può essere unione. Questa
proposizione è, a mio giudizio, la chiave di tutte le analisi,
di tutti i problemi irrisolti, di tutte le occasioni mancate dellEuropa:
sicurezza, difesa dellambiente, politica estera, immigrazione,
grandi infrastrutture continentali, ricerca, fissazione delle frontiere...
Ogni unione è composta di tre elementi: il bene comune (la
cosa pubblica), la capacità di decidere, i mezzi per agire.
Quanto alla cosa pubblica, già nei Trattati attuali è
esaurientemente enunciata. Se i Trattati europei sono posti a confronto
con le Costituzioni dei principali Stati democratici moderni, non
vi si trovano differenze o lacune significative. In essi vi è
lelenco completo dei beni comuni che ci si attende di trovare
in una Costituzione vera e propria: pace, diritti della persona,
democrazia, prosperità, solidarietà sociale, protezione
dellambiente, e via dicendo. Degli altri due elementi, invece,
lEuropa di oggi è insufficientemente dotata: la piena
capacità di decidere e i mezzi per agire.
Tommaso Padoa-Schioppa
Riflettendo sul 50° anniversario dellUnione
europea, involontariamente ci si rivolge agli avvenimenti della
storia. Un tempo la spada del legionario unì sotto il potere
di Roma lenorme spazio dalla Bretagna fino ad Atene, da Rein
fino alla Penisola Iberica. Da quel momento sono passati duemila
anni. LEuropa sopravvisse alle guerre distruttive e al crollo
degli Imperi. Essa conobbe la dittatura dei tiranni e lorrore
del nazismo. Ma nello stesso tempo visse lepoca del Rinascimento,
fece crescere i germogli della democrazia. Proprio qui
furono formulate le grandi idee dellUmanesimo e dellIlluminismo,
che cementarono le fondamenta della civiltà europea.
Come succede spesso, la storia ha fatto una svolta straordinaria
proprio a Roma. In questa Città Eterna, cinquantanni
fa sono stati firmati i Trattati che hanno dato inizio alla nuova
Unione dei popoli dEuropa, allUnione che si basa non
sulla forza e sulla costrizione, ma sulle aspirazioni e sui valori
comuni. In quel tempo, mezzo secolo fa, i Trattati di Roma erano
realmente innovativi, quasi rivoluzionari. Molte ferite della Seconda
guerra mondiale non si erano ancora del tutto rimarginate. Ma i
Paesi che hanno firmato i Trattati sono stati capaci di dimostrare
la volontà politica per elaborare, superando i grovigli del
passato, una strategia solidale della collaborazione e dellintegrazione.
Il progetto di unEuropa stabile, prosperosa e unita corrisponde
ai nostri interessi... Voglio sottolineare che lo sviluppo dei rapporti
di ogni genere con lUe costituisce la scelta di principio
della Russia.
Vladimir Putin
Come Parlamento europeo
puntiamo a salvare la sostanza del Trattato costituzionale, cioè
la prima parte con le necessarie modifiche e la seconda con i nostri
valori. Della terza parte bisogna salvaguardare il 25 per cento
che è connesso alla prima. Il resto, la descrizione della
legislazione esistente, non necessariamente. Questo zoccolo rappresenta
una base adeguata per unUnione trasparente e democratica.
Se questa impostazione sarà alla fine approvata, lEuropa
farà un grande passo avanti.
Hans-Gert Poettering
Presidente del Parlamento europeo
La migliore prova di vitalità dellUnione europea,
a cinquantanni dalla sua nascita, è data dallacceso
dibattito, che da Roma soprattutto promana, sui valori etici e sui
fondamenti religiosi. Non ci si batterebbe affinché vengano
riconosciuti determinati valori, capaci di orientarne lo sviluppo,
se si considerasse quella costruzione decadente, priva di futuro.
È un dibattito essenziale per dare più anima e più
vigore allUe. Nobile nella preoccupazione spirituale che lo
muove e lo illumina, ma che potrebbe risultare nefasto se fosse
visto come occasione di protagonismo da personalità e partiti
attenti alle proprie convenienze, forse ancor più che allidentità
spirituale dellEuropa del futuro.
