Se le guerre del Novecento sono state combattute
per il petrolio, quelle del futuro avranno come
oggetto
del contendere
lacqua.
|
|
Linverno che non si manifesta è necessariamente attribuibile
alleffetto serra, oppure può trattarsi di una contingente
situazione meteorologica e, dunque, di unespressione del tempo
atmosferico anziché del clima? La differenza tra tempo e
clima sta nella dimensione temporale alla quale essi si rapportano:
il primo è ritmato da respiri brevi (giorni, settimane, mesi,
qualche anno); il secondo è modulato da periodi lunghi millenni
o secoli, o, nella migliore delle ipotesi, venticinque anni. Tuttavia,
la stranezza della stagione che si ripete sempre più
spesso, ed è questo, semmai, che induce a proiettare il ragionamento
su tempi più lunghi, climatici contribuisce alla riflessione
sul mutamento del clima.
Questa normale espressione cambiamento climatico
incredibilmente censurata per anni negli Stati Uniti, in
Europa è consentita e ritenuta vera, ma rischia
comunque la disattenzione dei più. Nonostante la coscienza
critica degli ambientalisti sebbene siano forse un po
ossessivi nellaffrontare il problema , lunica
possibilità di acquisire rilievo per la questione è
il trattamento terroristico. Il che non fa che aumentare
lindifferenza e linerzia, perché la reazione
corrente delle persone comuni (che costituiscono lopinione
pubblica), dei politici (che legiferano) o degli imprenditori (che
dovrebbero essere convinti a entrare in un mercato virtuoso per
un clima sostenibile) è spesso: Che cosa posso fare
per cambiare tutto ciò? .

Dagli Stati Uniti è arrivata di recente unaffermazione
scientifica che, se confermata, potrebbe almeno darci sollievo.
Il fatto che il clima del Nord dellEuropa sia ben più
mite rispetto a quello dellAmerica del Nord, di pari latitudine,
non è dovuto tanto alla Corrente del Golfo (definita «un
mito da sfatare» da Richard Seager, della Columbia University),
quanto piuttosto allinfluenza benefica delle acque che circondano
le terre emerse europee, le cui coste sono molto più estese
di quelle lineari del Canada o degli Stati Uniti, caratterizzate
da clima continentale, cioè più incline
agli estremi. Ciò smentirebbe unipotesi più
volte paventata dai climatologi, che leffetto serra possa
bloccare la Corrente del Golfo, precipitando il Vecchio Continente
in una nuova era glaciale.
In realtà, afferma Seager, il rallentamento della corrente
determinerebbe un raffreddamento benefico, in grado di contrastare
il riscaldamento atmosferico. Il problema non si sposta. Ma, ecco,
anziché il terrorismo (nel caso della Corrente
del Golfo imputabile agli stessi scienziati), è preferibile
qualche ragionamento in più e, nello stesso tempo, la determinazione
ad agire, anziché la paura.
Trattandosi di una questione economica e, ancor più, legata
alla salute e alla vita, occorre allontanare il pensiero sbagliato
che il clima peggiorerà domani (o mai, come qualcuno insiste
a sostenere), ma convincersi invece che cambierà un poco
alla volta (anche se non linearmente, ma accelerando). Un argomento
significativo è legato al livello dei mari. Sottolineare
che verranno sommerse isole, coste e città fa pensare allineluttabilità
e allimpossibilità di agire. Ricordare che tutto avverrà
per gradi, anno dopo anno, consente la progettazione di opere di
difesa e il ricorso crescente (ma immediato) a fonti energetiche
alternative.
È pur vero che anche la prospettiva della gradualità
può indurre allinerzia, ma, a questo punto, il problema
è storicamente uscito da una dimensione soltanto scientifica
per entrare, se non insisteremo con uno sciagurato terrorismo,
nelle coscienze di ogni abitante del Pianeta.
