Settembre 2007

I tre richiami del Governatore

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Cura Draghi: atto secondo
Filippo Cucuccio  
 
 

 

 

 

 

Bankitalia ha
un ruolo che viene meticolosamente declinato:
semplificazione della normativa, attenta vigilanza sulla reputazione delle banche,
accrescimento
della tutela
a beneficio
della clientela.

 

Ci si era lasciati un anno fa con la sensazione precisa dell’inizio di un nuovo capitolo della storia della Banca centrale in Italia e del suo ruolo nel quadro economico e sociale del Paese. L’imperativo di voltare pagina non si limitava peraltro a un monito generico, ma era supportato dalla fissazione di tre obiettivi qualificanti: credibilità, risanamento e crescita.
A distanza di dodici mesi quell’impegno programmatico non si è certo incrinato né tanto meno interrotto grazie anche alle periodiche esternazioni istituzionali del Governatore; anzi, è stato riproposto alla luce dei passi compiuti sul percorso virtuoso già tracciato, verificando i miglioramenti acquisiti e le manchevolezze perduranti del quadro di riferimento italiano calato in una prospettiva europea e internazionale.
In questa ottica – e siamo già ad una prima chiave di lettura delle “Considerazioni Finali 2007” 1 – spiccano per originalità e capacità di attrazione intellettuale i tre richiami dedicati alla dimensione del sociale e più in generale alle regole di convivenza civile.
Il primo richiamo è dedicato all’istruzione, un fattore considerato strategico per lo sviluppo del Paese, dove si impone un «cambiamento forte» 2. A confermare questa necessità non solo la modesta collocazione del sistema scolastico italiano nelle graduatorie internazionali, ma anche una caratterizzazione territoriale di accertato esito sfavorevole nel Sud d’Italia con significativi divari di apprendimento. Ne basti ricordare uno per tutti: un quindicenne su cinque nel Mezzogiorno (quindi il 20%) si ritrova in una condizione di «povertà di conoscenze», preludio ineludibile alla povertà economica.

Purtroppo le risultanze negative coinvolgono altri aspetti del sistema istruzione: dal reclutamento dei docenti ai loro percorsi di carriera con meccanismi perversi di precarietà e inamovibilità; dalla discutibile allocazione finale dei fondi pubblici destinati originariamente all’Università per privilegiare il finanziamento degli studenti più meritevoli e meno abbienti all’opportunità di introdurre nuovi criteri di concorrenza tra gli Atenei per attrarre i migliori docenti e ricercatori.
Il capitolo istruzione schiude l’uscio ad un secondo richiamo di portata ancor più ampia e non meno pressante riferito alla concorrenzialità sul mercato interno dei servizi pubblici e privati. Concretamente si tratta di introdurre dosi crescenti di liberalizzazione in ambiti essenziali e strategici – servizi energetici, di telecomunicazione, di trasporto, ecc. – per recuperare competitività e favorire la crescita del Paese (in effetti con onestà intellettuale Draghi riconosce che qualche passo in questa direzione è stato già fatto nel 2006!). Ed è sicuramente lodevole che una particolare attenzione si spenda su questo versante verso il comparto dei servizi pubblici locali, dal trasporto pubblico urbano alla raccolta/smaltimento dei rifiuti con un riferimento indiretto alla grave e ormai cronica situazione delle regioni meridionali.

