Il Mediterraneo
è stato sempre
il luogo
della diversità,
la cultura italiana
è stata sempre
figlia del rispetto
e del bricolage
della diversità.
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Vorrei cominciare con una riflessione di metodo, proprio per delimitare
un tema che certamente non sarà né facile né
breve: il rapporto tra i popoli del Mediterraneo e il ruolo della
cultura italiana.
Il rapporto fra i popoli del Mediterraneo è sempre stato
segnato non tanto da una convergenza, quanto da una differenziazione
profonda. Il Mediterraneo è sempre stato un mare chiuso,
un mare sul quale hanno gravitato milioni di persone, un mare in
cui la diversità si è espressa in maniera assolutamente
brutale: non cè popolo mediterraneo che sia uguale
allaltro nel corso dei secoli. Il marocchino è estremamente
diverso dal tunisino; il libico e legiziano non hanno molto
a che vedere tra loro. Se osserviamo gli israeliani, i libanesi,
i turchi, i siriani, i greci, gli albanesi, i popoli slavi, gli
ex cecoslovacchi e, passando per lItalia tutta intera come
Penisola, andiamo verso la Francia e la Spagna, troviamo popoli
diversi. E se pensiamo a illustri antenati, le diversità
fra gli antichi greci e i fenici, fra i cartaginesi e gli etruschi,
erano molto forti. Invece di avere una forza aggregante, il bacino
del Mediterraneo ha sempre espresso il senso della diversità.

Anche coloro i quali hanno pensato al Mediterraneo come al luogo
di riferimento e di unità di una cultura non hanno mai potuto
negare che il Mediterraneo sia fonte di diversità. E probabilmente,
se ci pensiamo bene, la cultura è diversità, non omologazione.
La cultura autentica è la capacità di esprimere una
differenziazione, unarticolazione di valori, di idee, di comportamenti:
altrimenti, lunica cultura sarebbe quella dei mass media.
La televisione omologa, uniforma, rende tutti uguali, semi-bambini
e semi-rimbambiti. E questa sarebbe cultura? No. La cultura consiste
nello sforzo che ciascun popolo e ciascun segmento sociale ha fatto
proprio per essere diverso dallaltro. Per questo lunificazione
del Mediterraneo non si è realizzata mai. Non con i fenici,
con i cartaginesi, con gli egizi, con i greci. Non con la potenza
spagnola né con quella francese. Noi italiani, per fortuna,
forse, non siamo mai stati potenti, se non quando eravamo romani,
quando cioè abbiamo lasciato in retaggio le basi delle lingue
romanze e del diritto. Ma nessuna delle grandi forze che hanno attraversato
il Mediterraneo negli ultimi tremila anni ha mai saputo dare unità
totale a una realtà, come quella continentale, tanto complessa.
Non cè stata unidea di Mediterraneo unitario
derivante dalla forza o dal potere.
Questa assoluta diversità di popoli mediterranei è
una ricchezza da conservare, non un pericolo da evitare con lomologazione
o con presunti primati di altre culture. La ricchezza dei popoli
consiste nella loro diversità culturale. Ciò significa,
naturalmente, che i rapporti devono essere molto più forti:
non lunificazione, ma la crescita delle relazioni diventa
lelemento fondamentale della cultura moderna.
Esprimere tutti la medesima cultura, essere tutti alla Dallas,
tutti rampanti, tutti vestiti allo stesso modo, tutti American way
of life
Non è lì la cultura! Fare cultura significa
sviluppare relazioni tra modi di pensare diversi, creare un tessuto
i cui fili si fanno trame e orditi di una realtà sempre nuova,
mantenendo tuttavia la forza, il colore, il sapore originali. Questo,
a mio avviso, è il punto cruciale.
E, se ci pensiamo bene, i nostri grandi, quelli che ci hanno insegnato
a capire e a vivere, quelli che consideriamo i maestri della cultura
mediterranea, avevano questa visione, possedevano la capacità
di rispettare la diversità, mettendo in relazione le varie
realtà culturali.
Ricordo la mostra sui fenici proposta a Palazzo Grassi qualche anno
fa. Si poteva leggere su una parete una frase che recitava:
I cartaginesi e gli etruschi sono popoli fratelli . Nessuno
ci aveva mai pensato. Certo, poi erano indicate le tracce, oggi
ricostruite, dei fenici che erano andati verso Cartagine, dei fenici
venuti in Sicilia, in Sardegna, poi anche in Francia e in Spagna;
ma che gli etruschi e i cartaginesi fossero popoli fratelli, in
quanto figli dei fenici, sinceramente non lo sapevamo.

