Emblematico
delle difficoltà di accordi è il caso del bronzo
attribuito a
Lisippo, pescato
al largo di Fano
e acquisito da
un Paul Getty
Museum tuttaltro che innocente.
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La miliardaria americana Shelby White, dopo mesi di trattative
col governo italiano, ha accettato laccordo per la restituzione
del Piccolo vaso di Eufronio, (laltro, il Grande
vaso di Eufronio, era al Metropolitan, e dopo una serie di polemiche
e di prese di posizione decisive da parte italiana ci era stato
ridato). Il Piccolo vaso è un gioiello dellarte
classica. Era stato trafugato nel nostro Paese molti anni fa. Ora
farà ritorno in Italia, insieme con altri otto pezzi
archeologici, che la collezionista statunitense ha deciso di restituire.
Chiuso un contenzioso, se ne apre un altro: è stata data
dallItalia unestrema opportunità al Getty Museum,
e forse non è lontano un accordo per il rientro nel nostro
Paese delle opere scavate di frodo e illegalmente esportate negli
Stati Uniti e acquistate dal museo, inaugurato a Malibu nel 1974,
riaperto al pubblico lo scorso anno, dopo un decennio di restauri,
e in possesso di 44 mila reperti archeologici.
I reperti da restituire a noi sono una cinquantina, e fra laltro
comprendono la Venere di Morgantina, (scavata in Sicilia negli anni
Settanta, scolpita nel V secolo a.C., alta circa due metri, acquistata
dal Getty nel 1988), i Due Grifoni che sbranano unantilope,
(pagati dal Getty 7 milioni di dollari al mercante di Londra Robin
Symes, mentre il trafficante laziale Giacomo Medici possedeva una
foto del momento in cui erano stati appena scavati, dunque prima
ancora del restauro), e il Bronzo datleta, attribuito a Lisippo
(pescato al largo di Fano nel 1964, portato a Gubbio e a lungo nascosto
in Italia, poi migrato clandestinamente al Getty, che lo comperò
nel 1977 per 5 miliardi di lire).
Quello del Getty è il problema numero uno. A tutti i musei
doltre Atlantico lItalia richiede opere di cui vi è
levidenza del trafugamento illecito dalla Penisola. In questi
mesi i dirigenti del Getty sono cambiati, e lItalia ha deciso
di proporre loro unultima possibilità di collaborazione:
le nostre autorità hanno inviato la bozza di un accordo dettagliatissimo,
con lelenco delle opere richieste, insieme con un programma
di cooperazione culturale e scientifica ad ampio raggio. Non si
nasconde una certa trepidazione: da certi messaggi ricevuti, si
avverte la possibilità di una svolta positiva, anche se i
tempi sono scaduti. Ma se non si chiude positivamente laccordo,
la conseguenza potrebbe essere solo limmediata interruzione
di ogni forma di collaborazione, vale a dire un vero e proprio embargo.

Tra tutti i musei americani, il Getty sembra essere il più
sordo, il meno disponibile ad un accordo. Dopo quelli con il Metropolitan
(il notissimo Moma) e il museo di Boston, lItalia ha trovato
un agreement con il museo di Princeton e, appunto, con Shelby White,
vedova di Leon Levy, la vip statunitense che ha finanziato
la nuova ala greco-romana del Metropolitan e che possiede una cospicua
collezione, anche questa inquinata. E proprio per togliere
ogni ombra di sospetto la miliardaria ha deciso di stare al patto
con lItalia, con un gesto rilevante, perché non cè
un obbligo giuridico alla restituzione di opere darte appartenenti
a una collezione privata.