Il deserto avanza, si dice, e si teme che, a forza di conquistare
sempre nuove aree, possa raggiungere dimensioni ragguardevoli nella
Penisola. Ed è il Mezzogiorno dItalia la zona geografica
minacciata più direttamente da un tipo di desertificazione
che in buona parte è determinata dalle mutazioni cicliche
del tempo e del clima, ma che in parte sono anche frutto dellattività
delluomo, e più esattamente delluso indiscriminato
e irrazionale delle risorse disponibili.
Un esempio inquietante di questultimo aspetto negativo è
dato dal livello di sfruttamento intensivo delle acque che si trovano
nelle falde freatiche. È noto che gli strati di acque carsiche
sono di tre tipi, a volte coesistenti insieme, altre volte accoppiati
variamente. Al limite più basso, data la loro pesantezza,
ci sono le acque salate. A livello intermedio ci sono le acque salmastre.
Più in alto di tutte si rilevano le acque dolci. Ebbene:
le strutture irrigue che interessano le campagne meridionali, e
le produzioni colturali che ne dipendono, fanno letteralmente scempio
di questi sistemi sotterranei, nel senso che, sfruttate del tutto
le acque dolci, là dove ci sono, si procede con le irrigazioni
con acque salmastre, individuabili dal sottile strato di polvere
bianca che si deposita sulla superficie della terra, che altro non
è che sale marino: è questo che, nel giro di pochi
anni, determina la sterilità delle campagne delle regioni
meridionali, con prospettive di recupero che richiedono tempi lunghi
e riconquista di terreni da strappare allaridità colpevolmente
prodotta dallegoismo e dallimprevidenza delluomo.
A tutto questo, il Sud deve sommare i fenomeni naturali, come il
bradisismo, che interessa in particolare alcune fasce costiere campane,
o lerosione, che invece si va manifestando con ritmi crescenti
in ampie aree delle marine calabresi, lucane, pugliesi e molisane.
Questultima, in particolare, sta letteralmente trasformando
il tradizionale aspetto, la consueta conformazione delle coste interessate.
Così, la desertificazione coinvolge le attività agricole
del Sud, così come, insieme con queste, lerosione preoccupa
gli imprenditori turistici delle regioni meridionali, condizionando
lintera economia territoriale e nazionale, e prospettando
immagini di arretramento socio-economico che riportano il Sud e
le sue componenti produttive più vivaci su posizioni contigue
al Terzo mondo, e riaprendo una secolare e tuttaltro che superata
questione del Mezzogiorno. Che andrebbe ad aggiungersi,
appunto, ai problemi terrificanti che riguardano milioni di persone
nei Paesi arretrati del Pianeta.
(La celebre vecchia battuta sul tempo tutti ne parlano, nessuno
fa qualcosa oggi sembra non rispondere più al vero.
Molte persone, allarmate dalla minaccia di riscaldamento del pianeta,
starebbero attivamente tentando di cambiare i comportamenti degli
esseri umani al fine di trasformare il clima. La Commissione europea
ha calcolato di recente che nel Sud del Vecchio Continente, compreso
dunque il Mezzogiorno dItalia, leffetto serra provocherà
da qui al 2070 da 36 a 86 mila vittime. Ha stabilito che lincremento
della temperatura sulla superficie del globo nel solo 2006 è
stato pari a 0,42 gradi, e ha previsto che il costo totale dei danni
che sarebbe provocato, sempre dalleffetto serra e sempre in
Europa entro il 2020 dovrebbe essere pari a 4,4 miliardi di euro).
Che cosè un deserto? Incantati da un miraggio tuareg,
è facile dimenticare che il deserto non è un oceano.
Che le sue linee mobili non sono le zone erogene che fanno da sfondo
ai naufragi dei sensi raccontati da Paul Bowles nel Tè nel
deserto o da Michael Ondaatje in Il paziente inglese. Che navigare
è certo più facile che non percorrere piste lontane,
guidati non da sirene berbere, ma da guide opportuniste, circondati
non da dromedari, ma da fuoristrada scassati come vascelli fantasma.
