Per non fermare
il treno della
globalizzazione,
indispensabile sarà un delicato gioco di equilibrio, simile
a quelli
il cui fallimento
ha già provocato
tante calamità.
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Il capitalismo globale è sostenibile nella sua forma attuale,
oppure sono necessarie nuove regole di governo a livello internazionale?
Guardare alla globalizzazione del passato può aiutarci a
rispondere. Nei cinquantanni che precedettero il 1914 leconomia
mondiale si era integrata, e soltanto di recente siamo tornati ai
livelli di allora. Perché la globalizzazione ha impiegato
tanto tempo prima di farsi rivedere in scena? La globalizzazione
odierna è forse più fragile? Se così fosse,
si dovrebbe dedicare una maggiore attenzione ai delicati equilibri
tra potenziali vincitori e potenziali vinti, tanto negli Stati Uniti
che in Europa.
La prima globalizzazione funzionava in modo semplice quanto brutale.
La partecipazione di quasi tutti i Paesi, tranne la Cina e la Persia,
al gold standard rendeva salari e prezzi estremamente flessibili:
non era insolito che scendessero del 30-40 per cento in tre-cinque
anni. Allora predominavano le imprese di piccole dimensioni, e i
lavoratori non erano organizzati; quando la domanda scendeva e la
disoccupazione aumentava, prezzi e salari diminuivano.

Prima del 1914 la democrazia era leccezione, non la regola,
e anche gli ordinamenti politici più rappresentativi limitavano
il suffragio a una parte (un terzo, e in alcuni casi ancora meno)
della popolazione. Negli anni Venti il meccanismo di aggiustamento
classico si inceppa. I progressi in campo economico e politico ostacolano
ora, invece di agevolarli, i processi di aggiustamento che adattavano
le economie nazionali alle condizioni internazionali. Nei Paesi
industriali predominano le grandi aziende e si affermano le organizzazioni
dei lavoratori; gli operai si sono conquistati il diritto alla contrattazione
collettiva. Sia le aziende sia i lavoratori sono così in
grado di contrastare lazione delle forze di mercato: questo
era lo scopo dichiarato dei sindacati e leffetto reale delloligopolio.
Cambiamenti analoghi erano avvenuti in politica. Lestensione
del suffragio cambia in modo radicale lequilibrio politico
delle moderne società industriali. Gli operai in Europa ormai
erano rappresentati da grandi partiti socialisti e comunisti; molti
partiti socialisti europei negli anni Venti partecipavano alle coalizioni
di governo. I leader non potevano più aspettare che leconomia
andasse a posto per conto suo; ora dovevano fare i conti con le
richieste degli operai, dei contadini e dei ceti medi (ci fu chi
le ignorò, ma con le ripercussioni terribili che sappiamo).
Oggi per vincere le resistenze alla globalizzazione ci si affida
soprattutto al tentativo di convincere la gente che le difficoltà
non sono niente in confronto ai benefici a lungo termine portati
dallintegrazione economica internazionale. I benefici complessivi,
però, sono accompagnati da costi pesanti. Nei Paesi sviluppati
i lavoratori qualificati temono labbattimento delle barriere
commerciali verso i Paesi ricchi di manodopera non qualificata.
Negli Stati Uniti due tendenze importanti hanno implicazioni gravi
per il ruolo dellAmerica nel mondo, e di conseguenza per il
futuro della globalizzazione. La prima è il deterioramento
nella distribuzione del reddito: dopo decenni di arretramento della
disuguaglianza, la sperequazione è cresciuta in modo pressoché
continuo dal 1973 ad oggi. Negli ultimi quindici anni la posizione
relativa dei lavoratori non qualificati si è stabilizzata
(a un livello molto più basso di un tempo), ma il reddito
delle fasce medie continua a diminuire rispetto alle fasce ricche.
Il fattore che più ha inciso è determinato dai compensi
ai manager.
