Il nostro Paese
è il più grande
trasformatore
di oro al mondo: 450-500 tonnellate lavorate ogni
anno dagli orafi più raffinati del pianeta.
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Una volta era il Gold Standard: il regime che fino al 1914 imponeva
agli Stati di garantire la convertibilità in oro delle banconote
emesse. Sospeso in via provvisoria in seguito al primo conflitto
mondiale, il regime venne poi abbandonato definitivamente dopo la
grande crisi del 29. E gli accordi di Bretton Woods del 1944,
secondo i quali doveva essere convertibile in oro almeno il dollaro,
saltarono a loro volta nel 1971.
Da allora, loro ha perduto per strada importanza, tantè
che tra il 1999 e il 2004 ben 2.000 tonnellate sono state immesse
sul mercato dalle Banche centrali della Gran Bretagna, dellOlanda,
dellAustria, della Germania, del Portogallo, della Svizzera
(soprattutto per finanziare i rimborsi per i beni ebraici incamerati
durante il nazismo). Poi, soprattutto dopo i recenti rincari delle
materie prime, il trend è nuovamente cambiato.
Come percentuale sulle riserve complessive, noi siamo quarti al
mondo (col 66 per cento), dopo l80,5 per cento della Grecia
(che però corrispondono a sole 112 tonnellate, trentesimo
posto in assoluto), il 77,4 per cento del Portogallo (382,6 tonnellate,
tredicesimo posto), e il 76,1 per cento degli Stati Uniti. A loro
volta, però, le 30.374 tonnellate doro di tutte le
riserve auree sono poco più di un terzo di tutto lo stock
di oro del mondo, arricchito ogni anno da una produzione di 2.200
tonnellate. Gli altri due terzi sono infatti trasformati in gioielli,
oppure vengono utilizzati nellindustria elettronica, spaziale
e medica. In particolare, l8 per cento delloro mondiale
finisce in protesi dentarie. La nazione più ricca di oro
al mondo è lIndia: appena 357,7 tonnellate di riserva
aurea ufficiale, ma 13.000 tonnellate possedute dai privati, visto
che il metallo pregiato in questo Paese è un tradizionale
strumento di accantonamento dei risparmi.
Lalta posizione in classifica delle nostre riserve auree può
apparire tanto più sorprendente se si pensa che nel passaggio
dal Regno alla Repubblica erano state drasticamente decurtate. Nel
44 le SS di Kappler misero infatti le mani sulle riserve di
Bankitalia, e anche su quelle di Belgrado, trasferite anchesse
in un sotterraneo di Via Nazionale, dopo che il regio esercito era
riuscito a impadronirsene nel 1941, al momento del crollo jugoslavo.
E di almeno una quarantina di tonnellate non si conosce la fine,
così come sono pure scomparse le altre riserve che i tedeschi
avevano già trafugato in Polonia, in Danimarca, in Norvegia,
in Belgio, in Olanda, in Lussemburgo, in Grecia: si favoleggia che
siano state occultate in depositi segreti sparsi tra la Corsica,
i laghi austriaci e il Monte Soratte.

Lavidità di oro non è stata comunque soltanto
una caratteristica dei nazisti. Già prima della guerra lUnione
Sovietica si era fatta dare il tesoro della Repubblica Spagnola,
per sottrarlo a Franco: mai più restituito. Dopo il 1945
il governo inglese avrebbe incamerato loro delle annesse allUrss
Estonia, Lettonia e Lituania custodito a Londra, per indennizzare
i propri cittadini vittime degli espropri subiti ad opera del regime
comunista.
LItalia non ha quasi produzione di oro: non più di
cinque chili allanno, provenienti in genere da miniere prima
sfruttate e poi abbandonate dai Romani in territorio alpino, particolarmente
nellarea della Valsesia. I primi produttori sono invece il
Sudafrica (oltre 700 tonnellate), gli Stati Uniti (circa 300 tonnellate),
lAustralia (248 tonnellate), la Russia (230 tonnellate). Le
riserve auree russe sono però appena dodicesime, con 401,7
tonnellate (due anni di produzione nazionale), anche perché
nel 1992 Mosca fu costretta a svendere a man bassa per far fronte
a una crisi di liquidità; e lAustralia è trentaquattresima,
con 79,8 tonnellate.
Il nostro Paese, tuttavia, è il più grande trasformatore
di oro al mondo: 450-500 tonnellate lavorate ogni anno, metà
ad Arezzo, e il resto per lo più tra Valenza Po e Vicenza,
dagli orafi più raffinati del pianeta. E ciò spiega
larcano.
Le riserve di Bankitalia
Le riserve auree della Banca dItalia ammontano a 2.452 tonnellate
(38 miliardi di euro), pari al 66 per cento del totale delle riserve
ufficiali, che tra oro e valute raggiungono un valore di mercato
attorno ai 60 miliardi di euro. Nel caveau al numero 91 di Via Nazionale
a Roma, in due grandi stanze, (ipotizzando un peso tra i 13 e i
14 chili), ci sarebbero circa 182 mila lingotti di forme diverse.