E allorizzonte mai unisola deserta, ma sempre unoasi
che funziona ad aria condizionata.
Stregati da un sogno sahariano, è facile dimenticare che
la parola araba erg che traduciamo mare
significa, in realtà, vena. E quella che noi
chiamiamo cresta non è veramente un onda:
seif in arabo significa serpente. Perché
le leggi che governano questo luogo senza meta non sono quelle caotiche
dellacqua: «Nella sabbia pensiamo di trovare disordine,
e invece siamo stupiti dalla geometria», scriveva nel 1941
lufficiale inglese Ralph Bagnold nel saggio La fisica della
sabbia e delle dune. «Cumuli pesanti milioni di tonnellate
si muovono inesorabilmente, in formazioni regolari, crescendo ma
mantenendo la loro forma e riproducendosi in una grottesca imitazione
della vita che offende limmaginazione».
A differenza del mare, il deserto si allarga, e quasi ci viene incontro:
copre già il 20 per cento del Pianeta, ma ogni anno divora
altri 70 mila chilometri quadrati di terra fertile. Grazie ai cicli
tempo/clima e ad umane maldestrie, minaccia in tutto il mondo 100
milioni di uomini: tanti, quanti, secondo le Nazioni Unite, saranno
costretti ad emigrare nei prossimi anni, inseguiti dalla sabbia
che li rincorre in 110 Paesi. Già ora le dune hanno scacciato
12 milioni di esseri umani dalla regione del Sertao, in Brasile,
mentre circa un milione hanno abbandonato il centro arido del Messico
in direzione della costa. Si calcola che più di 100 mila
miliardi delle nostre vecchie lire vengano persi ogni anno in questa
guerra impossibile.
Come tutte le malattie endemiche, anche la desertificazione allinizio
può essere scambiata per una sindrome benigna: pochi granelli
di sabbia che sbattono sulla porta di casa, o piovono con lo scirocco
sui tetti delle nostre automobili. «Pensi che il vento cambi,
ma poi continua a soffiare nella stessa direzione, e spalare sembra
non bastare mai: un giorno alzi gli occhi da terra e capisci che
le dune si sono avvicinate», raccontano i vecchi di El Oued,
una città algerina di quelle di cui si fa presto a dimenticare
il nome, perché un giorno cera, e il giorno seguente
è sparita sotto dune che avanzavano di 8 centimetri al giorno.
Lo stesso nellAtacama, in Cile, e sullaltopiano del
Quingai, in Tibet, dove una volta lerba era tanto alta che
le mucche ci si nascondevano.
Mojave, Chihuahua, Sonora nelle Americhe. Sahara e Kalahari in Africa.
Gobi e Takamaklan in Asia, larea centrale dellAustralia,
che possiede la metà delle risorse nutritive del Sahara,
ma che è abitato dal più gran numero di lucertole
al mondo (quarantasette specie) e di eucalipti (770 varietà,
con foglie velenose che soltanto i koala riescono a mangiare).
E ora allelenco dei deserti occorre aggiungere il più
paradossale di tutti, il Lago Aral, creato in meno di un secolo
dalla stupidità criminale dei burocrati sovietici. Era il
1918 quando decisero che lAsia centrale era il luogo ideale
per coltivare il cotone, mai visto prima da quelle parti, e che
per farlo bastava togliere acqua al lago. Entro il 1960 erano irrigati
così 6 milioni di ettari. Ora sono 10 milioni: anche terre
remote, al confine con la Cina e con lAfghanistan. Ma intanto
lAral non cè più, al 90 per cento è
scomparso, e quel che rimane ha una concentrazione salina così
alta, da avervi estinto 24 specie di pesci. I villaggi dei pescatori
che un giorno costellavano le rive del lago ora si trovano a decine
di chilometri dallacqua. Vecchi navigli da pesca marciscono
in pieno entroterra. Attorno, un nuovo deserto, immenso, attraversato
da tempeste di sabbia pregna di pesticidi. In sintesi: fino a quattro
decenni fa copriva unarea grande quanto il Belgio e i Paesi
Bassi messi insieme, con oltre 1.000 chilometri cubi di acqua. Poi
le acque dei due fiumi che lo alimentavano vennero deviate. Oggi
lOnu definisce quel che è successo allAral «la
più grave catastrofe ambientale del XX secolo».