Lostilità verso limmigrazione e le importazioni
dai Paesi poveri è motivata in parte dai timori dei lavoratori
americani non qualificati, che vanno a unirsi allapprensione
diffusa nella classe media, soprattutto ora che sono a rischio anche
molti posti di lavoro nel settore dei servizi, prima considerati
al riparo dalla globalizzazione. I lavoratori a medio reddito potrebbero
risentire dellafflusso di immigrati qualificati, specialmente
nei settori ad alta tecnologia. Questa pressione rafforza ulteriormente
la tradizionale ostilità nei confronti degli incrementi delle
tasse, soprattutto quando è abbinata alla percezione che
i ricchi «non stanno facendo la loro parte».
La seconda tendenza importante delleconomia Usa è quella
che il resto del mondo chiama squilibrio macroeconomico globale.
Due componenti, la politica fiscale e lafflusso di capitali
dallestero, hanno giocato un ruolo fondamentale nellespansione
economica americana. Questo afflusso di capitali, fra le altre cose,
ha mantenuto il dollaro più forte. La forza relativa del
dollaro è stata associata, negli ultimi dieci anni, a un
incremento dei prezzi di beni non scambiabili, in particolare degli
immobili. Lespansione del mercato immobiliare, a sua volta,
ha contribuito a un generale sentimento di prosperità, che
ha in parte mitigato linsoddisfazione per laumento della
disuguaglianza. Il boom dellimmobiliare ha avuto un effetto
importante in termini di benessere, consentendo a molti americani
della classe media di ottenere soldi in prestito offrendo come garanzia
il valore sempre maggiore dei loro immobili.
Gli squilibri attuali consentono agli Stati Uniti di vivere al di
sopra dei propri mezzi, ma sono insostenibili. Quando non reggeranno
più, le tensioni latenti relative alla globalizzazione quasi
certamente aumenteranno.
Che cosa occorre fare, allora, per non far fermare il treno della
globalizzazione? Innanzitutto, evitare di far troppo affidamento
sulla capacità del mercato di risolvere tutti i problemi,
e sul sostegno di chi trae beneficio dalleconomia globale.
Ma è necessario anche evitare di arrendersi ai fautori del
protezionismo. Sarà indispensabile un delicato gioco di equilibrio,
simile a quelli il cui fallimento ha già provocato tante
calamità.
La prima cosa da fare è costruire e mantenere in funzione
un ordine politico ed economico internazionale funzionante e integrato.
Sarà sottoposto a minacce continue, sia da parte dei tradizionali
avversari economici, sia da parte di una vasta gamma di forze geopolitiche,
ideologiche, religiose, che si oppongono alleconomia globale
per principio o per interesse. I fautori di uneconomia internazionale
aperta debbono lavorare di concerto per costruire una struttura
di governo stabile ed efficace per le interazioni economiche internazionali.
La seconda parte del gioco di equilibrio consiste nel creare e mantenere
condizioni politiche ed economiche interne che consentano un sostegno
duraturo agli impegni internazionali. Questo comprende la consultazione
dei gruppi sociali interessati, lintroduzione di compensi
per i gruppi ai quali viene richiesto di sacrificarsi, interventi
mirati per rendere più facili le transizioni, e tutto ciò
che occorre per mantenere la stabilità politica e sociale
necessaria perché le economie politiche nazionali possano
raccogliere i frutti dellintegrazione economica internazionale.
Non esiste una formula magica che renda facile ai governi combinare
impegno allapertura economica e attenzione ai timori legittimi
degli elettori nazionali danneggiati dalleconomia internazionale.
È impossibile individuare in anticipo le politiche ideali
per un qualsiasi gruppo o Paese: questo è un compito che
spetta ai sistemi politici nazionali. In base allesperienza
del secolo passato, però, sappiamo che la posta in palio
è nientemeno che la pace e la prosperità di milioni
di persone in tutto il pianeta.
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