Quando fu
deputato, Verdi
si batté in
Parlamento per il diritto dautore:
fu il suo modo di combattere i plagi che lo avevano
colpito durante
tutta la sua vita.
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Fa scalpore un inedito di Giuseppe Verdi. Soprattutto perché
si tratta di un Inno nazionale dedicato a Ferdinando
II di Borbone, ritrovato negli archivi del Conservatorio napoletano
di San Pietro a Majella. Autore del testo, Michele Cucciniello.
Spartito stampato dalleditore Girare, nel 1848, a Napoli.
Ritrovamento ad opera del maestro Roberto De Simone. Frontespizio
dello spartito definito «inedito». E immediate reazioni:
Verdi non è stato forse il simbolo dellItalia mazziniana
e unita sotto i Savoia?
Eppure, nellInno il Borbone è salutato come re
della patria. Per questo e per altri motivi, non tutti concordano
con lattribuzione dellInno (che ha la stessa musica
dellErnani, e più precisamente del motivo Si
ridesti il Leon di Castiglia) al compositore di Busseto. In
ogni caso, cè chi si dichiara possibilista: è
il caso dello storico Giuseppe Galasso, per il quale la firma di
Verdi sotto linno borbonico è plausibile, perché
il clima dellepoca era tale da far sì che i liberali
guardassero con speranza ora alluno ora allaltro dei
sovrani italiani. Del resto, Ferdinando II proprio in quel 1848
fu il primo monarca della Penisola a concedere la Costituzione sotto
la spinta dei moti siciliani. Ma fu una breve meteora, e lesperienza
si concluse ancora una volta con luso della forza.

Sulla stessa linea, anche se da una prospettiva del tutto diversa,
è Roberto Selvaggi, curatore della manifestazione Viaggio
nella memoria alla riscoperta dei Borbone: «Linno
di Verdi? Lo conoscevo già, ne avevo sentito parlare in Puglia.
Ed è unaltra prova che i Borbone non erano poi così
cattivi come li si dipinge. Forse Verdi avrà lavorato su
committenza per Ferdinando II, un re che concesse la Costituzione
con convinzione. Poi è successo quel che sappiamo, ma non
fu colpa sua».
Ma qual è lopinione degli storici della musica? E perché
parlare di un inedito, quando si tratta di uno spartito
canto e piano stampato? Opere simultaneamente stampate
e inedite rappresenterebbero una novità assoluta
nella storia delleditoria, non soltanto musicale: lo sottolinea
con una certa ironia Orazio Mula, docente al Conservatorio di Cuneo
e autore di un libro su Giuseppe Verdi, edito dal Mulino, uno dei
saggi più completi e aggiornati dedicati al cigno di Busseto:
«LErnani», ha dichiarato lo studioso allindomani
della scoperta, «è nota come opera delle contraffazioni,
che sorgevano spontaneamente. Che Verdi sia direttamente responsabile
dellinno borbonico mi sento di escluderlo». In altre
parole, era consolidata la prassi piratesca di pubblicare melodie
di successo in unepoca nella quale il melodramma costituiva
la musica di consumo popolare. Chiunque, senza conseguenze, poteva
parodiare lopera musicale altrui, sostituendovi un testo diverso.
Con motivazioni analoghe è sceso in campo anche lIstituto
nazionale di studi verdini, di Parma. Sulla presunta scoperta di
De Simone il prestigioso ente taglia corto: si tratta di un plagio
consumato allinsaputa dellautore. Il motivo di un giudizio
così tranciante? La mancanza di comunicazione, allepoca,
tra Regno delle Due Sicilie e resto dItalia.
A questo punto è intervenuto lo stesso De Simone, il quale
ha innanzitutto precisato di non aver mai parlato di inedito:
«Si tratta di un brano stampato nel 1848, che in quel tempo
evidentemente tutti conoscevano, ma oggi è stato dimenticato.
Nel 1973, però, ci fu una segnalazione da parte della bibliotecaria
Anna Mondolfi, che ne parlò al filologo Cecil Hopkinson,
il quale pubblicò la notizia, a New York, in un suo lavoro
bibliografico su Giuseppe Verdi. Dopo di che, non se ne è
più parlato. Ma a Napoli, nellepoca in cui venne scritto,
di sicuro lo conoscevano tutti. Probabilmente era eseguito nei salotti
buoni della città, tra patrioti e liberali».
Verdi, allora, sapeva che la sua musica era utilizzata per rendere
omaggio a Ferdinando II? «Non ho prove, ma mi sembra probabile
che il Maestro abbia conosciuto linno, anche per i suoi frequenti
contatti con la città di Napoli e con il San Carlo».
E come metterla con quanto affermato dallIstituto verdiano
di Parma, secondo il quale non cera comunicazione tra il Nord
e il Sud dItalia? «Si sbagliano di grosso. In particolare,
Verdi aveva stretto amicizia con Francesco Florimo, che era il bibliotecario
di San Pietro a Majella. Se linno fosse stato un apocrifo,
Verdi lo avrebbe disconosciuto nella sua fitta corrispondenza col
bibliotecario. Invece lo spartito non fu mai oggetto di contestazione
da parte di Verdi. Il Maestro era un patriota e anche lui avrà
guardato con speranza al Regno meridionale, che era molto più
europeo di quello dei Savoia. Il Sud, lo sappiamo bene, è
stato vittima dellUnità, non doveva diventare, come
poi è stato, la coda dItalia e finire in accattonaggio».
Forse, ipotizza ancora De Simone, a qualcuno oggi dispiace pensare
che Verdi abbia potuto salutare un monarca napoletano come futuro
re dItalia.
Una questione politica? Mula non è daccordo. Alla replica
di De Simone, lo studioso di origine meridionale controribatte:
«Non cera bisogno di scomodare Verdi per operare queste
falsificazioni che avvenivano in tutta Italia: circolavano anche
le versioni del Leon di Caprera e del Leon di San Marco su quella
stessa musica. Quando fu deputato, Verdi si batté in Parlamento
per il diritto dautore: fu il suo modo di combattere i plagi
che lo avevano colpito durante tutta la sua vita».
E le polemiche proseguono. Senza che sulla vicenda sia stata posta
la parola fine.
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