E non si tratta di un caso isolato. Un altro grande specchio dacqua,
lafricano Lago Ciad, era un giorno non lontano un mare interno
ai margini del Sahara. Le dighe per deviare le acque dei suoi affluenti
lo hanno ridotto a una pozzanghera: a fine anni Novanta aveva perso
il 95 per cento della superficie, e nel 2004 si è ritirato
fino a 523 chilometri quadrati.
Fiumi un tempo maestosi oggi sono ridotti a rigagnoli. Rio Grande
(nome messicano), o Rio Bravo (nome americano): ex fiume gonfio
di acque, oggi un fiumiciattolo lento e marrone, spesso secco destate.
Il suo declino parte dal 1915, quando con bacini artificiali si
iniziò a prelevare acqua per rifornire città e coltivazioni,
ma con sprechi tali che solo il 40 per cento arriva ai campi. Fiume
Indo, Pakistan: nei guai fino al collo. Nei primi anni del XXI secolo
è in gran parte asciutto nelle ultime centinaia di chilometri
del suo corso. La sola perdita di pesci ammonta a 20 milioni di
dollari lanno. Fiume Mekong, Cambogia: nel 2003, sulle sponde
del grosso corso dacqua regnava lo sgomento. Le piene erano
state le più misere della storia. Motivo? Da mezzo secolo
la grande arteria liquida del Sud-Est asiatico è nel mirino
degli esperti di energia idroelettrica, e otto nuove dighe si stanno
costruendo lungo il suo ramo principale. Fiume Giallo, Cina: il
quinto fiume più lungo del pianeta è sempre più
esiguo, dalla sorgente fino al mare. I canali di irrigazione si
prosciugano, i campi sono abbandonati, la desertificazione genera
enormi tempeste di sabbia.
La richiesta di acqua oggi è cresciuta di sette volte rispetto
agli inizi del XX secolo. Così la scarsità di risorse
idriche penalizza una fetta enorme di popolazioni: un miliardo e
mezzo di persone non dispone di acqua potabile, due miliardi e 400
milioni vivono in situazioni di stress idrico, (diventeranno
più del doppio nei prossimi 25 anni), otto milioni di persone
muoiono per malattie legate ad acqua stagnante o inquinata. Per
fare degli esempi sui consumi: occorrono 10 litri dacqua per
produrre un litro di benzina, 30 litri per un litro di birra, 100
litri per un chilo di carta o di lana, da 2 a 5 mila litri per coltivare
un chilo di riso, 11 mila litri per ottenere un hamburger da 200
grammi, 20 mila litri per un chilo di caffè

Consumo quotidiano di acqua per abitante: Europa e America del
Nord, da 300 a 600 litri; Asia e America Latina, da 50 a 100 litri;
Africa, da 10 a 40 litri.
Gli analisti della Cia e gli esperti della Banca Mondiale non nutrono
alcun dubbio: se le guerre del Novecento sono state combattute per
il petrolio, quelle del futuro avranno come oggetto del contendere
lacqua. Non tutti sono daccordo. Ma è certo che
i tre quinti dei 263 bacini idrici internazionali sono privi di
trattati che ne regolino la gestione. E linesorabile prosciugamento
delle falde è destinato ad esacerbare le tensioni tra gli
Stati.
