Mai come oggi
è stato chiaro che esistono almeno due Europe, in cui tutta
la storia
e lesperienza
comune si
specchiano
in modi diversi.
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Tanto clamoroso è stato il successo del progetto europeo,
che per il cinquantesimo anniversario della nascita della Unione
europea ci si sarebbe aspettati di vedere la gente ballare per le
strade. Invece, ahimè, è stato tutto un parlare di
fallimenti: il fallimento dellunione politica, il fallimento
della Costituzione, lincapacità di esercitare una leadership
globale e di avere una visione globale, lincapacità
di mettere in pratica riforme economiche, e via proseguendo con
la lista delle lamentele. «LUnione europea va avanti
per inerzia, è in una situazione di stallo, di profonda crisi»,
ha sostenuto Joschka Fischer, ex ministro degli Esteri tedesco,
una delle voci più autorevoli in Europa.
Ma tutte queste ansie e preoccupazioni sembrano decisamente fuori
luogo. Prendiamo il caso della Germania: alla fine della seconda
guerra mondiale, era una nazione stremata e devastata, con un passato
nazionalista dagli effetti catastrofici. Oggi, pienamente riabilitata,
è europea e democratica al modo di qualsiasi altro Stato
dellUnione; anzi, in questi ultimi tempi si è guadagnata
i galloni di Paese più importante del Vecchio Continente.
Gran parte del merito di questa trasformazione va attribuito allUnione
europea. Uno degli obiettivi primari dellUnione, al momento
della sua nascita, era stato quello di mettere la sordina al nazionalismo
germanico, promuovendo il regionalismo: unimpresa coronata
da successo, che è andata a beneficio di tutti gli europei.
Perché i tedeschi e gli altri cittadini del Vecchio Continente
non hanno celebrato questo importante traguardo, invece di impelagarsi
in chiacchiere disfattiste su crisi e impasse?

E poi, dove sarebbe questa crisi, dove sarebbe questa impasse?
Sul fronte economico, la zona euro se lè cavata più
che bene nel 2006, e quasi tutti gli esperti prevedono che nellanno
in corso lEuropa crescerà più degli Stati Uniti,
nonostante il pesante incremento dellIva in Germania.
Ma cè un fatto ancora più significativo: lassenza
di ununione politica non ha frenato ladozione delleuro
e della politica monetaria comune. Al contrario, a livello internazionale
leuro ha impiegato poco tempo a farsi accettare come una tra
le principali valute mondiali, (ha contribuito a questo risultato
la determinazione della Banca centrale europea nel tenere sotto
controllo linflazione), e questo è un segnale che il
progetto monetario procede senza ostacoli.
La valuta unica europea, attualmente, si sta rafforzando rispetto
al dollaro perché in Asia e nel Medio Oriente le Banche centrali
stanno aumentando la loro quota di riserve in euro: un chiaro voto
di fiducia nei confronti della nuova moneta e della Bce. Il successo
delleuro e il buon funzionamento della politica monetaria
comune sono la dimostrazione che è possibile realizzare progetti
europei importanti anche senza i vantaggi di ununione
politica effettiva.
Se gli Stati membri si sono dimostrati capaci di mettere da parte
le proprie divergenze quando si è trattato di creare una
politica monetaria comune, più complesso si è rivelato
mettere in piedi una politica estera comune. Su questioni come lIraq
e i piani statunitensi per installare un sistema missilistico difensivo
in Polonia e nella Repubblica Ceca, gli europei sembrano far fatica
a parlare con una voce sola.
La ragione è evidente. Nel campo della difesa, lEuropa
rimane eccessivamente dipendente dagli Stati Uniti. Nel caso di
alcuni membri (la Germania e lItalia) questa dipendenza è
più accentuata che in altri (la Francia), e dunque è
più probabile che le iniziative strategiche americane, in
quelle capitali, incontrino unaccoglienza più favorevole.
Fintanto che tali differenze persisteranno, resisteranno anche le
divisioni politiche dellEuropa. Ma raggiungere lindipendenza
dagli americani per quel che riguarda la difesa comporterebbe dirottare
verso la spesa militare ingenti risorse, oggi destinate a programmi
sociali: una prospettiva, questa, a cui finora gli europei non si
sono dimostrati interessati.

La diversità di voci non riflette, secondo linterpretazione
tradizionale, una mancanza di volontà politica di unirsi
e parlare con una sola voce sulle questioni strategiche: è
il risultato di una scelta implicita compiuta dagli europei. Molti
di costoro hanno deciso che è meglio tenersi lo Stato sociale,
rinunciando a una politica estera e di difesa comune, che richiederebbe
cambiamenti radicali nello stile di vita dei cittadini del Vecchio
Continente.
Con la scomparsa della minaccia comune rappresentata dalla vecchia
Unione Sovietica, inoltre, i partiti di sinistra europei stanno
assumendo tratti più marcatamente antiamericani. Un esempio
è la Spagna, dove, con lascesa al potere dei socialisti
di José Zapatero, la politica estera nazionale ha cambiato
radicalmente rotta, sconfessando il sostegno accordato dal precedente
Governo alla politica americana in Iraq, (è interessante
osservare, però, come il cambio di Governo in Italia abbia
avuto un impatto meno eclatante sulla politica estera nazionale,
per via della più marcata dipendenza militare del Belpaese
dagli Stati Uniti).
Ovviamente, con Paesi governati da partiti socialisti e socialdemocratici
e Paesi governati da partiti conservatori è difficile che
lEuropa possa parlare con una voce sola. Le cose potrebbero
cambiare se dovesse emergere una nuova minaccia comune, oppure se
i partiti conservatori diventassero antiamericani come quelli di
sinistra. Considerando lestrema impopolarità di George
Bush in Europa, la nascita di una destra antiamericana non è
più da considerarsi come una possibilità remota. Ma
con una prosperità economica senza precedenti, frutto dello
straordinario successo registrato dallUnione europea nellultimo
mezzo secolo, lunificazione politica può tranquillamente
aspettare. Non cè motivo per angustiarsi, anzi è
il caso di congratularsi.
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