Ora alcuni esperti e alcuni politici italiani si augurano che al
più presto il nostro Parlamento approvi le nuove norme presentate
alla Camera contro i predatori, con più efficaci
indagini e pene più severe nei loro confronti. Infatti, è
davvero sorprendente il fenomeno dellarcheologia saccheggiata
in Italia. È spaventosamente superiore a quanto si possa
immaginare. E colpisce in modo particolare lintreccio, instaurato
da decenni, fra trafficanti, mediatori spregiudicati e curatori
di collezioni per privati danarosi e per musei pubblici. Ogni capitolo
delle indagini (e si pensi alla tenacia di valenti magistrati che
si occupano del settore, oltre che dei carabinieri del Nucleo per
la Tutela del Patrimonio Artistico) ha svelato verità inimmaginabili,
che si leggono come un vero e proprio romanzo: ma romanzo a tutti
gli effetti criminale.
Colpa di un Paese troppo a lungo distratto da tuttaltre faccende?
Di sicuro, un Paese indegno delle ricchezze darte e di storia
che possiede. Un Paese di scarsa o nulla dignità, che continua
a trascurare leredità ricevuta dalla Storia. Una terra
di rassegnata incapacità di gestione del patrimonio, ritenendolo
con ogni probabilità sovrabbondante: non a caso fino a una
quindicina di anni fa la maggior parte dei nostri musei erano più
chiusi che aperti, le aree archeologiche permeabili come gruviere,
i magazzini stracolmi, i restauri lentissimi, le valorizzazioni
pressoché sconosciute. E, su tutto questo, laltro malanno:
il desiderio di società ricche, primi fra tutti gli Stati
Uniti, in cui cresceva il fascino per larcheologia, che spingeva
a dotarsi di collezioni di livello, senza andare tanto per il sottile.
Tutto questo ha alimentato un circuito infernale di scavi clandestini,
di oscure mediazioni, di traffici illeciti.
Ottimismo per il futuro? Vediamo un po. Ci sono stati accordi
di grande portata, per esempio con la Svizzera (pensiamo che la
Venere di Morgantina risultò acquistata a Chiasso da un cambiavalute,
il quale dichiarò di possederla per eredità di famiglia,
smentito però da sua sorella, che stava dietro al bancone
di un bar). Negli ultimi anni, poi, cè stata una sorta
di svolta culturale: siamo un poco più attenti al nostro
patrimonio artistico, del quale stiamo imparando ad apprezzare il
valore, oltre che economico, anche di attrazione turistica. E gli
archeologi e gli studiosi internazionali hanno cominciato ad isolare
i musei corrivi con acquisizioni sospette.
Emblematico delle difficoltà di accordi è il caso
del bronzo attribuito a Lisippo, pescato al largo di Fano e acquisito
da un Paul Getty Museum tuttaltro che innocente, dal momento
che sostiene falsamente che si trovava non in acque territoriali
italiane, ma in acque internazionali. È doveroso attendere
ora il pronunciamento della Procura di Pesaro, che ha aperto un
nuovo procedimento sul trafugamento della statua.
Dunque, la Venere (due metri di altezza, 2400 anni di età,
una delle opere darte più preziose del mondo antico)
dovrebbe tornare, mentre, secondo il direttore del museo di Malibu,
a Los Angeles, Michael Brand, il bronzo di Lisippo «è
statua greca, ritrovata in acque non italiane, sicché le
richieste avanzate dallItalia non hanno alcun fondamento giuridico».
E come no! Il Getty è disponibile a restituire al nostro
Paese 26 opere, su 52 richieste: e già il numero, oltre che
cospicuo, delle restituzioni è indicativo dellattività
di filibustering portata avanti dal museo americano.
Davvero esemplare la vicenda della Morgantina. La Corte dAppello
di Caltanissetta, con sentenza del 13 gennaio 2003, dispone la confisca
della statua a partire dal giorno seguente. Il verdetto mira a risolvere
la contesa sullAfrodite esposta al Getty, che lItalia
rivuole indietro. Dopo mesi di lettere minacciose, cui seguivano
decisi rifiuti da parte del museo americano, riemergono vecchie
sentenze che sciolgono ogni dubbio.
Tutto inizia da un processo, intentato nel 1986 contro un tabaccaio
e cambiavalute elvetico, Renzo Canadesi. Costui vende la statua
per 400 mila dollari allantiquario londinese Symes, che, a
sua volta, la cede al Getty, nel 1988, per 18 milioni di dollari.