Mario Monti
Nellodierno, critico contesto multipolare,
lunificazione europea ci consente di giocare un ruolo che
in passato, agli albori del conflitto tra Oriente e Occidente, nessuno
avrebbe potuto immaginare. Allinizio, lEuropa rappresentava
una risposta alle difficoltà nazionali; oggi, quando riflettiamo
sul futuro dellEuropa, la nostra attenzione si concentra più
sulle sfide provenienti dallesterno... Il mercato unico non
è stato un gioco a somma zero. Ha implicato diversi benefici
per tutti gli Stati membri. Una cornice costituzionale attorno alle
politiche comunitarie, invece, richiede una comune volontà
politica che vada al di là del riconoscimento di vantaggi
ai vari Stati membri. Ovviamente, i nostri governi non sono ancora
in grado di raggiungere un accordo sullobiettivo ultimo: il
vero significato del progetto europeo... Il modello
di Stato-nazione non è superato. Gli Stati-nazione rimangono
gli attori più importanti sulla scena internazionale. E sono
parte integrante, insostituibile delle organizzazioni internazionali...
A dover cambiare e in Europa è già successo
è limmagine che gli Stati-nazione hanno di sé;
difatti, devono imparare a considerarsi non tanto attori indipendenti,
quanto membri di una comunità più estesa che, in quanto
tali, si sentono tenuti a conformarsi a regole comuni.
Jurgen Habermas
Non credo che lEuropa
stia uscendo dalla storia: al contrario, credo che ne stia costruendo
finalmente una migliore, senza le guerre devastanti e fratricide
che lhanno segnata nel secolo scorso. In questo passaggio,
è evidente che la fede conserva un ruolo, ma non credo che
sia un ruolo politico. Quella dellEuropa di oggi non è
lapostasia della storia, ma la ricerca di una nuova storia...
La menzione già esistente nel testo della Costituzione europea,
che riconosce il contributo dato dalle religioni allidentità
europea, mi sembra sufficiente. Altrimenti entriamo in un ambito
storico, e allora accanto ai valori della tradizione cristiana bisognerebbe
anche condannare i molti misfatti perpetrati in nome di quei valori,
dalle guerre di religione ai roghi, e così via. Oggi cè
molta confusione fra una presunta giusta laicità
e il laicismo...
In ogni caso, sono felicissimo che si stia realizzando unEuropa
dallAtlantico agli Urali. Le chiese hanno fatto gesti positivi,
come il reciproco annullamento delle scomuniche fra cattolici e
protestanti. Ma non hanno dato risultati significativi. Dal punto
di vista religioso, il Continente resta diviso. E il processo dunificazione
è tutto politico. Non credo che si possa dire che è
il Cristianesimo che sta unendo lEuropa.
Predrag Matvejevic´
Il vuoto della retorica europea colpisce soprattutto
allindomani dellentrata a gamba tesa del pontefice...
LEuropa avrebbe forse potuto rispondere diversamente, senza
scatenare guerre laiciste, ma con la serenità di un soggetto
forte del suo radicamento democratico e cosciente delle difficoltà
dellagenda politica e identitaria che ci attende nei prossimi
anni. Avrebbe potuto farlo, ma ha scelto il conforto della retorica,
verso se stessa e verso il mondo... Se le difficoltà aumentano,
si abbondi pure con lunguento consolatorio. È il rischio
di unUnione europea modello Amish, beatamente
chiusa in se stessa a contemplare le proprie fortune e le proprie
sicurezze mentre il motore del progetto comunitario si fa sempre
più stanco. E mentre tuttintorno a noi il mondo avrebbe
bisogno proprio dallEuropa di un supplemento di leadership
e dimpegno. Ma forse è solo colpa dellatmosfera
di festa obbligata, di quelle ricorrenze in cui ciascuno di noi
dà sempre il peggio di sé.
Andrea Romano
La spinta esasperata
al soggettivismo ha tolto agli europei la capacità di ragionare
in termini collettivi. Ma poi, forse sarebbe più giusto chiederci:
che cosa è, oggi, lEuropa? La verità è
che non sappiamo dire: Noi europei . Siamo milioni
di individui e non unidentità collettiva. Lallargamento
dissennato dellUnione europea ci espone a rischi enormi. La
vecchia Comunità a Sei mi dava un senso di identità
che oggi, a ventisette, stento a ritrovare. Chi siamo? Lo ripeto:
vedo un presente fatto di soggettivismo e individualismo. Un insieme
di persone che non sono in grado di darsi un futuro collettivo...
Per superare lindividualismo e il soggettivismo dobbiamo lanciare
un nuovo messaggio collettivo. O, meglio, dobbiamo creare un futuro
collettivo. Questo è un tema vero, sul quale discutere e
ragionare. E questo, tutto sommato, può essere il frutto
maturo di un processo storico che ha terminato la propria corsa.
