Questi sistemi
finanziari obsoleti sono una delle principali ragioni del flusso
di denaro che
si riversa negli
Stati Uniti dai Paesi poveri.
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ile deficit commerciale statunitense, o le disfunzioni finanziarie
presenti in molti mercati emergenti.
È una paralisi a tre livelli. Innanzitutto, i Paesi ricchi
sono profondamente riluttanti ad accettare un piano dazione
collettivo che rischi di interferire con le politiche portate avanti
a livello nazionale. Il principale imputato, in questo caso, sono
gli Stati Uniti. I segretari del Tesoro amano da sempre impartire
lezioni ai colleghi stranieri sulla perfezione economica dellAmerica
e sui motivi per i quali qualsiasi Paese dovrebbe sforzarsi di emularli.
E pazienza se i nodi stanno per tornare al pettine, insieme al mercato
immobiliare americano: il segretario del Tesoro di Washington continuerà
a professare questa logica. Tuttavia non si può certo sostenere
che il fatto che in questo momento gli Stati Uniti sembrino avviati
a prendere in prestito dal resto del mondo circa 900 miliardi di
dollari costituisca un segnale di forza da parte degli americani
e di debolezza da parte degli altri.
È difficile riassumere in modo altrettanto succinto la cacofonia
di voci presenti in Europa. I francesi hanno un atteggiamento fortemente
ambiguo nei confronti della globalizzazione, la vedono come se si
trattasse di un esercito invasore. Latteggiamento britannico
è praticamente lopposto. Sia come sia, in generale
gli europei sono daccordo sul fatto che il loro sistema sia
quello che garantisce il migliore stile di vita, anche se le loro
economie sono meno efficienti di quella americana, in senso darwiniano.
Anche i ministri delle Finanze europei, dunque, non hanno tutta
questa voglia di riconoscere che cè la necessità,
per poter gestire i rischi della globalizzazione finanziaria, di
apportare importanti correzioni alle politiche adottate.

I giapponesi, al solito, cercano di tenere un profilo basso. Essendo
tra quelli che maggiormente beneficiano della globalizzazione, cercano
di evitare critiche alle loro politiche commerciali e finanziarie,
che restano assai più protezionistiche di quelle degli altri
Paesi ricchi. E sicuramente non vogliono doversi giustificare per
gli oltre 800 miliardi di dollari accumulati per contrastare lapprezzamento
dello yen, che tengono in ostaggio nelle loro riserve.
Anche i Paesi in via di sviluppo hanno le loro colpe. Troppi politici
sono ancora convinti che le aperture ai flussi di capitale internazionali,
imposte dallesterno, siano state le principali responsabili
delle crisi finanziarie degli anni Novanta: unidea che purtroppo
ha ricevuto un certo credito intellettuale, grazie a qualche economista
progressista che lha sottoscritta.
E poco importa se quasi tutte queste crisi avrebbero potuto essere
evitate, o quantomeno fortemente attenuate, se i Governi avessero
lasciato le loro valute libere di fluttuare rispetto al dollaro,
invece di adottare cambi rigidi. Lo spauracchio della globalizzazione
finanziaria è usato come scusa per continuare a tenersi stretti
sistemi finanziari interni inefficienti e monopolistici. Questi
sistemi finanziari obsoleti, incapaci di allocare gli investimenti
in modo efficiente, sono una delle principali ragioni del flusso
di denaro che si riversa negli Stati Uniti dai Paesi poveri.
Last but not least: il Fondo monetario internazionale, essendo lorganismo
internazionale incaricato di mantenere la stabilità finanziaria
globale, dovrebbe essere quello che assume il ruolo guida principale.
Anzi, è probabilmente lunico attore dotato di ununiversale
legittimità politico-intellettuale, sufficiente a indicare
una via dazione collettiva per affrontare la globalizzazione
finanziaria.
Il Fondo monetario, purtroppo, è paralizzato dalla necessità
di fare i conti con certi problemi di governance interna, il maggiore
dei quali è la mancanza di un metodo sensato per ricalcolare
il sistema di voti ponderati dei diversi Paesi, compatibilmente
con il loro accresciuto o diminuito peso, relativo alleconomia
mondiale. È quanto mai urgente, in modo particolare, dare
un maggior peso decisionale allAsia.

Che cosa dovrebbero fare, allora, i ministri che si riuniscono
periodicamente? La prima cosa è la litania consueta delle
politiche necessarie per gestire gli squilibri commerciali mondiali.
Tra queste politiche: maggiore disciplina di bilancio negli Stati
Uniti; maggiore affidamento sulla domanda in Europa e nellAsia;
tassi di cambi più flessibili in Asia.
Ma è tempo di andare oltre e di cominciare ad esercitare
pressioni decise per accelerare la liberalizzazione finanziaria
nei Paesi in via di sviluppo. La maggior parte degli studi indica
che questi Paesi dovrebbero far precedere qualsiasi apertura accentuata
ai mercati finanziari internazionali dalla liberalizzazione degli
scambi. È fondamentale anche la presenza di politiche macroeconomiche
volte alla stabilità, mentre sono da evitare il più
possibile i tassi di cambio fissi.
Numerosi Paesi in via di sviluppo, però, sono molto vicini
a raggiungere queste precondizioni. Ironicamente, il ricordo negativo
del primo, prematuro tentativo del Fondo monetario internazionale
di promuovere una liberalizzazione dei mercati dei capitali a lungo
termine rimane ancora oggi un ostacolo. Il tentativo del Fondo di
inserire nel proprio statuto la liberalizzazione dei mercati dei
capitali, avvenuto nel mezzo della crisi finanziaria asiatica degli
anni Novanta, fu una mossa disastrosa, sotto il profilo delle pubbliche
relazioni. Ora è arrivato il momento di riesaminare quellidea,
magari in una forma modificata, più sfumata. I sistemi finanziari
deboli presenti nei mercati emergenti rappresentano un importante
ostacolo a uno sviluppo equilibrato, e sono anche uno dei principali
fattori alla base degli squilibri commerciali globali.
Premere per unulteriore liberalizzazione dei mercati di capitale
dopo la débâcle degli anni Novanta sarebbe visto con
diffidenza. Ma lessenza di quellidea era valida allora
ed è valida adesso. In assenza di meccanismi più efficienti
per allocare i capitali, la crescita globale in questo nuovo secolo
rallenterà molto più in fretta del dovuto. I politici
non potranno sfuggire in eterno a questa realtà.
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