Settembre 2007

La fiducia delle nazioni

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L’integrazione
nell’economia globale
Francis Fukuyama  
 
 

 

 

 

 

L’integrazione
nell’economia
globale produrrà prosperità per
tutti qualora sia fondata su passioni
e su istituzioni
piuttosto che
su cultura.

 

La fiducia tra nazioni, o negli affari in senso globale, poggia sulla natura della struttura legale e istituzionale all’interno della quale il commercio si trova ad operare. Sia all’interno di uno Stato, sia tra nazioni diverse, la fiducia può nascere da una o due fonti. La prima è “culturale”, e in essa la fiducia deriva da valori, tradizioni e storia comuni: in tutte le società, la fiducia prima si stabilisce all’interno della famiglia e tra consanguinei, poi lentamente si irradia attraverso un più largo spettro sociale. La seconda forma di fiducia si fonda su “interessi comuni”, e può esistere tra perfetti estranei privi di legami culturali, estranei che possono anche operare in differenti parti del mondo: questo tipo di fiducia è determinata dalle istituzioni.

Delle due forme di fiducia, la versione culturale è chiaramente la più naturale e diffusa, ma anche, allo stesso tempo, la più primitiva. Tutti gli esseri umani si organizzano in gruppi sociali primari o in comunità culturali, e praticamente ciascuno di essi ricorre poi a tali gruppi in momenti di crisi.
La seconda forma di fiducia allarga all’infinito il suo raggio potenziale: è la più duratura perché si basa sull’interesse personale, ed è il fondamento della moderna interdipendenza economica. La fiducia è sempre più ancorata all’interesse personale piuttosto che alla cultura, a mano a mano che i Paesi si modernizzano. La globalizzazione fornisce l’opportunità di espandere i mercati molto al di là della propria cerchia culturale, e richiede lo sviluppo di una struttura istituzionale impersonale e tuttavia articolata in modo che la fiducia possa instaurarsi anche tra completi estranei. L’intero apparato giuridico moderno e i meccanismi che esigono trasparenza nella gestione aziendale statale sono concepiti più per ovviare alla necessità di un tipo di fiducia a base culturale.
Si pensi a un caso esemplare: in Cina, e in società di lingua cinese, gli affari erano strutturati tradizionalmente attorno alla famiglia. Il confucianesimo è un’ideologia che pone le relazioni familiari al centro della sua etica: questo implica che il senso della fiducia in Cina era spesso riservato a parenti oppure ad amicizie personali molto strette; era molto difficile avere fiducia in uno straniero o entrare in un rapporto di affari con una persona con la quale non eri imparentato.
Questo sistema era tuttavia limitante: voleva dire che imprese a conduzione familiare non potevano evolvere in grandi aziende a gestione professionale; il nepotismo, inoltre, portava alla corruzione e all’incompetenza manageriale, (tutti problemi, questi, che vennero alla luce durante la crisi finanziaria dell’Asia dieci anni fa).
Lo stadio successivo nello sviluppo economico dell’Asia Orientale fu così quello di sostituire i rapporti di affari costituiti attorno a legami personali con rapporti ancorati a formali istituzioni legali ed economiche. Questo è un processo tuttora in atto; è più veloce in alcuni Paesi dell’Asia Orientale rispetto ad altri, e ha potenzialmente implicazioni notevoli sul piano globale sia in economia che in politica.
Quando riflettiamo sul tipo di fiducia che emergerà in Eurasia nei prossimi anni, ci si presentano le stesse possibilità: la fiducia può essere fondata su affinità culturali e storia comune, o su comuni interessi personali e istituzioni. Svariate ragioni politiche portano le Nazioni a schierarsi una accanto all’altra sulla base di dati culturali, etnici o storici comuni. La razionalità economica, tuttavia, esige che la fiducia si basi su criteri più impersonali: maggiore è il grado in cui le istituzioni di un Paese sono trasparenti e governate da leggi, e più rilevante è il ruolo che un Paese gioca.
La prospettiva dello “scontro tra civiltà” (Huntington) pone la nostra attenzione sul fatto che in molte parti del mondo ci si rifugia in stereotipi culturali, in politiche dell’identità individuale e in religioni politicizzate. Tutto questo però ci distrae da un’altra dinamica, rimasta forte per centinaia di anni: quella verso lo sviluppo di Stati moderni che possano detenere potere, far valere delle regole e anche, nello stesso tempo, porsi dei limiti. La globalizzazione può determinare degli effetti controproducenti, qualora le persone si ritirino in comunità chiuse; tuttavia la stessa globalizzazione lascia anche scorgere una via d’uscita da quel cul-de-sac.
Noi siamo testimoni, credo, del graduale profilarsi di un ordine internazionale fondato su leggi e istituzioni, anche se questo è un progetto a uno stadio assai meno avanzato. L’integrazione nell’economia globale durerà più a lungo e produrrà maggiore prosperità per tutti qualora sia fondata su “interessi” piuttosto che su passioni, e su “istituzioni” piuttosto che su cultura. Questa non è una prospettiva di tipo occidentale: la mia è, piuttosto, globale.

 

   
   
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