Si tratta della maggior parte dei lingotti posseduti dallItalia;
altri, infatti, si trovano nelle cantine blindate della Federal
Reserve di New York; altri ancora sono a Basilea, nelle casseforti
della Banca dei Regolamenti Internazionali. Nello storico Palazzo
Koch della capitale, oltre alloro, si trovano anche i gioielli
della Corona, congelati nel passaggio del 1946 dalla Monarchia alla
Repubblica, insieme con 800 mila monete doro, per la maggior
parte molto antiche.
Ma quante volte il tesoro di Via Nazionale è uscito dai forzieri
della Banca centrale? Uno dei viaggi più recenti delloro
italiano è stato quello della primavera del 1976, quando
54 tonnellate di metallo prezioso traslocarono sui libri contabili
di Via Quattro Fontane, dalle parti della Fontana di Trevi, entrando
nella sede dellUfficio italiano cambi. LItalia era in
grave crisi valutaria e il suo creditore, la Germania, chiedeva
garanzie: loro, appunto. Il metallo non fu spostato, ma la
distanza, percorsa contabilmente verso la Bundesbank, rimase ampia
fino al 1997, quando finalmente loro tornò a casa e
venne trasferito dal bilancio dellUic a Bankitalia. Governatore
era Guido Carli. Il prestito ottenuto da Bonn (allora capitale della
Repubblica federale tedesca) era stato pari a due miliardi di dollari.
E lo stesso Carli ha poi ricordato quanto fosse nella «memoria
di tutti lemozione dellopinione pubblica, lumiliazione
che essa fu convinta di subire» con questa operazione, di
cui peraltro il banchiere fu «strenuo sostenitore» perché
convinto che consentisse «di mobilizzare una risorsa altrimenti
inutilizzabile».
Molti più chilometri avevano percorso i lingotti (questa
volta fisicamente) durante il periodo delloccupazione nazista,
quando la Repubblica di Salò pose le nostre riserve alla
mercé dei tedeschi. Nel 1943 fu il maresciallo Badoglio a
consigliare al governatore Vincenzo Azzolini di trasferire le riserve
auree in Piemonte, oppure in Sardegna. Azzolini non seguì
il suggerimento, e dopo aver costruito un muro per nascondere il
tesoro, ne ordinò labbattimento dopo che un informatore
aveva avvertito il comando tedesco. Le circa 117 tonnellate doro
vennero prelevate dai tedeschi e trasferite dapprima a Milano, su
treni scortati da truppe del Terzo Reich, e in seguito a Fortezza
(Bolzano) su dodici vagoni, a due passi dal valico del Brennero.
Da qui, un altro viaggio verso la Svizzera, quando una quota delle
risorse venne usata per saldare alcuni debiti dellItalia con
la Banca dei regolamenti internazionali (Bri) e con un consorzio
di banche elvetiche. Unaltra quota del metallo prezioso si
spostò anche verso Berlino, nella sede della Reichsbank,
per tornare, dopo molte peripezie, nei forzieri di Via Nazionale.
Non tutto, però.
Dopo l8 settembre 43, Azzolini, accusato di aver ceduto
le riserve al nemico, sfuggì per un soffio al plotone desecuzione,
venne condannato, assolto e poi riabilitato.
Negli anni repubblicani, a più riprese qualche governante
ha cercato di puntare lattenzione sui lingotti. Lo stesso
Prodi, nel suo precedente governo, aveva accennato allipotesi,
bollata dal governatore Antonio Fazio come «unidea balzana».
Si capisce come i banchieri centrali siano gelosi dei loro lingotti
e restii ad assecondare le mire dei politici: «Cè
del metodo in questa follia», così sempre Fazio liquidò
con Shakespeare le tentazioni del premier.
Del resto, nella scorsa legislatura a quel tesoro aveva pensato
anche lallora ministro delleconomia Tremonti, e ancora
una volta Fazio spiegò che le riserve non si potevano toccare
perché «a presidio della stabilità delleuro».
Nella storia ormai centenaria della Banca dItalia, le riserve
(nellaccezione più ampia: di valuta e/o di metallo
pregiato) sono anche unarma potente, o una corazza non facilmente
perforabile. Si trovò a intaccarle lallora governatore
Carlo Azeglio Ciampi, per difendere la lira dai terribili attacchi
speculativi del 1992. «Munizioni», le definì
non a caso il futuro capo dello Stato per spiegare certe sue scelte.
Ma è anche capitato che Bankitalia abbia rivalutato il suo
tesoro, e che lo abbia persino incrementato, come quando comprò
oro dallUfficio italiano cambi, dieci anni fa: su questa vendita,
peraltro, lUic ottenne una plusvalenza sulla quale pagò
tasse pari allo 0,15 per cento.
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