Le zone in cui lo stress idrico minaccia di trasformarsi in conflitto
armato sono quelle con scarse riserve, come nel Vicino Oriente,
e le altre, dove laghi e fiumi sono condivisi da due o più
Paesi: i bacini del Nilo, del Niger, dello Zambesi, del Tigri e
dellEufrate, dellIndo, del Gange, del Mekong. I contenziosi
in corso sono già una cinquantina, e in un paio di occasioni
sono sfociati in azioni di guerriglia, nello Sri Lanka (per una
diga nel distretto di Trincomalee) e in Libano (per i canali che
dal fiume Litani portano acqua nella Valle della Bekaa). E non va
dimenticato che la guerra dei Sei Giorni, tra Israele e mondo arabo,
scoppiò per le sorgenti del Giordano.
Ma la situazione se possibile ancora più grave è quella
del Nilo, vera e propria vena giugulare delleconomia e dellagricoltura,
contesa da dieci Paesi con 250 milioni di africani affacciati sulle
sponde: 84 miliardi di metri cubi dacqua annui, con 55 miliardi
catturati dalla diga egiziana di Assuan e distribuiti lungo il tratto
egiziano, mentre Khartoum e Addis Abeba contestano il vecchio sistema
di quote del 1959, ritenuto ormai obsoleto. Lacqua di questo
fiume sono decisive per lenergia idroelettrica e i faraonici
progetti del Cairo: dopo il Canale della pace nel Sinai,
è la volta del Canale di Toshka, che rischia di infliggere
un altro colpo alla portata del fiume, compromessa dalla decisione
dellEtiopia di irrigare 3 milioni di ettari di campi sulle
rive del Nilo Azzurro e dallabbassamento (3 per cento nel
2003, pari a 75 chilometri cubi) del livello del Lago Vittoria,
sorgente del Nilo Bianco. Il lago, cruciale per 30 milioni di africani,
non decresce solo per siccità o variazioni climatiche: le
dighe costruite dallUganda sullunico emissario hanno
permesso al governo di Kampala di incamerare un gettito idrico superiore
del 55 per cento al limite consentito dai trattati firmati in epoca
coloniale.
E ancora: un conflitto strisciante è in atto anche in area
mesopotamica, dove da secoli i fellahin e gli allevatori di Siria
e Iraq dipendono dai fiumi padri della storia, il Tigri e lEufrate.
Ma è la Turchia, dove sgorgano, a determinare il flusso grazie
a dighe colossali, (la sola Diga Atatürk può strozzare
dun colpo lIraq). Ankara, dunque, è in grado
di condizionare le economie dei Paesi della Mezzaluna Fertile, dove
la maggior parte della popolazione vive di agricoltura.
Più ad est, altri focolai di tensione: sono in rotta di collisione
i maggiori consumatori e i Paesi che controllano le fonti idriche.
In Asia centrale, lUzbekistan e il Kazakhstan fagocitano i
due terzi delle risorse, ma i due corsi principali, il Syr Darya
e lAmu Darya, hanno origine nel Kyrghizistan e nel Tajikistan.
E i cinque Stati che si affacciano sul Mar Caspio non trovano un
accordo sullo sfruttamento del bacino.
LIndo, uno dei maggiori sistemi fluviali del pianeta, è
al centro del contenzioso fra due potenze nucleari, lIndia
e il Pakistan: il fiume, che abbevera 150 milioni di pakistani e
ne irriga le colture, attraversa un tratto del Kashmir indiano.
Qui gli ingegneri di New Delhi hanno innalzato dighe che, secondo
Islamabad, violano gli accordi e minacciano la sicurezza del Paese.
Analoga disputa tra India e Bangladesh sul Gange. Unaltra
tra India e Cina per il Brahmaputra. Altre tra Pechino e i Paesi
rivieraschi del Mekong. Scoppierà nellOriente Estremo
la prima guerra dellacqua del XXI secolo? La crescita demografica
e la fame di energia delle economie asiatiche non promettono nulla
di buono.
