Tutta la strategia di intervento
pubblico è
stolidamente
distorta in favore dei settori maturi a discapito di quelli innovativi
in cui il capitale umano assume
un ruolo
fondamentale.
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Sul fatto che lItalia, ed Eurolandia in generale, registrino
un ritardo preoccupante nello sviluppo tecnologico e nella capacità
di innovazione, pochi dissentono. Quanto ai rimedi, sussiste una
disparità di vedute e di ricette che finora non ha certo
aiutato a definire un quadro di interventi efficace. Anzi, lAgenda
di Lisbona solennemente sottoscritta dai governi dellUnione
europea è stata finora un vistoso fallimento. Si parlava
di rendere lUnione europea leconomia più competitiva
del mondo, in chiara concorrenza con gli Stati Uniti: impegni rimasti
sulla carta e nella memoria di pochi eurocrati. Tanto per rimanere
nel cortile di casa, qualcuno ha sentito più parlare dellIstituto
italiano di Tecnologia? Eppure era stato lanciato con progetti ambiziosi,
una sigla Iit che vagheggiava il mitico Mit, tanti fondi (almeno,
a parole), lobiettivo di far ritornare i cervelli, il legame
con lindustria. Tutto sparito dallo schermo radar.
Forse, più che su progetti faraonici, sarebbe meglio concentrarsi
su questioni pratiche e sulla rimozione di alcuni ostacoli palesi.
Senza la pretesa di suggerire rimedi miracolosi, vogliamo sottolineare
laspetto di un problema completamente trascurato, ma che,
dal nostro punto di vista, produce un fenomeno di crowding out per
gli investimenti nei settori innovativi e nella ricerca di punta
in Italia e nel resto dEuropa. Per di più, si tratta
di una distorsione che può essere rimossa senza costi e in
tempi brevi, soprattutto se a livello di Ue si riconosce lerrore
strategico commesso sia pure in nome delle migliori intenzioni.

Per chiarire, ricorriamo a un esempio. Se un imprenditore vuole
aprire uno stabilimento tessile (o qualsiasi altra impresa manifatturiera),
ha a disposizione diverse leggi e provvedimenti per ottenere sussidi,
agevolazioni, contributi statali o locali (in conto capitale o in
conto interesse), a condizione però che siano utilizzati
prevalentemente per lacquisizione di capitale fisico, vale
a dire di macchinari e di immobili.
Al contrario, un imprenditore che voglia creare unazienda
di software, che necessita soprattutto di capitale umano, cioè
di programmatori, non ha accesso ad alcun sostegno pubblico significativo:
al più, riesce a ottenere qualche spicciolo per acquistare
lhardware e un po di software, che comunque diverrebbero
obsoleti molto prima che la burocrazia esamini il progetto e sborsi
i fondi. In altre parole, se un imprenditore vuole investire in
macchinari e in immobili, lo Stato contribuisce al finanziamento,
se invece ha bisogno di un programmatore, non offre alcuna agevolazione.
Per riassumere: lintervento pubblico si concentra sul capitale
fisico e trascura quasi del tutto il capitale umano.
Ed è appunto questo il nocciolo del problema: i settori innovativi
e ad alto valore aggiunto oggi sono settori ad alta intensità
di capitale umano. I settori ad alta intensità di capitale
fisico sono quelli tradizionali e a più basso valore aggiunto.
Quindi, tutta la strategia di intervento pubblico volta a favorire
lo sviluppo è stolidamente distorta in favore dei settori
maturi (e senza futuro nei Paesi dellOcse), a discapito di
quelli innovativi in cui il capitale umano assume un ruolo fondamentale.
Comè possibile? Questa distorsione è figlia
di una concezione ottocentesca delleconomia, sposata in modo
acritico a livello Ue. Cercando di semplificare il discorso, secondo
questa concezione la crescita economica dipende dalla dotazione
di capitale fisico delleconomia. Maggiore è la dotazione
di capitale fisico, maggiore è la produttività del
fattore lavoro. Il capitale umano è indifferenziato, anzi,
per essere espliciti, è poco più che mera forza di
braccia. Ne consegue che gli incentivi pubblici alle attività
economiche sono giustificati soltanto se diretti allacquisto
di macchinari, di impianti e di immobili, perché aumenterebbero
la produttività e quindi lo sviluppo, mentre debbono essere
vietati se utilizzati per remunerare il capitale umano sotto forma
di salario. In altri termini, le direttive europee considerano gli
stipendi un costo di gestione, e come tale vietano in sostanza agli
Stati membri di sussidiarli, altrimenti si violerebbe il principio
di concorrenza.