Giuseppe De Rita
Quando ci si interroga sullidentità
dellEuropa, troppo spesso si ricercano origini comuni o elementi
di un patrimonio condiviso: e si dimentica che lEuropa che
emerge nel corso dellEtà moderna è il frutto
dellincontro fra tradizioni, identità, culture differenti,
destinate ad amalgamarsi lentamente e in modo assai imperfetto nel
corso dei secoli. La crisi di stallo che lUnione europea sta
vivendo in questi ultimi tempi ha dato inizio a una riflessione
intorno al suo futuro, ma anche sul tema delle radici... Il rapporto
stretto tra Europa e Mediterraneo consente di ridisegnarne unidentità
che riproponga come centrale la sua origine mediterranea, vale a
dire la grande cultura ellenistica nata dalla rivoluzione politico-culturale
eurasiatica di Alessandro e ripresa in termini specifici dalla tradizione
di pensiero romana avviata allinterno del Circolo degli Scipioni,
maturata con lesperienza democratica e imperiale di Cesare
e culminata in due grandi eventi epocali: la Constitutio Antoniniana
del 212, e la cristianizzazione dellImpero.
Ma una lettura euromediterranea della storia europea conduce fatalmente
a riconsiderare lo stesso ruolo dellIslam: non più
secolare nemico dellOccidente, bensì forza
religiosa e culturale che ha ampliato verso Est i confini della
cultura ellenistica; che ha consentito nuove forme di sintesi filosofico-scientifica;
che attraverso il modello politico ottomano ha rimodellato lesperienza
di governo romano-orientale trasmessa dai bizantini; che è
stato uno dei fattori fondanti della modernità, spingendo
gli europei allavventura oceanica del Cinquecento. Allindomani
della caduta dellImpero romano nella sua parte
occidentale sono state fondamentali le grandi migrazioni dal Nord
e dallEst... A partire dal X-XI secolo, tuttavia, il rapporto
con il Mediterraneo tornò ad essere al centro della vita
europea.
Franco Cardini
LEuropa è
impensabile senza le radici cristiane, duemila anni di Cristianità
lhanno forgiata, lhanno edificata, ne hanno costituito
la mentalità di fondo. Non sarebbe pensabile lEuropa
senza le cattedrali e i martiri, senza gli ospedali e gli amanuensi,
la cultura benedettina e la carità cristiana; e anche in
negativo le sue pagine sono state segnate dal Cristianesimo, tra
persecuzioni, inquisizioni e cacce alle streghe. LEuropa non
si può neanche pensare come soggetto civile, politico, culturale,
senza il triplice richiamo alle radici greche, romane e cristiane,
ovvero il pensiero e la polis greca, il diritto romano e lidea
di Stato e di Impero romano, e la civiltà cristiana, il pensiero
e la fede cristiana. Se cè un sentire comune, una base
popolare allidea dEuropa, passa da queste radici. Che
non possono essere messe sullo stesso piano di altre esperienze
religiose, culturali e civili che sono state più marginali,
minoritarie o sopraggiunte in secoli più recenti... Il discorso
nasce dal riconoscimento della realtà, un fatto storico tangibile
e concreto, unEuropa di fatto: nel bene e nel male la Cristianità
permea diffusamente il corpo, lanima e la mente europea...
Non riusciremo mai a fondare davvero lEuropa se non riconosceremo
i tratti costitutivi della sua civiltà, le sue radici e i
suoi motivi culturali e civili, etici e religiosi. Senza quelli,
lEuropa resta una mera espressione geografica.
Marcello Veneziani
Forse soltanto Milan Kundera, con la sua insostenibile
leggerezza, potrebbe trovare il linguaggio giusto per definire la
Dichiarazione di Berlino sui cinquantanni dellEuropa.
Una dichiarazione senzanima, senza passione, rivelatrice di
un malessere esistenziale che non sembra trarre alcun insegnamento
dal mezzo secolo di conquiste celebrato dove un tempo sorgeva il
Muro.
Il documento predisposto dalla padrona di casa, Angela Merkel, certo,
non manca di entusiasmo quando si volge al passato. Ma la sfida,
dopo quasi due anni di paralisi imposta dalle bocciature francese
e olandese, era quella di cominciare a guardare al futuro. E qui
tali e tante sono le divisioni, tali e tante sono le inconciliabilità
concettuali esistenti tra i Ventisette, che la Cancelliera tedesca
merita ogni elogio per essere riuscita ad evocare una vaga «rinnovata
base comune» da mettere a punto prima delle elezioni parlamentari
europee in programma nel 2009...
