Settembre 2007

L’inchiesta / 2

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Altro che allegria!
 
 
 

 

 



 

Siamo al nuovo secolo-millennio, e i vecchi problemi si ripresentano con bruciante attualità. Come l’emigrazione, appunto, antico e irrisolto cancro del Sud. Solo che quella attuale verso il Nord Italia è profondamente diversa da quella del secondo dopoguerra.
Negli anni Cinquanta e Sessanta, la parte più povera della popolazione meridionale abbandonava le regioni meridionali rimaste prive di fabbriche e con un’economia agricola di rapina e di semplice sussistenza, attratta dalla nuova, travolgente industrializzazione che si stava sviluppando nel Settentrione. Quell’esodo di milioni di disperati cambiò il volto dell’Italia. Coloro i quali andavano a lavorare al Nord, affrontando incomprensioni, sacrifici, difficoltà di ambientamento, ma facendo leva sulla propria capacità di adattamento, sulla gran voglia di esercitare un mestiere quotidiano, avevano finalmente un futuro dignitoso e potevano contare su un reddito e su risparmi che in parte rientravano nel Mezzogiorno, grazie al flusso delle rimesse.
Oggi la questione è radicalmente cambiata. È mutato un panorama, ci sono altri colori del cielo e della terra. Come, del resto, sostiene il recente Rapporto della Svimez: l’emigrazione (circa 270 mila persone l’anno, cifra molto vicina ai 295 mila degli anni Sessanta) non riguarda più operai e braccianti, uomini di fatica, artigiani generici e sia pure versatili; interessa giovani laureati e diplomati. Una vera e propria fuga di “cervelli”, che priva il Sud delle migliori energie.

Inoltre, questo tipo di emigrazione non alimenta più rimesse dall’estero come un tempo, ma costringe le famiglie di origine a sostenere economicamente i propri figli che, con i loro magri stipendi, non riescono a sbarcare il lunario nelle grandi città del Nord, dove il costo della vita è più alto.
In altri termini: è il Sud a trasferire risorse verso il Settentrione, e non viceversa. Non a caso si è parlato di “Robin Hood al contrario”, che toglie alle regioni povere per dare – paradossalmente – a quelle più ricche. In dissenso con Angelo Panebianco, editorialista del “Corriere della Sera”, che, entusiasta di quel che sta avvenendo, testualmente titolava un suo articolo “Evviva la grande fuga dal Sud, come negli anni 60”, il viceministro Sergio D’Antoni, che ha delega al Mezzogiorno, sostiene che «correggere le derive assistenzialistiche non vuol dire [...] abbandonare il Meridione al proprio destino. Anzi, significa aiutarlo a sviluppare al proprio interno un’economia moderna e tecnologicamente avanzata, come alcuni Poli di eccellenza dimostrano [...]. Un obiettivo impossibile da raggiungere se fuggono proprio i cervelli».
E in questo discorso sembrano riecheggiare le parole che si sprecavano negli anni Ottanta, quando si prospettavano Californie meridionali, grandi progetti interregionali, Aree di sviluppo ad alta tecnologia, e poi si finì col tramonto dell’illusione collettiva, e con la veloce scomparsa dal dibattito politico e dalle agende dei parlamentari e degli economisti e degli stessi intellettuali dei termini dell’irrisolta questione meridionale.
Anche oggi si riparla di «creare le condizioni per evitare questa fuoriuscita di talenti», e di tener presente che «il Paese cresce se cresce anche il Mezzogiorno», e di non dimenticare che «non è possibile ipotizzare tassi di sviluppo economico pari a quelli europei se il Sud resta un vagone sgangherato che la locomotiva nordista deve trainare a fatica». E giù, come ai bei vecchi tempi, buoni propositi e promesse a piene mani, vecchi merletti già usurati e riemergenti da sofferenti latebre: abbattimento del cuneo fiscale differenziato tra Nord e Sud, trasformazione delle vecchie agevolazioni a fondo perduto e a pioggia in strumenti di incentivazione automatica e trasparente come i crediti di imposta sui nuovi investimenti e, a breve, anche sull’occupazione; e poi una prima sperimentazione della Fiscalità di Compensazione, con l’introduzione di una quindicina di Zone franche urbane sul modello francese; e per i giovani meridionali un programma di formazione a carico dello Stato attraverso stages o tirocinii nelle aziende, con l’idea di stipulare un voucher formativo che l’impresa potrà incassare se e quando assumerà quei giovani...
Intanto, come è detto più su, sono ripartiti i treni. E tanto per cambiare, il Sud è spremuto per arricchire il Nord. Robin Hood si è venduta l’anima e tornano alla ribalta le vecchie politiche, le vecchie parole d’ordine, le vecchie strategie... E c’è chi gioisce, al modo di un notista serio come Panebianco, perché la Storia si ripete!

 

   
   
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