Si frega le mani, Siben, che potrebbe portare
con sé le 21 mila anime stanche di stare nel Veneto e vogliose
di spostarsi più in su o più in là, dove lerba
è più verde e gli zecchini crescono sugli alberi...
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Una risata omerica echeggiò dalla Puglia per tutto il Mediterraneo
il giorno in cui un improvvido sindaco delle Tremiti chiese il distacco
dellarcipelago adriatico dallItalia e lannessione
alla Repubblica della Jamahiriya, cioè alla Libia di Gheddafi.
«La Puglia ci trascura», piagnucolò quel primo
cittadino, ignaro desser diventato lantesignano dei
contestatori dello status quo geografico peninsulare e uno spirito
anticipatore dellidealismo lazzarone che porta con sé
una temibile deriva istituzionale.
«Il Veneto ci trascura», riecheggia infatti oggi, a
tanti anni di distanza, la città di Asiago, che insieme con
altri sette Comuni dellAltopiano, per la cui redenzione
poco meno di un secolo fa morirono mio nonno materno e due miei
giovanissimi zii, (468 chilometri quadrati di montagne, boschi,
prati, pascoli e masi sparsi, con 21 mila abitanti in tutto), chiede
di essere aggregata al Trentino-Alto Adige, al modo di altri centri
che intendono traghettare in Trentino o in Friuli; o al modo di
Cortina, nota località di diseredati, abitualmente frequentata
da accattoni provenienti da mezzo mondo, che vuol trasferirsi in
Alto Adige: in ciò incoraggiata dal presidente della Provincia
autonoma altoatesina, che spalanca le porte alla perla delle
Dolomiti colpita da improvviso morbo secessionista. «Sarebbe
un ritorno a casa», ha sostenuto il filoaustriaco bolzanino
Durnwalder, «visto che per quattrocento anni Cortina è
stata nel Sud Tirolo».
Il signor presidente ignora sistematicamente che il Sud Tirolo,
bilingue, si chiama anche Alto Adige. Ma portiamo pazienza. E registriamo
che le unioni ladine si appellano (documenti alla mano) alla motivazione
legata a una questione storica: Cortina, fino al 1923, faceva parte
del Tirolo (si chiamava Anpezo), poi proprio quellanno venne
assegnata alla provincia di Belluno. Durante il primo conflitto
mondiale si era schierata a fianco dellAustria-Ungheria. Dopo,
si era rapidamente e robustamente arricchita.
Le ragioni storiche. Solide, per i secessionisti. Comiche, per
chi avversa le derive. E consisterebbero nel fatto che «la
gente dellAltopiano è di origine germanica»,
perché subito dopo lanno Mille raggiunse quei luoghi,
guidata da frati benedettini: si trattava di alcune famiglie di
coloni bavaresi in cerca di terre da coltivare. Da questi personaggi,
che per secoli hanno parlato la lingua cimbra, misteriosamente sopravvissuta,
anche se ormai parlata da pochi, discenderebbero gli attuali abitanti,
che ancora oggi usano parole di assonanza tedesca, come rach
(muschio), loch (buca), tal (valle), tanna
(abete). Tesi confermata nientemeno che da Papa Ratzinger, il quale,
quando era ancora cardinale, una decina di anni fa, aveva scritto
allIstituto di cultura cimbra di Roana per incoraggiare «questa
tradizione culturale che unisce la Baviera ai Sette Comuni»,
e che «non mi sembra sia un lavoro folkloristico, ma un contributo
di cultura europea, di grande importanza spirituale, cristiana,
umana».
«È una cosa priva di senso», sbotta lo scrittore
Mario Rigoni Stern. Storicamente chiarisce non ci
sono motivi: «Cerano i confini con Trento, una volta,
ed erano confini veri, esiste ancora un posto che si chiama Osteria
del confine, e i nostri vicini non erano mica tanto tranquilli:
usurpavano i nostri pascoli e boschi, e spesso abbiamo avuto anche
degli scontri». Già nel 1496 lambasciatore della
Serenissima presso la Corte dellimperatore Massimiliano parlava
di «scaramucce frequenti e talora asprissime» tra i
montanari dellAltopiano e quelli trentini, oltre che di «sistematiche
ruberie e soprusi». Storia a parte precisa Rigoni Stern
gli interessi della gente dellAltopiano sono stati
sempre rivolti verso la pianura: «Basti pensare che il Tribunale
è a Bassano, la Corte dAssise a Padova, gli uffici
delle imposte a Tiene, quelli delle ipoteche a Schio. Con Trento
non cè alcun legame». Incalza Ermanno Olmi: «Mi
sembra che tutto questo fiorire di amor patrio, tutto questo anelito
verso il Trentino, in realtà non sia altro che un sentimento
molto interessato. Tanto che a questo punto, forse, varrebbe la
pena di chiedere direttamente lannessione alla Svizzera».