Per un insieme di ragioni che comprende il maxiallargamento del
2004 temerariamente portato a termine prima del riassetto istituzionale,
i Ventisette somigliano oggi alla celebre formula che Zhou Enlai
dedicò a sovietici e americani negli anni della prima distensione:
dormono nello stesso letto, ma non fanno gli stessi sogni.
Gli inglesi, con altri, non pensano e non credono al progetto di
Europa politica che ispirò i Sei fondatori, in Polonia e
in altre contrade dellEst il nazionalismo degli oppressi non
si è ancora stemperato, il vecchio asse portante franco-tedesco
è in crisi da anni, barriere condizionanti vengono alzate
persino in Olanda... E la vera questione che lEuropa del reale
pone ai suoi membri, allora, stride terribilmente con le luminarie
celebrative di Berlino: si vuole salvare lunanimità
e trasformare lUnione in un Villaggio Potemkin destinato ad
essere travolto nel mondo multipolare e globalizzato ormai alle
porte, oppure gli integrazionisti più convinti metteranno
sotto controllo i dissensi che lacerano anche loro e troveranno
la forza di costituirsi in avanguardia?
Franco Venturini
LEuropa ha fallito... LEuropa ha commesso
numerosi errori e continua a commetterne. Non ha un piano, non sa
che cosa vuole, elabora una Costituzione che alcuni Paesi rifiutano,
entra in crisi, non sa come risolverla. Vuole essere un contrappeso
nel gioco mondiale della politica. Ma non ha consistenza. Siamo
passati da 12 a 15, poi a 25, fino a 27. E adesso, chissà,
entrerà la Turchia. Uno è portato a chiedersi: invaderemo
lAsia? Tutto è Europa? Comè che la Turchia
è Europa? Serve unoperazione di prestidigitazione mentale
per convincerci che la Turchia è Europa. E poi: quando uno
scrittore come Orhan Pamuk viene costretto ad abbandonare la Turchia,
cè di che preoccuparsi...
È molto chiaro ora che sarà la Germania a guidare
lEuropa, secondo criteri che speriamo siano comunitari. Anche
se sappiamo che ogni Paese continua a difendere i propri interessi
esclusivi, egoistici, e in fondo non si preoccupa molto dellEuropa,
ma di che cosa se ne può ricavare per il proprio sviluppo.
Sono sintomi abbastanza inquietanti...
José Saramago
Benedetto XVI è
tornato sui tre punti centrali in cui vede la malattia mortale del
continente europeo.
Il primo è la crisi demografica, che «causa
enormi difficoltà alla coesione sociale», ma soprattutto
rivela che lEuropa «sta perdendo fiducia nel proprio
avvenire», né vede nei suoi governanti chi sia in grado
di rassicurarla... In secondo luogo, lEuropa vive una «singolare
forma di apostasia da se stessa, prima ancora che da Dio»,
nel senso che «dubita della sua stessa identità».
La radice di questa apostasia è la paura non solo del Cristianesimo,
ma di una legge morale condivisa che simponga a tutti, credenti
e non credenti. Persa nel relativismo, lEuropa dubita che
i valori che emergono dalla sua storia siano valori universali.
Così, non è in grado di difenderli quando sono aggrediti
da chi è portatore di altri valori opposti e incompatibili,
e reagisce proponendo un «bilanciamento di interessi»...
Il terzo aspetto della crisi europea è il laicismo delle
istituzioni e delle leggi, che «nega ai cristiani il diritto
stesso dintervenire come tali nel dibattito pubblico»
Il relativismo, dopo avere corroso la fede, oggi attacca anche la
ragione e nega «lesistenza certa di una natura umana
stabile e permanente, fonte di diritti comuni a tutti gli individui,
compresi coloro stessi che li negano...». Anche qui, lappello
ai cristiani presenti nella vita pubblica perché «difendano
strenuamente» la verità, e la condanna di chi accetta
«compromessi sui valori essenziali come quelli sulla vita
e sulla famiglia».
Massimo Introvigne

LEuropa non nasce da eventi interni alle
aree abitate o invase dai tanti popoli esistenti nel suo spazio
geografico. Dalla Palestina il Cristianesimo, da Bisanzio il Diritto
romano furono gli assi lungo i quali si andò svolgendo la
civilizzazione dei popoli europei. La predicazione del Vangelo insegnò
ai barbari le virtù della mitezza, dellamore del prossimo
e dei lontani, finanche dei nemici. Le opere di pietà alleviarono
la povertà, le sofferenze delle malattie, le sfortune e le
ingiustizie dellesistenza. La grande eredità della
cultura greco-romana fu preservata e tramandata, insieme al lascito
particolarmente prezioso nelle scienze esatte di quella araba. La
logica occidentale si costruisce nelle università francescane
della Sorbona e di Oxford. San Tommaso accoglie Aristotele nel pensiero
cristiano insegnando dalle cattedre di Parigi e di Napoli. Le abbazie
benedettine facevano rinascere la conoscenza perduta degli attrezzi
e delle tecniche evolute dellagricoltura romana, e con essa
restituivano alla fertilità terre desertificate, o sommerse
da paludi o coperte da foreste. La vita cittadina risorse in quei
luoghi che la regressione barbarica aveva devastato e ridotto in
rovina.