Questa strategia di sviluppo economico ricorda molto da vicino i
Gosplan e il Grande Balzo in avanti, e presenta le stesse possibilità
di successo. Poteva avere un senso durante le fasi iniziali della
Rivoluzione industriale del XIX secolo, ma oggi è il patetico
residuo di un mondo scomparso.

A parziale giustificazione, vale la pena di osservare che esiste
un motivo fondato per questo atteggiamento anacronistico: troppo
spesso in passato i governi hanno tenuto in piedi aziende decotte
attraverso sussidi più o meno espliciti alloccupazione,
con la debole riprovazione di Bruxelles. Dunque, il divieto di finanziare
i costi di gestione fu imposto con lintento di limitare gli
interventi impropri dello Stato in economia. Ma la concorrenza viene
distorta sia che lo Stato agevoli le aziende per lacquisto
del capitale fisico sia che paghi parte degli stipendi. Essendo
il denaro fungibile è irrilevante, per esempio, che lo Stato
fornisca a una compagnia di bandiera i soldi per comprare gli aerei
o per pagare le hostess (Alitalia docet). La distinzione tra costo
del capitale e costo di gestione è del tutto artificiale
e priva di senso, figlia appunto della logica da Gosplan.
Allora non è questo il punto fondamentale. Quel punto è
che, o si vietano tutti i sussidi di qualsivoglia natura, oppure
se si accetta il principio che lo Stato possa incentivare
le attività economiche per stimolare lo sviluppo si
dovrebbe farlo con lobiettivo di finanziare progetti che abbiano
il rendimento più alto, o quanto meno le maggiori probabilità
di successo. Dal nostro punto di vista, sarebbe meglio che lo Stato
abolisse tutte le forme di sussidi e lasciasse al sistema finanziario
e al mercato dei capitali in generale il compito di valutare, finanziare
e rischiare sui progetti. Ma anni di dirigismo, di invadenza statale
e di regolamentazioni hanno lobotomizzato queste capacità
nellEuropa continentale. E a maggior ragione crediamo sia
inutile illudersi che in Italia il sistema finanziario riesca a
sviluppare in tempi brevi iniziative di venture capital che possano
rilanciare la crescita.
Sia pure come second best, potrebbe quindi avere un senso che il
settore pubblico lanci iniziative per supplire alla mancanza di
venture capital. Meglio sarebbe che i governi incentivassero lattività
di venture capital del settore finanziario, invece che affidare
la valutazione dei progetti e lallocazione di fondi ai burocrati.
In altre parole, che i fondi, anche se pubblici, fossero gestiti
da professionisti.
Ma laspetto rilevante da sottolineare è che il venture
capital deve finanziare idee e progetti sulla base della redditività,
senza preoccuparsi se essi richiedano capitale umano o fisico. Se
questo principio fosse applicato anche alle iniziative pubbliche
di sostegno allo sviluppo, eliminando lanacronistica e assurda
distinzione tra costi di capitale e costi di gestione imposta dallUe,
si potrebbe generare un forte stimolo agli investimenti in settori
ad alta tecnologia e alla ricerca applicata. Ad esempio, per dare
impulso alle biotecnologie è cruciale attirare i ricercatori
di punta. E una volta che la ricerca abbia dato frutti, è
indispensabile pagare coloro i quali la devono tradurre in applicazioni
e successivamente coloro i quali ne prepareranno il lancio sul mercato
e convinceranno i consumatori a comprarle. Sono tutte attività
che richiedono competenze professionali molto specifiche e sofisticate,
e, in proporzione, relativamente poco capitale fisico.
Su questa impostazione le politiche di sviluppo in Europa sono molto
indietro. E indietro rimarranno finché prevarrà la
visione ottocentesca di un modello di sviluppo basato sul capitale
fisico anziché su quello umano. Peggio, si bruceranno inutilmente
risorse, nel vano tentativo di competere oggi con le manifatture
cinesi e domani con quelle africane.
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