È fondamentale che le forze
dellordine
e la magistratura
riconoscano
che la pirateria
è un reato serio,
come lo spaccio della droga e la tratta di esseri umani, che frena
la crescita in Italia.
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Il governo italiano stima che pirateria e contraffazione causino
alle aziende danni tra i cinque e i dieci miliardi di euro lanno,
con circa quarantamila posti di lavoro di qualità persi oppure
non creati. La sola industria del copyright in Italia lamenta perdite
per due miliardi di euro lanno. Ciò è allarmante
e insostenibile. Sappiamo che il crimine organizzato gestisce gran
parte dellillegalità in questo settore. I contraffattori
guadagnano cifre immense. Evadono le tasse, frenano la crescita
economica e creano un danno allimmagine del Paese. Mentre
limmigrato che vende prodotti contraffatti allangolo
della strada ci può anche ispirare simpatia, la verità
è che dietro tutto questo vi è spesso la criminalità
organizzata.
In Italia esistono buone leggi contro la pirateria e la contraffazione;
le forze dellordine, come la Guardia di Finanza, danno unalta
priorità alla lotta a tali fenomeni; è stata anche
creata la figura dellalto commissario per la lotta alla contraffazione.
Anche i sindacati cominciano a percepire il serio impatto negativo
di tali crimini sul mercato del lavoro. Tutti condividono che il
furto della proprietà intellettuale indebolisce leconomia,
ha un impatto negativo sul mondo del lavoro ed è un pericolo
per il consumatore.

Vi sono leggi che tutelano tutti i tipi di proprietà intellettuale.
Perché non sono applicate? Mentre lItalia ha capito
lentità del danno causato dalla pirateria e dalla contraffazione,
ancora troppi, nel governo, in Parlamento, nelle forze di polizia
e nella magistratura, lo percepiscono come un reato assolutamente
minore, e magari anche come una sorta di ammortizzatore sociale.
È fondamentale che le forze dellordine e la magistratura
riconoscano in pieno il fatto che la pirateria è un reato
serio parallelo allo spaccio della droga e alla tratta di
esseri umani che frena drammaticamente la crescita economica
in Italia. È fondamentale anche che pene severe siano applicate
ai trasgressori, come per altri reati gravi. Minimizzare tali crimini,
solo in apparenza meno malvagi, è una rinuncia alla legalità
e mette a rischio la nostra sicurezza. Una tolleranza male intesa
erode il senso della legalità nella società, e distrugge
le nostre economie.
Ma la protezione della proprietà intellettuale è una
questione di livello internazionale. I falsi provenienti dalla Cina
e da altri Paesi invadono lItalia e minano lattività
delle aziende legali. La Cina, lIndia, il Brasile e altre
nazioni devono combattere la pirateria nei propri confini. Dobbiamo
insistere perché questi Paesi, membri dellOrganizzazione
mondiale per il commercio, osservino le regole.
Per molti anni si è ritenuto che la protezione del diritto
di proprietà intellettuale fosse un interesse esclusivo degli
Stati Uniti: oggi è evidente che la protezione di tali diritti
è altresì importante per lItalia ed è
fondamentale per la sua crescita. Società evolute come Italia
e Stati Uniti basano sempre più il loro futuro sullinnovazione,
sulle idee e sulla qualità, sempre meno sulla produzione
industriale di vasta scala. La pirateria è un danno economico
immediato, ma ancor di più è il furto del nostro futuro.
Come ambasciatore americano, offro la collaborazione della missione
diplomatica in Italia per promuovere, insieme alle autorità
italiane, la protezione della proprietà intellettuale, in
Italia e a livello internazionale, in modo da migliorare le nostre
culture e il nostro futuro: insieme.
Le città invisibili
Se non ci avesse già pensato ventanni fa il regista
John Carpenter, quel che è accaduto a Milano si potrebbe
giustamente intitolare Grosso guaio a Chinatown, proprio
come il film, dove i due protagonisti, per liberare una bellissima
ragazza dagli occhi verdi, si perdono nei labirinti di una medina
gialla nella quale tutto può accadere. Proprio tutto.
Perché il mistero e lintrigo, così come il sospetto
con cui si difendono dai ficcanaso, nelle Chinatown del mondo, sono
un dato di fatto. Esattamente come lodore di wang tong
fritti che ti viene incontro nel capoluogo lombardo, in via Sarpi
e dintorni, dove è scoppiata la rivolta. Non per nulla è
nata qui, nel 68, la prima associazione commerciale e industriale
dei cinesi. Presidente e fondatore, il signor Hu Xizhen. Gli asiatici
residenti in Italia sono quasi 215 mila.