Canadesi viene condannato dal Tribunale di Enna «perché,
al fine di trarne profitto, acquistava o comunque riceveva una statua
di donna drappeggiata con il corpo in pietra calcarea e la testa
di marmo, risalente al V secolo a.C.». Lopera, chiarisce
la sentenza, proviene da scavi clandestini e il tabaccaio lha
acquistata «pur conoscendone lillecita provenienza».
La scultura è stata rubata dallantica città
di Morgantina, nei dintorni di Aidone (Enna). Canadesi è
inoltre condannato a due anni di reclusione e a 10 milioni di lire
di multa. Il 13 gennaio 2003 la Corte dAppello di Caltanissetta
lo assolve per prescrizione del reato. Il giudice dispone però
la confisca dellopera. Ma il Getty non batte ciglio: non sa
(o finge di non sapere) della sentenza, oppure ha deciso di infischiarsene?
Ad Aidone migliaia di persone scendono in piazza, reclamando il
capolavoro. Il Getty interrompe le trattative, che poi, di fronte
alle vibrate proteste del governo italiano, è costretto a
riprendere e a concludere: entro la fine di questanno lAfrodite
tornerà allarea siciliana di origine.
Ma così, secondo alcuni pensatori (ma di pensiero debole)
americani, non dovrebbe essere per il bronzo attribuito a Lisippo.
Agli italiani non capita molto spesso di essere accusati di imperialismo.
Eppure, è esattamente a questo che pensa Kwame Anthony Appiah,
che insegna filosofia allUniversità di Princeton, quando
sente rivendicare in nome dellappartenenza al patrimonio culturale
italiano statue come quelle dellAtleta o altri reperti archeologici
o infine opere darte in genere. Dice il professore: «Sento
lespressione patrimonio culturale italiano oppure
eredità nazionale e immagino gli artisti greci
o etruschi rivoltarsi nelle tombe. Stiamo parlando di oggetti creati
prima della nascita delle nazioni moderne da persone che non si
sentivano certamente cittadini italiani. Magari si ritenevano culturalmente
greci o romani, ma se glielo avessi chiesto probabilmente avrebbero
detto di essere ciprioti, o ateniesi».

Il sillogismo del docente di filosofia non si ferma qui. Pur non
entrando nel merito della proprietà dei pezzi contesi, sostiene
che nessuno mette in discussione la legge: se qualcosa è
stato rubato, i diritti del legittimo proprietario devono essere
garantiti. Ma secondo lui, un londinese cresciuto in Ghana che si
occupa di questioni legate alletica e allidentità
di una società sempre più cosmopolita, cè
qualcosa di stonato nel pensare che la grande arte debba per forza
risiedere nel Paese dove venne prodotta migliaia o centinaia o decine
di anni fa: «Quello della territorialità è un
modo di pensare alle opere darte che non solo è un
po provinciale, ma che può risultare controproducente.
Perché secondo lo stesso principio i musei romani dovrebbero
restituire tutte le opere di dubbia provenienza da altri Paesi,
a partire dalla Grecia e dallEgitto. Alla Libia dovrebbero
tornare i monumenti dellImpero romano creati durante la campagna
africana. E tutti quei quadri di artisti nordeuropei che hanno lavorato
per i papi?».
Di chi sia veramente una grande opera darte sostiene
ancora il docente di filosofia spesso è un concetto
del tutto arbitrario. Venezia non sarebbe come la conosciamo adesso,
senza i costanti contatti con lEstremo Oriente: e queste contaminazioni
non si sono mai arrestate, afferma il professore, il quale sembra
ignorare del tutto i contatti assai più forti, profondi e
costanti della città lagunare con il Vicino Oriente.
Un esempio dei nostri giorni? Presto detto: «Si pensi alle
Demoiselles dAvignon, il quadro di Pablo Picasso che secondo
alcuni ha dato inizio allarte contemporanea: lispirazione
viene da una scultura di un villaggio del Congo mostrata a Picasso
da Henri Matisse a casa dellamericana Gertrude Stein, e il
quadro ora è al Moma di New York, che lo ha comprato. E va
benissimo così, ma andrebbe bene anche se fosse a Madrid,
a Parigi o a Pechino. Chiedersi di chi sia, o se sia spagnolo o
francese o congolese o americano, è sbagliato: è patrimonio
dellumanità».