È stato ironicamente scritto che se la ride Siben, il piccolo
gnomo di Slaghe, (vecchio nome di Asiago), sotto la barba e il cappello
a punta. Ride, certo che tra non molto potrebbe far ritorno a casa,
nella terra dellantico popolo dei Cimbri, quelli che con i
Teutoni furono sconfitti dalle legioni romane di Mario. Si frega
le mani, Siben, che come un pifferaio magico potrebbe portare con
sé le 21 mila anime stanche di stare nel Veneto e vogliose
di spostarsi più in su o più in là, tracciando
una semplice linea di demarcazione sulla carta geografica, includendosi
in unaltra Regione, dove lerba è più verde
e gli zecchini crescono sugli alberi.
Altri gnomi esultano altrove, ma sempre in quelle aree da Terzo
e Quarto Mondo straccione e affamato che è notoriamente il
Norditalia. Così, se Lamon, Asiago, Cortina, Enego, Conca,
Lusitana, Gallo, Rotzo, Foza, Roana e le province di Rovigo, Treviso
e Belluno brigano per passare al Trentino-Alto Adige; se Cinto Caomaggiore,
Pramaggiore, Gruaro e Teglio Veneto optano invece per il Friuli-Venezia
Giulia; se Nasca, Ronco, Valprato e Ribordone reclamano il transito
alla volta della Val dAosta; se Castel Deci, Maiolo, Novafeltria,
Pennabilli e SantAgata Feltria invocano il trasferimento nellEmilia-Romagna,
nel contesto di una geografia mobile, provvisoria, interscambiabile
come i pezzi di vetro di uno specchio andato in frantumi, è
certamente perché un malessere profondo deve aver minato
alle radici questo nostro schizofrenico Paese: ed è un malessere
originato dalla caduta verticale dei valori primari sui quali si
era fondata, insieme con la nostra composita cultura, anche la nostra
non vile civiltà.
Oggi, il voto trasversale delle forze politiche dallestrema
destra alla sinistra radicale intende legittimare tutte le
transumanze possibili. E un motivo contingente cè:
è nel portafogli. Vogliamo provare a indovinare? LIva
prelevata in Trentino tanto per fare un esempio resta
tutta a casa; circa il 90 per cento del prelievo sulle persone fisiche
e sulle società è destinato agli enti locali; le province
di Trento e Bolzano (Bozen, pardon!) offrono contributi a fondo
perduto al 70 per cento delle imprese
Si chiama federalismo
fiscale, certo, e il principio non fa scandalo. Quel che scandalizza
è che il Paese dei campanili si trasforma nel callido Paese
dei referendum secessionisti a catena, che sintomaticamente portano
il cuore dove più intenso e ubriacante è lodore
della pecunia. Ed è proprio al gioco della carambola che
bisogna stare attenti, perché se tanto per fare un
altro esempio un politico simpatico come Mastella si ricorda
del grido di dolore del sindaco delle Tremiti, oppure della disponibilità
alpin-valligiana ad accogliere transfughi erratici da tutte le latitudini,
finisce che chiederà lannessione di Ceppaloni alla
Val dAosta, perché lì anche la benzina, per
gli indigeni, è quasi gratis, e se per caso o per avventura
uno si ferisce la falangetta del mignolo non si reca in ospedale
a piedi o a bordo dellutilitaria di un amico: chiama lelicottero
della Sanità regionale, che così fra laltro
non rimane inoccupato. Lunico difetto è che
gli aostani non possono fare i croupier. Ma siamo pur sempre nel
Belpaese, e chissà, una leggina ad hoc
Perché il nostro è diventato un Paese a geografia
variabile? Pensiamo al caso delle Province. Nel 1980 erano 95, e
quelli erano tempi in cui un largo schieramento politico proponeva
di abolirle. Oggi, a poco meno di trentanni di distanza, sono
diventate 110: quindici in più, (Biella, Verbano-Cusio-Ossola,
Lecco, Monza-Brianza, Lodi, Prato, Rimini, Fermo, Olbia-Tempio,
Ogliastra, Medio Campidano, Carbonia-Iglesias, Barletta-Andria-Trani,
Crotone e Vibo Valentia). E sebbene la riforma (federalista) del
Titolo V della Costituzione abbia previsto il loro ridimensionamento
a favore delle aree metropolitane, le proposte di leggi miranti
a costituirne altre sono numerose: in Parlamento se ne contano almeno
21, sparse in tutta la Penisola. Se approvate, il loro numero sarebbe
superiore a 130, con richieste di nuovi poteri, assimilabili a quelli
di Trento e di Bolzano, come prevede un progetto messo in campo
dai leghisti di Vicenza. Niente male, per enti destinati appena
qualche anno fa ad essere soppressi!