Il testo proseguiva: Sono popoli fratelli perché
i naviganti e i commercianti ci raccontano che hanno le stesse abitudini
alimentari, gli stessi usi funerari, le identiche consuetudini abitative
e di organizzazione della vita sociale; e poiché sappiamo
che hanno gli stessi comportamenti, mettiamo in relazione questo
dato e li consideriamo fratelli .
Questo concetto non appartiene a un ricercatore italiano dei giorni
nostri, è di Aristotele; il quale, alcune centinaia di anni
prima di Cristo, possedeva la capacità di vagliare le notizie
provenienti dai commercianti e dai naviganti mettendo in relazione
popoli diversi come i cartaginesi e gli etruschi, che avevano una
radice comune nei fenici.
Mi domando quanti dei nostri ragazzi, quanti di noi hanno questa
capacità di mettere in relazione le notizie di cui si dispone.
Supponiamo che basti attivare il telecomando per sapere tutto; in
realtà, non sappiamo nulla: perché possediamo tante
informazioni, ma non sappiamo metterle in relazione. La cultura
consiste nellunificare ciò che è diverso. Noi,
al contrario, tendiamo a credere che la cultura debba determinare
la realtà. Quella mediterranea è cultura della combinazione,
dellinformazione, dellaccettazione e della messa in
relazione delle diversità, non dellimposizione di una
cultura particolare. E questo rispetto della cultura come rapporto
combinato delle diversità, come rispetto delle diversità,
in fondo oggi ci serve più di prima, perché oggi non
possiamo più ritenere che il Mediterraneo sia un luogo dove
vincerà ununica cultura, ununica religione, un
unico schema sociale.
Chi conosce il Mediterraneo attuale sa quale diversità radicale
ci sia tra una cultura emotiva e una cultura razionale. Una parte
del Mediterraneo è fatta di cultura emozionale, di forza
emotiva che travolge ogni razionalità; e ce nè
unaltra che, invece, vuole imporre una cultura razionale,
più mitteleuropea, per certi versi più medioevale.
Non vincerà nessuna delle due. Dobbiamo abituarci a convivere
nella diversità di emozione e di razionalità, di religioni
diverse, di economie diverse. Non possiamo pensare a tutta la realtà
mediterranea come ad unarea di grandi città industriali
o ad unarea di piccole imprese del Nord-Est.
Chiunque abbia girato per il Mediterraneo sa che non cè
la possibilità di ununificazione economica: cè
lesigenza di rispettare non tanto le vocazioni economiche
dei singoli Stati, quanto le diversità di economie che via
via si faranno. In alcuni casi, partendo quasi da zero.
Penso al lavoro che noi del Censis stiamo facendo alluniversità
del Libano, vivendo in una sorta di apnea (anche intellettuale);
penso ai numerosi piccoli imprenditori che girano il Nord Africa,
tentando di investire anche lì. Però nessuno turberà
la differenziazione, la diversità: perché il Mediterraneo
non è unificabile. Non lo era tremila anni fa, ai tempi di
Omero; non lo è oggi. Non è unificabile dagli attuali
processi religiosi, economici, e neppure dai mass media.
Si dice che la televisione italiana venga vista in Albania, nella
Penisola balcanica, nellAfrica del Nord, e che dunque potremmo
illuderci di unificare attraverso il teleschermo almeno la lingua
Neppure questo è vero. Si può essere daccordo
con chi sostiene lipotesi di una lingua universale. Però
sappiamo benissimo che la lingua non rappresenta un fattore unificante.
Se cè un mondo estremamente diversificato, attualmente,
è lAmerica del Nord: che, pur possedendo una lingua
comune, presenta diversità assolute tra Stato e Stato. Pensiamo
alla giurisdizione, alla cultura, alleconomia, ai modi di
pensare, alla stessa pena di morte. Allora, il nostro problema è
capire qual è la realtà italiana, che cosa la cultura
italiana può dare a un rapporto con i Paesi del Mediterraneo.
Questo è lo snodo cruciale della nostra riflessione per i
prossimi anni.
Come si fa cultura di massa in relazione ai diversi, rispettandoli,
ma avvicinandoli sempre di più? Certo, non riaffermando il
primato della cultura italiana rinascimentale, pre-rinascimentale,
post-rinascimentale, e meno che mai romana: non si fa con duemila
anni di storia. Si fa soltanto cercando di capire quali sono i germi
della nostra cultura che stanno in questo bisogno di mettere in
relazione le diversità, o che possono aiutarlo. Non è
lorgoglio della nostra cultura che mette in relazione le diversità,
anche se la nostra è sempre stata una cultura di combinazione.