Intanto, assediati dalla sabbia e dai dubbi, i geografi si interrogano
su che cosa sia un deserto: non lo facevano dagli anni Settanta,
quando si cominciò a parlare di desertificazione. Se il metro
è laridità della terra, ci si qualifica sotto
i 250 millimetri di pioggia lanno, o qualcosa di più?
Meglio guardare al tasso di evaporazione dellacqua o a ununità
di misura biologica che tenga conto di quali specie animali riescono
a vivere in quegli inferni, e quali no? I climatologi sembrano avere
più certezze su che cosa cambi ogni volta che un pezzo di
terra diventa deserto: sole e calore vengono riflessi, aumentando
la temperatura del pianeta. Il vento porta la sabbia ben oltre i
confini naturali del deserto: gli astronauti dello Shuttle hanno
individuato una striscia gialla lunga 300 chilometri allungarsi
dal Sahara verso la costa della Florida. Perché è
vero che il deserto non è acqua, ma può uccidere anche
la più remota barriera corallina. E anche di più.
Secondo alcuni paleontologi, lultima volta che laumento
della temperatura provocò siccità e incendi come quelli
che portano ora allintensificarsi della desertificazione fu
4 mila anni fa: quando cioè la storia si interruppe con la
scomparsa delle grandi civiltà dellEtà del Bronzo,
da quella mesopotamica a quelle del Regno Antico in Egitto.
Cosa accade alluomo che nel deserto abita e vive, allaffilato
peul o al misterioso tuareg, lo racconta come nessun altro lo scrittore
William Langewiesche nel suo saggio Sahara unveiled. Nel più
grande deserto del mondo, spiega, i fisiologi specializzati nello
studio della sete guardano che cosa succede allorganismo quando
la temperatura si alza oltre i 50 gradi (il record venne registrato
nel 1922 a El Azizia, in Libia, con 57,78 gradi). Spiegano che immaginare
lacqua è la prima naturale reazione in un ambiente
dipsogenico, che cioè provoca voglia di bere, assalendo i
sensi e prosciugando 14 litri di sudore al giorno. Se i liquidi
non vengono presto rimpiazzati, si passa dalleudipsia (la
sete normale) ad attacchi di iperdipsia (sete intensa), fino ad
arrivare alla polidipsia (lo stadio in cui bevi qualsiasi cosa).
Per Langewiesche, il deserto è un viaggio nel passato, in
unera minerale, fatta di silenzio e di immobilità.
Nellanno Mille, quando Timbuktu divenne la capitale del Sahara,
ad arrivarci era una sola pista sterrata. Nel 1824 la Società
Geografica Francese promise una ricompensa ai primi europei in grado
di tornare vivi dal viaggio. Ancora adesso gli aerei sono sporadici
e le strade impossibili: certa è solo la navigazione sul
fiume Niger, quando non è in piena. Chi alla fine arriva,
trova un mercato ormai moribondo, tre moschee decrepite, beduini
e dromedari immobili, e nellaria il presagio di un futuro
magro.
Splendeva il sole sul Canale della Manica, appena increspato dalla
brezza favorevole che sospingeva la flotta normanna. Era il 28 settembre
1066. Guglielmo il Bastardo stava per cambiare il proprio soprannome
con quello di Conquistatore. La temperatura era mite, il mare tranquillo,
la buona visibilità offriva condizioni ideali per lo sbarco
di fanti e cavalieri. Dalla tolda della nave ammiraglia, Guglielmo
osservava la costa del Sussex orientale. Quello del quale stava
per prendere possesso si rivelava Paese verde, fertile, coltivato
con le tecniche più avanzate: aratro a vomere, rotazioni
triennali, uso del cavallo da tiro.