Da un rapporto della Facoltà di Scienze statistiche dellUniversità
di Milano Bicocca emerge che gli immigrati cinesi sono oltre 168
mila (irregolari e clandestini sono difficili da censire) e costituiscono
il cinque per cento dei 3.357.000 stranieri residenti in Italia.
Sono cifre, queste, che aiutano a tracciare una mappa che da Milano
ci conduce direttamente negli altri grandi insediamenti cinesi nel
nostro Paese: in Toscana, nel Lazio, nellEmilia Romagna. In
Toscana la comunità cinese è di oltre 35 mila persone.
A Firenze, trionfo della griffe contraffatta, la presenza cinese
è del 15,8 per cento. Il consolato di Firenze è più
importante dellambasciata della Cina a Roma.
La maggior parte dei cinesi è arrivata in questa regione
negli anni Ottanta ed è a Prato che si tocca l81 per
cento delle presenze, col rischio costante di una collision
course con la popolazione locale, come è accaduto non
molto tempo fa, quando due gruppi, uno cinese e uno italiano, si
sono affrontati con bastoni e spranghe. Un segnale allarmante, confermato
dallUnione industriali dellarea: «I cinesi non
rispettano le regole che noi siamo invece chiamati a non valicare.
Loro si possono permettere di fare cose che noi non ci possiamo
permettere. La comunità cinese ha tanto denaro: ma che colore
ha questo denaro?».
Varcato larco di pietra arenaria della trecentesca Porta Pistoiese,
ci si rende subito conto che la comunità cinese, a Prato,
è una città nella città. In un Comune di 180
mila abitanti, i cinesi con regolare permesso di soggiorno sono
11.680, più che a Firenze (10.712), più che a Milano
(10.716), più che a Roma (6.293). I bambini nati a Prato
da genitori cinesi sono già 1.300.
Nella Chinatown, però, i pratesi non ci vanno volentieri.
«È un po come sentirsi stranieri in casa propria»,
è la sintesi del pensiero generale. Tanto che il sindaco
è stato costretto a firmare unordinanza contro la pessima
abitudine di tanti orientali di sputare per terra e di orinare dove
capita, spedendo i vigili a farla rispettare. I cinesi di giorno
lavorano nei capannoni e la sera in via Pistoiese riempiono i locali
con linsegna del Drago. Già, perché la via Pistoiese
è diventata larteria-simbolo delle Chinatown in Toscana.
E Prato la capitale dei cinesi in Europa. Su 7.000 imprese della
provincia, più di 1.500 sono cinesi: una concentrazione senza
pari nel Vecchio Continente. Vittima della concorrenza cinese, che
le è costata 4.800 posti di lavoro in due anni, Prato è
turbata dagli imprenditori del sud della Cina.
Dalla Toscana allEmilia Romagna. A Bologna, dove la Chinatown
locale si estende fra via DellArca, via Procaccini e via Corticella,
i cinesi sono stati tra i primi ad arrivare. A Villa Tocchi, concessa
dal Comune in zona Corticella, ci si occupa dellorganizzazione
di feste e incontri, e si è aperto un centro di ascolto,
ma in concreto non è che sotto le due Torri si faccia tutto
alla luce del sole. Un ingente traffico di bevande cinesi illegali
è stato scoperto di recente.
E non è stata la prima volta. I sequestri di merce cinese
illegale a Firenze, come a Bologna e a Roma, riguardano soprattutto
giocattoli, pelletteria, calzature, abbigliamento. Nascosti nelle
Chinatown in capannoni intestati a prestanome.
In compenso, a Roma, dove la comunità cinese si concentra
nel quartiere Esquilino, a ridosso della Stazione Termini, vige
una tolleranza eccessiva: si vuol far credere che la Chinatown romana
sia un esempio di integrazione e pacifica convivenza, ma la realtà
è ben altra. AllEsquilino i cinesi hanno colonizzato
lintera area commerciale.
Vendono per lo più merci contraffatte, che arrivano con grossi
container a Fiumicino o a Civitavecchia. E da qui parte lintero
smercio in tutta la Capitale. Il carico-scarico di merci è
senza soluzione di continuità. Del resto, secondo stime dellanno
scorso, condotte dalla Questura, ci sarebbero a Roma 20.000 cinesi
irregolari. Trecento sono i residenti allEsquilino, anche
se poi sono in 2.000 a lavorare abusivamente e a vivere in locali
subaffittati.