Alla riorganizzazione amministrativa, giuridica, politica degli
Stati, come a quella economica e domestica dei privati contribuì
il Diritto romano, anchesso annodato al Cristianesimo, come
svela il proverbio medievale, che del diritto autore è luomo,
della giustizia Dio. Finché non si giunge allo scisma che
divide lEuropa in due, luterana a Nord, cattolica a Sud. E
poi alla reattività cattolica al pensiero scientifico e filosofico
moderno, con errori che la Chiesa stessa oggi ha riconosciuto. La
secolarizzazione della mente, dei costumi sociali, la laicità
dello Stato sono svolgimenti che chiamano in causa il Cristianesimo,
lo avversano, ma ne derivano. Non si dà identità alla
storia dEuropa, prescindendo dal Cristianesimo...
Anche la fede vive nella storia, e la storia va ricordata e vissuta
insieme. Un Dio nascosto nellintimità di una coscienza
muore con quella, e a poco a poco non abiterà più
nella società che lo ha dimenticato.
Francesco Paolo Casavola
I meno pessimisti osservano
che tutti i passi verso lintegrazione sono stati sempre lenti.
Per esempio, levoluzione dei Trattati, dopo quello fondamentale
di Roma del 1957, si è sviluppata ciclicamente ogni quattro
o cinque anni: Maastricht nel 1992, Amsterdam nel 1997, Nizza nel
2001. La regolarità di questi cicli politici si è
quindi interrotta bruscamente nel 2005, col ripudio francese e olandese
del Trattato costituzionale, concepito e proposto agli europei come
fondamento basilare di uno Stato federale, o meglio confederale,
destinato ad estinguere orgogli e pregiudizi dei vecchi e ormai
impotenti Stati nazionali.
Tutto il 2006 si è svolto sotto la cappa del naufragio costituzionale,
immobilizzando il dinamismo unitario e fomentando i mai sopiti istinti
egocentrici nei vecchi Stati dellOvest europeo e in quelli
rinnovati dellEst. Dopo Berlino, ora è da vedere se
larresto ha segnato soltanto uninterruzione momentanea
dei cicli confederativi o se, invece, si trasformerà in un
immobilismo cronico e quindi, in parole povere, in una rinuncia
generale dei Ventisette allidea stessa di unEuropa compatta,
riformata, moderna: unancella sussiegosa ma disarticolata
e periferica negli scenari planetari del XXI secolo.
Enzo Bettiza
Al di fuori della tigre irlandese,
diventata tale dopo aver adottato con decisione politiche liberiste,
e della Gran Bretagna, che cresce a ritmi accettabili, i Paesi nordici
sono emersi dalle gravi recessioni di inizi anni Novanta con rinnovata
energia. Come? Hanno adottato politiche liberiste nei mercati del
lavoro e dei beni, seppure con ben congegnati sistemi di sicurezza
sociale.
La Germania è riuscita ad ampliare le quote di mercato allestero
grazie alla moderazione salariale, ma questa non sarà sufficiente
senza riforme più incisive del mercato del lavoro...
In Europa ci sono poi i Paesi problematici. Il Portogallo è
in una situazione tale per cui rischia (esso sì, non lItalia)
di uscire dalleuro. Aumenti salariali non accompagnati da
guadagni di produttività e forti incrementi di spesa pubblica
hanno messo in ginocchio la sua economia. La Francia appare irriformabile,
visto che qualunque tentativo di liberalizzazione viene accolto
dalla guerriglia urbana... Intanto i Paesi dellEuropa centrale
e orientale continuano a crescere a ritmi sostenuti...
Insomma, lEuropa cresce un po più che nel disastroso
primo quinquennio del secolo. Invece di cantar vittoria, sarebbe
il momento di consolidare i risultati con le riforme di cui tutti
parlano e (quasi) nessuno fa. Oppure ci si può accontentare
di andare avanti sul sentiero del basso sviluppo, preparandosi al
declino relativo dellEuropa occidentale.
Alberto Alesina
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