Una volta sbarcato a Pevencey e inoltratosi nella grande isola,
Guglielmo si accorse, forse con sorpresa, certamente con piacere,
che il clima mite consentiva, almeno fino alla latitudine di Canterbury,
la diffusione della vite. Il frutto di Bacco era stato introdotto
in Inghilterra probabilmente da monaci viticoltori desiderosi di
assicurarsi il necessario per la messa, un paio di secoli prima
dellarrivo del Bastardo-Conquistatore.
NellXI secolo il vino era ormai diffuso come genere di consumo
di lusso tra classi superiori (le intemperanze dilagarono e si fecero
tanto scandalose che, nel 1215, Innocenzo III sentì il dovere
di condannare lubriachezza come grave delitto).
I nobili normanni che accompagnavano Guglielmo non facevano eccezione,
e sicuramente apprezzarono labbondanza di vino offerta dal
Paese nel quale stavano insediandosi. Consolidato il possesso della
Gran Bretagna, espropriati i signori sassoni, rafforzate le strutture
feudali, assegnato a proprio dominio personale circa un terzo dellintero
territorio, Guglielmo volle conoscere in dettaglio il valore della
conquista.
E il volere del re si tradusse nello straordinario Libro del Giudizio
(Domesday book) compilato nel 1085-86: un censimento dettagliato
degli uomini, degli animali, delle terre, delle coltivazioni. Esso
documenta la diffusione della vite e di altre colture, tipiche di
climi caratterizzati da prolungati periodi estivi e da inverni miti.
La cosiddetta Epoca tiepida medioevale era iniziata
almeno un paio di secoli prima che Guglielmo portasse a termine
limpresa sognata poi senza successo da Napoleone e da Hitler.
E fu unepoca che non produsse solo vitigni a latitudini inusitate.
Cè chi si chiede se i Vichinghi, dal cui ceppo discendevano
gli uomini che accompagnavano Guglielmo nel 1066, avrebbero potuto
diffondere altrettanto agevolmente la loro straordinaria civiltà,
in assenza delle temperature relativamente miti che caratterizzarono
lEuropa Centrale e Settentrionale tra il IX e il XIV secolo.
La colonizzazione dellIslanda, che alla metà del X
secolo contava già 25-40 mila abitanti, sarebbe stata meno
facile e fruttuosa in presenza di temperature più rigide
e di approdi ostruiti dal ghiaccio. A partire dal 985 sono documentate
le prime colonie vichinghe in Groenlandia, rese possibili da una
considerevole ritirata dei ghiacciai che lasciava liberi i mari
attorno a fiordi verdeggianti. La stessa navigazione vichinga lungo
il Danubio, arteria del commercio tra Oriente ed Europa Settentrionale,
trasse vantaggio dal medesimo riscaldamento medioevale, che consentiva
a Guglielmo e ai suoi nobili compagni di allietarsi con i piaceri
del vino.
LEpoca tiepida medioevale fu caratterizzata da
inverni brevi e da temperature estive superiori di uno-due gradi
centigradi alla media millenaria e paragonabili a quelle della metà
del XX secolo. Documenti dellepoca sembrano indicare gli anni
tra il 1080 e il 1180 come i più tiepidi in Europa, con punte
di caldo eccezionale. Un vantaggio non di poco conto per uneconomia
assillata dallapprovvigionamento di energie. È un caso
che ciò abbia coinciso con il grande risveglio, soprattutto
a nord delle Alpi, dei traffici, delle città, della dinamica
demografica? Sarebbe poco convincente ridurre le cause della rinascita
economica e sociale ai mutamenti climatici. Trascurarli lo sarebbe
ancora meno. Proviamo a immaginare in che modo inverni corti, estati
secche e lunghe stagioni tiepide intermedie influirono sulla vita
quotidiana del tipico contadino nordeuropeo che lavorava la terra
per la sussistenza propria e della famiglia.