In questo contesto si inserisce il movimento dei Comuni da una
Provincia ad unaltra, purché confinante, come prevede
la riforma costituzionale del 2001. Con situazioni paradossali,
come quelle dei paesi della romagnola Valmarecchia, suggestiva terra
del celeberrimo formaggio di fossa (un pecorino da mangiare col
miele, e che lUnione europea cercò di far fuori per
motivi igienici inventati di sana pianta, ma suggeriti dai
concorrenti sleali di Francia, Germania e Olanda) e dello scrittore
Tonino Guerra, i quali hanno deciso di non essere più periferia
delle nobili contrade di Pesaro-Urbino, ma sempre periferia, alternativa,
della consumistica Rimini.
Dunque, non si tratta di spinte suggerite da presumibili identità
e tradizioni territoriali, ma da interessi economici e da logiche
politiche. Le nuove Province sono caratterizzate spesso da maggioranze
elettorali che, nei contesti di provenienza, sono minoritarie; riproducono
pressioni economiche, partitiche, personali; si attuano a conclusione
di un fitto gioco di scambi fra partiti, a livello nazionale, con
carattere bipartisan. Ne consegue, in ogni caso, una
crescita cospicua e generalizzata dei costi. Perché ogni
nuova Provincia prevede nuove sedi, nuovo personale, nuove spese
di bilancio; e nuovi amministratori, nuove commissioni, nuovi consulenti
Altro che alti ideali astratti! Le transumanze sono suggerite da
benefici e privilegi tangibili, quali quelli delle Regioni autonome,
a statuto speciale, che possono controllare le entrate locali, senza
dover rinunciare ai trasferimenti statali.
E cè un risvolto drammatico, in tutto questo tourbillon
di terre mobili: esso rappresenta con mesta efficacia lincapacità
di portare a termine le riforme avviate negli ultimi quindici anni;
di regolare in modo adeguato e coerente i rapporti fra centro e
periferia; di chiarire, in ultima analisi, quale Stato vogliamo
diventare.
Risultato? Un decennio e mezzo di leggi e leggine che hanno accentuato,
in modo disordinato, le competenze locali, senza indebolire il potere
centrale; forme di federalismo fiscale incomplete e arruffone; conflitti
diffusi fra Roma e le capitali regionali, fra Stato e Regioni, e
fra Comuni, Province e Regioni, ciascuno per sé e contro
tutti gli altri; diffusione di idee di riforma generale del sistema,
senza un progetto politico complessivo e chiaramente delineato;
moltiplicazione abnorme di capoluoghi; transiti non per vocazione
o in nome di unautentica identità territoriale,
come si ostina a predicare Franco Rocchetta, fondatore della Liga
Veneta (la madre di tutte le leghe), ma inseguendo i
criteri della massima convenienza e dellegoismo cinico, che
portano a smottamenti verso le Italie del Nord-Ovest e del Nord-Est,
fino a disegnare un monstrum bicefalo con capitali Trento e Bolzano,
oppure Aosta e Trieste: unirriconoscibile landa che culmina,
ovviamente, con lex Granducato di Toscana e con le prime propaggini
del fu Stato Pontificio: tutto il resto dello Stivale, come non
mancano di ricordarci un giorno sì e laltro pure gli
spiriti magni gravati dallinsopportabile peso dellopulenza,
altro non essendo che vera e propria Affrica.
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