La sorpresa, più che i pugni, i lanci di oggetti e i blocchi
stradali emersi il 12 aprile nel corso della rivolta della Chinatown
di Milano, è stata quella dei drappi rossi, le bandiere della
Repubblica popolare cinese, comparse in pugno a una comunità
ritenuta (evidentemente a torto) anche troppo tranquilla. Decine
di negozianti immigrati di via Sarpi e di via Bramante le hanno
tirate fuori dagli armadi in pochi secondi, per colorare di ideologia
la protesta contro una pattuglia di agenti che intendeva imporre
una multa. Gli eredi di chi anni fa era fuggito dalla Cina miserabile
e isolata per motivi politici, o se ne era andato in cerca di libertà
economica, si son voluti scontrare con la polizia di un Paese che
li ha ospitati e che ha cercato di far applicare le proprie leggi.
Ora, è vero che in Italia la legalità è purtroppo
un principio astratto, ma cercare di far rispettare alcune norme
fondamentali è alla base di ogni civile convivenza. Per questo
il fil rouge che collega le bandiere della sommossa
milanese con la protesta ricattatoria del diplomatico cinese che
presume di agire nelle città italiane come fosse dalle parti
di Piazza Tien an-Men è il segnale che è cambiato
il mondo e, con esso, i cinesi stanziati in Italia, i quali hanno
visto la rinascita del loro Paese al modo di quella di un colosso
ingombrante sulla scena economica e politica planetaria, e pertanto
non si sentono più gli immigrati diseredati e famelici di
un tempo, ma i figli di una nazione risorta dalle rovine della sua
tragica storia. E tuttavia, da qui a proclamarsi intoccabili e a
percepire se stessi come vittime di xenofobia, ce ne corre. Anche
perché essi sanno, e lambasciatore cinese non può
ignorare, che la Cina vince in casa e fuori grazie allinarrestabile
flusso di merci contraffatte, al lavoro oscenamente sottopagato,
al lavoro minorile, al lavoro con orari indegni di una normativa
umana, alle produzioni inquinanti, e a mafie (come le Triadi) al
confronto delle quali quelle di casa nostra semplicemente impallidiscono.
Napoli insegni: qui la mafia cinese si è accordata con la
camorra, per gestire in parallelo il fiorentissimo mercato dei falsi.
Poi si è alleata anche nel traffico e nello spaccio di droga.
Infine è approdata nel lucrosissimo traffico di clandestini.
Dunque, non manifesta né si rivolta, perché il business
è gigantesco. Le bandiere rosse con le stelle dorate, qui,
sono ancora riposte nei cassetti.
Galassie etniche
Quando vennero mandati via da Ponte Vecchio, a Firenze, anche su
sollecitazione degli orafi che vedevano colare a picco il loro commercio
di oreficerie raffinatissime, per via dei traffici di bigiotterie
contraffatte e di gioielli per modo di dire venduti
sottocosto, misero in scena furibonde manifestazioni, poi si spostarono
poco più in là (non più di tanto), visto che
altre celebri aree fiorentine erano già infestate da marocchini,
senegalesi, egiziani, sudanesi, algerini, ivoregni, medio-ed-estremo
orientali di tutte le etnie, persino tagiki, uzbeki e turcomanni.
Siamo il più grande centro mondiale daccoglienza, è
vero, anche se non possiamo permetterci il lusso di mantenere tutti,
sempre, e senza limite. Ma il problema non è solo questo.
È che gli extracomunitari (quasi tutti ambulanti), in gran
parte clandestini, ritengono di poter creare ovunque, a loro piacimento,
e impunemente, delle zone franche, e a dir loro che non possono
degradare zone di particolare interesse artistico, storico, paesaggistico,
si corre il rischio di passare per razzisti, soprattutto a causa
di un pilatismo becero messo in campo da istituzioni locali e nazionali,
da associazioni caritatevoli e da predicatori di ideologie umanitarie
ed egualitaristiche.

Così, nel nostro sciagurato Paese assistiamo allallargamento
a macchia dolio degli scempi perpetrati in nome di una carità
pelosa degna daltra causa. Si faccia un breve giro di osservazione.
A Ponte SantAngelo, in quel di Roma, a due passi da San Pietro,
e nelle fasce adiacenti, è fiorito un enorme suq. Di fronte
allArena di Verona, idem: gli ambulanti sono stati mandati
via più volte, e puntualmente si sono riorganizzati e ripresentati,
incuranti delle ingiunzioni di espulsione ricevute. Piazza dei Miracoli,
a Pisa, poi: un multiplo assolo unico al mondo, già imbrattato
nelle strade che ne costeggiano le mura, e dentro, al cospetto del
Duomo, del Battistero e della Torre Pendente, uninterminabile
serie di baracche con cianfrusaglie e merci falsificate, mentre
per i prati e i marciapiedi vagolano altri venditori di tutto e
del contrario di tutto: e questo non è solo un modo di banalizzare
un paesaggio darte che un Paese civile (ma il nostro lo è
più?) difenderebbe con i denti, è anche la presa datto
(da parte degli occupanti, che ne sono consapevoli e orgogliosamente
determinati a perseverare) della de-sacralizzazione progressiva
del gran recinto cattolico. Provatevi a impiantare una baracchetta
dentro larea di una moschea, in qualunque terra musulmana:
nel giro di pochi minuti, finite decapitati o massacrati nel nome
di Allah.