Il terzo appello lanciato dal Governatore riguarda le manchevolezze della giustizia civile, segnata da una lunghezza abnorme dei procedimenti di primo grado messa impietosamente in luce dalla crudezza dei raffronti internazionali (una media di due anni contro i dodici mesi della Francia e i sei mesi scarsi della Germania). Lunghezza abnorme che trova le punte più elevate nel Sud d’Italia, maglia nera di questa particolare graduatoria, come risulta da una puntuale osservazione della durata media dei procedimenti che da Torino a Messina si triplica, passando da 500 a 1.500 giorni. Ma non si tratta solo di aspetti quantitativi: che dire, infatti, della discutibile qualità dei servizi forniti dalle amministrazioni pubbliche e dell’inefficienza dei processi decisionali condivisi tra Stato e Regioni?
La dimensione civile in cui si collocano le “Considerazioni Finali” e della quale si è finora dato conto non mortifica certo il ruolo degli spunti tecnici riferiti ai mercati finanziari e bancari, ma anzi li esalta, arricchendoli di una significativa valenza addizionale.
Con questa seconda chiave di lettura ci si può calare nel capitolo dedicato alle banche, dove si incontra una prima puntuale osservazione di natura strutturale che aiuta a valutare differenze e progressi registrati negli ultimi 12 mesi. Una delle critiche in passato rivolte ai nostri intermediari bancari riguardava l’insufficiente massa critica che impediva ad alcuni di loro di giocare un ruolo di players in grado di competere con gli esempi internazionali, nonostante le dimensioni comunque ragguardevoli raggiunte sul piano interno. Ebbene, se le prime due banche italiane nel 2006 si collocavano rispettivamente al 7° e al 18° posto della classifica europea per capitalizzazione di Borsa, le recenti operazioni annunciate dai consigli di amministrazione di queste banche le fanno balzare rispettivamente al 3° e all’11° posto.
Ma le novità non si esauriscono in questo ambito, visto che il fermento di crescita ha significativamente toccato anche il settore delle banche popolari con un processo di consolidamento che avrebbe fatto passare le prime tre banche popolari dal 49% dell’attivo di categoria al 73%, qualora tutte le operazioni di accorpamento fossero andate in porto (ma è ormai noto che così non è stato a causa del brusco arresto verificatosi nell’operazione di fusione della Popolare di Milano con la Popolare dell’Emilia Romagna).
Com’è intuibile, la realizzazione di queste operazioni non rileva solo sul piano della dimostrazione muscolare (quindi di natura quantitativa), ma si segnala per gli aspetti qualitativi, ponendosi come obiettivi il maggior valore per gli azionisti e la maggiore efficienza al servizio dei clienti; rifuggendo nello stesso tempo dalle tentazioni di un pericoloso indebolimento della concorrenza e dalla trappola di un mancato riversamento dei benefici delle economie di scala sulla clientela.
Tutto ciò è occasione propizia per Draghi per delineare un percorso virtuoso scandito da assetti di governo, articolazione societaria e strutture organizzative in grado di assicurare una sana e prudente gestione, tutelandosi dai rischi di reputazione e dagli insidiosi conflitti di interesse; orientandosi con decisione sulla rotta del contenimento dei costi e dell’innalzamento del rendimento del capitale (aspetto quest’ultimo insoddisfacente per la perdurante modesta qualità degli attivi).
Ma c’è anche una terza chiave di lettura che emerge in modo evidente da queste “Considerazioni Finali” e che bene inquadra il ruolo cruciale della Banca d’Italia nel contesto del sistema bancario nazionale e non solo.
Un ruolo che viene meticolosamente declinato nelle sue principali articolazioni: semplificazione della normativa senza inficiare il principio della stabilità, attenta vigilanza sulla reputazione delle banche, accrescimento della tutela a beneficio della clientela. Su ciascuno di questi tre delicati versanti Via Nazionale non ha lesinato il proprio impegno operativo, introducendo gradi di flessibilità, sostenendo il rispetto delle regole di trasparenza e favorendo il miglioramento degli standards comportamentali verso la clientela nell’ambito di una riconfermata centralità del valore della fiducia del pubblico verso le banche.
Ed è, inoltre, un ruolo – come sottolineato dallo stesso Governatore – che può essere definito «neutrale, non distaccato» e che è finalizzato a favorire la crescita del sistema bancario italiano nel nome di una sana concorrenza di mercato, egualmente rifuggendo dai pericolosi campanilismi e provincialismi tante volte manifestatisi in un passato anche ravvicinato.
C’è, poi, un ultimo passaggio in questo discorso del Governatore che merita a mio parere di essere portato all’attenzione del lettore: la consapevolezza di questa fase d’intensa trasformazione positiva del sistema bancario non deve essere fine a se stessa, ma tradursi in un incessante impegno comune di azionisti, imprese e famiglie a svolgere fino in fondo ciascuno il proprio ruolo nella società evitando con cura di scegliere scorciatoie pericolose, in particolare quella della commistione tra politica e banche.
Si dirà obiettivo ambizioso, ma comunque raggiungibile assumendo atteggiamenti proattivi e non cadendo prigionieri dei rimpianti per le occasioni perdute.
È, in definitiva, questo il messaggio più significativo utile a percorrere la strada tracciata e riconfermata da Draghi nel suo secondo atto in una prospettiva in cui abbondano gli aspetti di impegno civile e in uno scenario illuminato dalla stella polare del bene comune «essenziale per lo sviluppo duraturo del Paese».

 

   
   
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