Inverni più miti, rispetto a quelli fronteggiati dai suoi
antenati, gli permettevano di dedicare meno tempo allapprovvigionamento
della legna da ardere, tempo che, nella stagione morta, egli poteva
dedicare per dissodare un nuovo campicello, a scavare un canale
di scolo che evitasse le periodiche inondazioni di qualche suo appezzamento,
a costruire un aratro migliore. Anno dopo anno, ciò gli permetteva
di accrescere la produzione, di avere figli e animali meglio nutriti,
dunque maggiore energia produttiva nei campi. Gli consentiva forse
di ottenere un piccolo sovrappiù da portare al mercato. Mercato,
la cui attività era a sua volta favorita dalla clemenza del
clima, perché fiumi e strade erano percorribili più
agevolmente per un tempo più esteso, e i mercanti potevano
allungare i loro periodi di viaggio. Soprattutto, la temperatura
invernale meno rigida accresceva la speranza di vita del nostro
contadino, (speranza che per quelli come lui non superava i 25 anni).
Inverni lunghi e rigidi aggiungono debolezza agli organismi deboli
e sottonutriti, in particolare di bambini e di anziani, rendendoli
più vulnerabili ai virus. Moltiplichiamo i vantaggi ottenuti
dal contadino-tipo per milioni di volte e avremo, anche per questa
via, uneconomia più produttiva e una dinamica demografica
più vivace.
Al periodo del riscaldamento medioevale seguì
la piccola èra glaciale, che gli esperti datano
grosso modo dal XIV al XIX secolo. Le temperature medie si abbassarono
forse di tre-quattro gradi rispetto ai secoli precedenti. I ghiacciai
avanzarono nuovamente. Gli insediamenti vichinghi in Groenlandia
scomparvero, spazzati via forse dalla carestia, forse dalla peste,
forse dagli attacchi delle popolazioni autoctone (gli Inuit) maggiormente
capaci di resistere alle temperature artiche. La vite sparì
dallInghilterra, generando un fiorente commercio con la Francia
e infiniti dibattiti sui meriti del chiaretto o del
Borgogna.
La peste nera che nella metà del secolo XIV devastò
lEuropa, riducendo la popolazione del Vecchio Continente di
almeno un terzo, venne con tutta probabilità importata dallOriente,
ma fu tanto letale anche a causa delle severe condizioni climatiche.
Tornarono inverni lunghi e rigidi. Francesco Guardi ebbe modo di
dipingere la laguna veneta completamente ghiacciata nellinverno
del fatale 1789: si camminava e si pattinava agevolmente tra le
Fondamenta Nuove e Murano.
Lesistenza di una Epoca tiepida medioevale è
ampiamente documentata. Poiché non può essere attribuita
a un effetto serra prodotto dalluomo, alcuni studiosi ritengono
che la sua esistenza possa in qualche modo tranquillizzarci circa
il futuro climatico della Terra. Purtroppo, le circostanze odierne
sembrano diverse da quelle medioevali. Le temperature medie allepoca
del Medieval warming erano simili a quelle della metà, non
della fine del XX secolo. In modo particolare, lattività
umana presente e soprattutto prevedibile nel futuro prossimo
non è comparabile a quella medioevale. Forse non tutti
si rendono conto dellirreversibile salto quantitativo compiuto
dalla storia umana nellultimo ventennio. Il salto è
tale da consentire, in molti campi, pochi utili paragoni con il
passato. Uno di questi campi è, appunto, quello climatico-ambientale.
Che non esclude alcun continente, alcuna area avanzata o arretrata
che sia, oggi. E che ci porrà di fronte a problemi di portata
decisiva: quello idrico, quello delle produzioni colturali, quello
della salute pubblica. Con sconvolgimenti che occorrerà ipotizzare
in questi nostri tempi, al fine di poter correre ai ripari con progetti
realistici, e con consapevole assunzione di responsabilità.
|