È unilaterale, infatti, lo spirito di tolleranza predicato
da chi informa di pensiero debole (se pensiero ha) e di pervicace
agnosticismo il proprio e laltrui comportamento. Accade così
che chiunque approdi in qualche modo nelle nostre città si
senta in diritto di creare enclaves etniche, quartieri-ghetto, repubbliche
anarchiche, down-town eslege, zone franche mafiose,
contando su una tracotanza messa in atto più per la nostra
debolezza istituzionale e culturale che per la loro forza mercenaria.
Smarrendo la nostra autorevolezza, il nostro orgoglio di civiltà,
la nostra identità, continuiamo a consentire immunità,
impunità, continuità di presenza e di azione a chiunque
pretenda solo diritti (non è dato sapere in nome di che)
e ignori doveri. È in questo modo che non cè
piazza intorno a un duomo, a una cattedrale, a un monumento darchitettura,
a un centro storico (da Torino a Siena, da Venezia ad Ascoli Piceno,
da Bologna a Pescara, da Bari a Cosenza, a Palermo, a Cagliari)
che non sia butterato da mercati straccioni, da merci fasulle, da
irregolari terzo-e-quartomondisti, che minano i sistemi di lavoro
e di produzione regolari e leciti e alimentano su piani paralleli
cartelli del crimine di cui proprio non sentiamo alcun bisogno.Rischio-banlieue
Almeno per ora, rischio limitato, ma non del tutto scongiurato,
e dunque è necessario prevenire, prima di dover affrontare
situazioni di emergenza, come potrebbe accadere già in quartieri-ghetto
come quello in via Anelli, a Padova. Qui, ma anche in altre città,
quel tipo di quartieri, nei quali la separazione dal resto del mondo
è totale, ci sono già, squallidi esempi di autismo
urbano.
Eccole, queste aree di confine. Torino: Barriera di Milano, quartiere
simbolo dello sviluppo industriale della città e roccaforte
della classe operaia; lafflusso di immigrati è divenuto
imponente già dagli anni 50-60, ma è cresciuto
a dismisura con larrivo di extracomunitari negli ultimi dieci
anni. Genova: Begato, quartiere con forte divisione tra larea
di edilizia privata e il quartiere Diamante a residenza pubblica.
Milano: ex Zona 13, che comprende quattro aree diverse (Bonfadini-Taliedo,
Forlanini-Monluè, Ponte Lambro e Zama-Salomone) e ha una
forte componente industriale-operaia e di immigrati. Bologna: Navile,
zona ad elevata concentrazione di aree dismesse, con popolazione
giovanile ad alti livelli di disagio. Firenze: Isolotto-Torri Cintoia,
quartiere segnato da uno sviluppo urbanistico dalla logica funzionalista
con blocchi abitativi di bassa qualità. Roma: Esquilino,
con impronta multietnica marcata dalla presenza cinese; per i romani
il quartiere centrale Piazza Vittorio è un
rione di periferia in centro, mentre per gli immigrati
è un centro delle periferie. Napoli: Scampia,
con declino simbolizzato dal fallimento delle Vele, unità
abitative di concezione razionalista, oggi icona dellabusivismo
e dellillegalità. Bari: San Paolo, centro di edilizia
popolare edificato in una logica di pura monofunzionalità,
diventato presto mero dormitorio e area di emarginati. Palermo:
Zen, nel quale non è stata mai completata la fase di urbanizzazione,
sicché il quartiere soffre sia della carenza di servizi essenziali
sia di vuoto istituzionale, riempito dalla mafia. Catania: Librino,
nato negli anni Settanta come città satellite e pretenzioso
progetto avveniristico, immediatamente colato a picco.
Qui, e altrove, gli errori e i fallimenti delle pianificazioni urbane
degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso rischiano di sommarsi
agli errori già compiuti e ripetuti di politiche urbane parziali
oppure banalmente miopi, in un quadro complessivo di povertà
economica, urbanistica, istituzionale, socio-culturale e di relazione.
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