Troppo spesso
si scommette su una ripresa che non si realizza. Nellultimo
decennio, quasi tutti i Dpef sono stati costruiti
su previsioni
rivelatesi errate.
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Alla base dei confronti politico-sociali che hanno condotto alla
messa a punto di un sofferto Dpef (Documento di programmazione economica
e finanziaria) cè una crescente e generalizzata mancanza
di conoscenza della realtà economico-sociale del Paese. Lo
dimostra chiaramente il dibattito recente: il sindacato è
in allarme per la caduta del reddito di fasce consistenti di lavoratori
dipendenti che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese, e
le organizzazioni dei lavoratori autonomi denunciano lo scivolamento
verso il basso del potere dacquisto di un numero rilevante
dei loro aderenti e liniquità degli studi di settore,
alla base della tassazione del loro reddito.
Si tratta di situazioni gravi che richiederebbero azioni incisive
e mirate sul piano della tassazione, ma è molto difficile,
quasi impossibile, passare dal racconto di casi singoli alla stima
complessiva dei fenomeni.
E non si può non rimanere perplessi quando si confrontano
questi segnali di impoverimento con le notizie di milioni di automobilisti
in marcia, in andata e in ritorno dalle vacanze, o con le centinaia
di migliaia di imbarcazioni da diporto ormeggiate nei porticcioli
turistici italiani. Una mancanza di conoscenza ancora maggiore riguarda
la situazione effettiva delleconomia sommersa e dellevasione
fiscale.

In altre parole, il quadro economico-sociale sul quale si dovrebbe
basare il Dpef è così pieno di incoerenze e di zone
dombra, che i suoi estensori sono costretti a lavorare quasi
al buio. Le forze politiche non conoscono più il Paese, e
il Paese non conosce più se stesso. Non si ha alcuna chiara
nozione di quanti e quali italiani abbiano sensibilmente migliorato
o peggiorato il proprio reddito negli ultimi anni, e questa ignoranza
è alla base delle sorprese elettorali. In queste condizioni,
risulta difficile mettere a punto programmi politici che non siano
semplici collezioni di buone intenzioni, e ancor più difficile
redigere un Dpef, documento che si vorrebbe pensato e meditato per
mesi e che assomiglia invece sempre più a una lavagna sulla
quale si scrive e si cancella affannosamente fino allultimo
minuto.
Il buio del Documento non riguarda soltanto lambiente economico
interno, ma anche quello esterno: troppo spesso si scommette su
una ripresa internazionale che non si realizza, oppure svanisce.
Nellultimo decennio, quasi tutti i Dpef (come i corrispondenti
documenti di previsione e di programmazione degli altri Paesi) sono
stati costruiti su previsioni rivelatesi errate, a cominciare da
quando, nel giugno 2001, si puntò su una forte ripresa nel
2002, poi travolta dagli attentati dell11 settembre alle Torri
Gemelle, fino al Dpef del 2006, che ha significativamente sottostimato
la ripresa in corso.
Il quadro laboriosamente tracciato per arrivare puntualmente alla
scadenza di fine giugno viene quindi spesso sconvolto e reso inutile
dal carattere non assestato della congiuntura internazionale. Precisamente
linstabilità internazionale rende vano il carattere
programmatorio del Documento, che forse andrebbe sostituito con
una sorta di dichiarazione di intenzioni o di linee
guida, e con lindicazione, più realistica, di
priorità e di alternative da seguire alla mutevolezza della
situazione corrente.
A queste difficoltà strutturali, il 2007 ha aggiunto linsolita
presenza del cosiddetto tesoretto, derivante dalla sottostima
della crescita e del gettito fiscale nel Dpef precedente. Limprevista
intensità della crescita europea e mondiale ha spinto allinsù,
ben oltre le previsioni, anche la crescita italiana e questeffetto
internazionale, combinato con una politica fiscale più severa
di quella del governo precedente, ha dato vita non già ad
un avanzo come si sarebbe portati a credere bensì
a un minor disavanzo. Il dibattito su come spendere il tesoretto,
che ha assorbito quasi tutte le energie che i partiti e le parti
sociali avevano dedicato alla politica economica, è stato
in realtà un dibattito su come riportare il disavanzo alla
quota prevista e concordata a livello europeo; si è trattato
sempre di spendere qualcosa che non si ha.
In questo dibattito si è tranquillamente ipotizzato che le
tendenze che hanno dato origine al tesoretto continuino
nei prossimi anni, e che quindi se ne possa disporre a piacimento
con riduzioni fiscali e/o con aumenti di spesa destinati a permanere
nel tempo.
Questa tranquillità è fuori posto: il tesoretto
potrebbe essere stato una specie di una tantum, ossia
un bonus irripetibile che una congiuntura mondiale capricciosa ha
regalato a unItalia di recente tartassata dalla malasorte.
Non vi è alcuna garanzia che si ripresenti puntualmente nel
2008 o nel 2009. Alcuni, sia pur piccoli segnali di stanchezza della
congiuntura europea e americana, comparsi negli ultimi tempi, dovrebbero
indurre a una certa prudenza. Vi è invece il pericolo che
a fronte di vantaggi temporanei si siano stabiliti oneri permanenti,
che il bilancio pubblico faticherà poi a sopportare; questo
pericolo è stato colto anche da varie organizzazioni internazionali,
a cominciare dallUnione europea.
Nella migliore delle ipotesi, questo Documento di programmazione
economica e finanziaria lascia invariato il quadro globale della
finanza pubblica e delleconomia italiana. Non è stato
affrontato il problema principale della finanza pubblica italiana,
che è quello di ridurre la spesa, a cominciare dalle pensioni,
e questo perché la spesa pubblica non può essere ridotta
senza una riorganizzazione dellamministrazione pubblica, che
è politicamente molto scomoda. Non si avverte, alle sue spalle,
alcun grande disegno di cambiamento, alcuna vera progettualità;
potrà rivelarsi, al massimo, lopera di un diligente
timoniere, costretto a navigare a vista, alla guida di unimbarcazione
vecchiotta, attempata, nella speranza che non arrivi nessuna tempesta.
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