Non per niente abbiamo saputo coniugare per alcuni nostri monumenti
stele egizie, colonne greche, e quantaltro. La maggior cultura
che possediamo consiste nella capacità di mettere in relazione
molecole diverse. Chiamiamola socialità: ma non socialità
intesa come solidarietà, bensì come capacità
di sviluppare la figura del socius, cioè di colui
che sta in relazione con.
Siamo un popolo di grandi individualisti, ma siamo anche un popolo
in cui è vissuto bene il paese, è vissuto
bene il vicinato, è vissuta bene la piccola
città, è vissuta bene la piccola e media
impresa, sono vissute bene le strutture in cui il rapporto
interpersonale funziona: forse perché non abbiamo lalterigia
prepotente di altri, forse perché la nostra stessa storia
è stata molto spesso una storia di dipendenza, di attraversamento
di stranieri, a volte servile. Siamo stati abbastanza umili da non
essere alteri e prepotenti. Abbiamo saputo vivere insieme nella
diversità. Sapendo di essere individualisti, siamo stati
capaci di creare il vicinato, di creare il paese e la piccola città.
Non cè nessuna cultura monumentale da esportare nel
Mediterraneo, cè la piccola cultura di chi ha fatto
il piccolo paese, la media città, la piccola impresa, la
società quotidiana. Questo è ciò che sappiamo
fare bene, ciò che possiamo offrire ed esportare.
Guai a noi se dicessimo: Esportiamo i maestri del colore
del Seicento . Non ci capirebbero, non entreremmo in relazione.
Invece possiamo esportare la cultura della relazione, lunica
che oggi abbia una possibilità reale di stare al gioco. Tutti
noi siamo figli della cultura giudaica, nella quale il rispetto
del rapporto comunitario è quasi un obbligo morale. Recita
il Talmud: La colpa verso Dio ti sarà perdonata nel
giorno del Kippur: la colpa verso laltro non ti sarà
perdonata nel giorno del Kippur .
Questa è la deriva storica profonda, la tettonica continentale
che sta dentro il Mediterraneo: la capacità di rispettare
laltro, di essere responsabile dellaltro, di andare
avanti con laltro. Lo abbiamo fatto per secoli nei nostri
piccoli paesi, lo facciamo quotidianamente nei rapporti tra piccole
e piccolissime imprese che fanno forte lItalia, lo abbiamo
fatto nella costruzione delle tante città simultaneamente
darte e dindustria. E dobbiamo farlo ancora, perché
è lunica iniziativa che noi possiamo intraprendere.
Certo, se ci guardiamo in faccia, dobbiamo ammettere che questo
rapporto con la diversità non ci piace. Cè dietro
langolo il negro che ci infastidisce, cè il gitano
che ci ha fregato i soldi dalla tasca, cè lindonesiano
o lest-europeo che ci vuole lavare il parabrezza a tutti i
costi, o il diverso, seduto di fronte alla nostra porta, che non
vogliamo riconoscere. Però sappiamo benissimo che, mentre
lorganizzazione della grande città espelle o criminalizza
gli immigrati, i piccoli comuni in fondo riescono ad assorbirli
e a diventare davvero accoglienti. Laccoglienza non è,
o non è soltanto questione di amore cristiano. La Caritas
fa bene a dirlo, ma laccoglienza è la cultura di un
porto che ha accettato la diversità. E lItalia, in
qualche modo, per tutta la sua storia è stata proprio questo:
qualche volta subendo lattraversamento di eserciti stranieri;
altre, invece, esprimendo soltanto il suo rispetto per la cultura
altrui.
Allora, accettare la diversità diventa il punto cruciale
della nostra riflessione sul futuro, diventa lofferta che
possiamo avanzare affermando che la società italiana è
la più sociale, non solo rispetto a popoli che sono, evidentemente,
così fondamentalisti ed enfatici da non avere più
socialità. La nostra socialità deriva dalla storia,
dalla nostra capacità di mettere in relazione tutto, facendo
addirittura dei collages di cultura.
La conclusione, quindi, non è una conclusione, ma unapertura
di discorso. Ricordando queste due piccole verità: il Mediterraneo
è stato sempre il luogo della diversità, la cultura
italiana è stata sempre nelle forme migliori
figlia del rispetto e del bricolage della diversità. Se capiamo
e facciamo totalmente nostri questi due concetti, forse il nostro
contributo sarà meno enfatico, meno retorico, meno potente,
meno prepotente, ma più concreto e fattivo.
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