Appiah riconosce che in questo momento il diritto internazionale
è talmente carente, che minaccia la tutela stessa delle opere
darte: «Basti vedere cosa è successo in nome
del concetto di proprietà nazionale al museo di Kabul, nel
2001, al tempo delleditto dei talebani contro larte
pre-islamica. Consapevole del fatto che molti capolavori erano a
rischio, Paul Bucherei, uno studioso svizzero, era riuscito a negoziare
un accordo con esponenti talebani moderati per trasportare le opere
fuori dallAfghanistan. Ma in nome dei trattati contro i traffici
illeciti di opere darte, lUnesco rifiutò di autorizzare
la spedizione in Svizzera, Paese che avrebbe ospitato temporaneamente
quei pezzi. Di più: a un meeting dellUnesco, Bucherei
venne criticato duramente. Fino a che ispettori talebani si presentarono
al museo e distrussero i capolavori dellarte pre-islamica.
Certo, si tratta di un caso estremo, che riflette però i
limiti della legge: il problema non sono i funzionari dellUnesco,
che hanno fatto solo il loro dovere, ma le leggi che ruotano attorno
allidea di patrimonio nazionale».
Certamente le leggi sono carenti. Ma sono stati complici di un atto
di criminalità contro le opere darte proprio gli ottusissimi
funzionari dellUnesco, che si trovavano al cospetto di un
caso eccezionale, e che avrebbero dovuto avere il coraggio
civile e culturale di prendere provvedimenti eccezionali
per la salvaguardia di un patrimonio darte afghano a tutti
gli effetti, e a disposizione della cultura planetaria. Ma il materialismo
pragmatico di radice tutta wasp è duro a morire. Sostiene
infatti Appiah che persino le opere darte rubate in Italia
dovrebbero restare negli Stati Uniti. Ecco il ragionamento sottile
del docente di filosofia: «Dopotutto, non credo che ci sia
una carenza di grande arte greco-romana in Italia; che ce ne sia
poca in California invece è sicuro. Intendiamoci, io trovo
che sia bellissimo e molto stimolante ammirare Caravaggio nel suo
contesto naturale, per esempio nella chiesa di Piazza del Popolo,
per la quale è stato dipinto. E per questa ragione sono convinto
che i marmi del Partenone che sono al British Museum dovrebbero
essere ad Atene. Ma solo perché hanno più senso lì,
non certo perché fanno parte del patrimonio culturale greco».
Facendo lipotesi che lItalia avesse bisogno di personaggi
così abissalmente pensosi, e che dunque Appiah fosse cittadino
italiano, che cosa farebbe in proposito? Davvero sorprendente la
risposta: «Continuerei la mia battaglia legale sui pezzi di
dubbia provenienza. Ma una volta chiarito che si tratta di proprietà
del governo italiano, mi chiederei se è veramente meglio
che tornino in Italia, o se non sia più opportuno che stiano
al Getty o in qualche altro museo. Organizzerei, per esempio, unesposizione
itinerante di tutti i pezzi rubati per mostrarli in Africa o in
America Latina: ovunque ci siano persone troppo povere per viaggiare.
Oppure proporrei scambi con grandi musei asiatici: non mi sembra
che ci siano molti esempi di grande arte cinese a Napoli o a Firenze.
Ne farei unopportunità per allargare a tutti la possibilità
di godere del bello».
E così trovano degna giustificazione scavi clandestini, traffici
illeciti, appropriazioni banditesche. Coraggio, professore. Si dia
da fare per esibire in Africa, in America Latina e in Asia gli scalpi
degli affari truffaldini dei suoi connazionali. Ma per la sua salute
come diceva un gran poeta non transiti mai per lItalia,
dove ci si vergognerebbe persino di stringerle la mano.
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