Settembre 2007

SE RIMORSO E NOSTALGIA SI FANNO CANTO

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Chicago del blues
Sergio Bello
 
 

 

 

 

L’intuizione
della repressione sessuale è anche qui materia di canto, di musica ritmata, di respiro ansimante, come in certe strofe che trasvolavano le
distese cotoniere del Mississippi.

 

Come giugno delle tarante? Non proprio, anche se sempre di raccoglitori si tratta: mietitura del grano di qua, con i riti pagani trasferiti di peso in quello di San Paolo intriso di danza e di musica; e raccolta del cotone di là, con le voci dei neri che si dispiegavano tra i latifondi delle rive del Mississippi, a riecheggiare il dolore della schiavitù, della deportazione, del taglio delle radici.

È affascinante, ma resta improprio il confronto: c’è cultura antropologica mediterranea nella pizzica suonata e ballata, come del resto nel blues; ma in fondo si tratta di schiavitù diverse, una lenita dalla “consacrazione” religiosa, l’altra avvilita dalle catene alle caviglie. Quella avvolta nella pietà del parentado, anche nell’attesa del ritorno, del ri-morso; questa ostinata nella ferocia della nullificazione dell’identità.
Eppure, sempre di dolenti canti popolari si tratta: contadini l’uno e l’altro, di cultura immobile, di ritmi però differenti, ossessivamente incalzante uno, profondamente ondulare l’altro. Musica del Santo, il primo; musica del diavolo, il secondo. Espressione di due “profondi Sud” entrambi. Dell’Italia (e delle tradizioni di Grecia-Magna Grecia-Grecìa Salentina infine) e del Nordamerica, (con Chicago simultaneamente centro di convergenza e di irradiazione).
Note storia e cronistoria delle “terre del rimorso”. Un po’ meno quelle dei canti dei raccoglitori di pelle nera. Il punto nevralgico d’osservazione, allora, è la capitale dell’Illinois, dove si parla esclusivamente il linguaggio di quei canti e di quella musica: Sweet Home Chicago, come recitano le note scritte da Robert Johnson, uno dei padri del blues.
Chicago è davvero un luogo straordinario, uno degli snodi della musica americana, una delle città che ha visto nascere il jazz, dove è fiorito – appunto – il blues, dov’è nata persino la techno: un baricentro dove i suoni e le culture si sono sempre incontrati e dove ancora oggi è possibile respirare pièces nei mille club che trasformano questo luogo in un gigantesco jukebox naturale, e nelle strade e nelle piazze in cui centinaia di musicisti mettono alla prova dal vivo le proprie composizioni.
È una tradizione che dura da ottant’anni. È la città dove vennero realizzati i primi dischi di jazz: King Oliver incise con la New Orleans Jazz Band e Louis Armstrong formò i suoi Hot Five e Hot Seven. Qui si sviluppò l’era dello swing, così come avvenne a New York e a Kansas City, dove le jazz band fiorirono nell’illegalità del proibizionismo, suonando al cospetto di Al Capone e dei suoi temibili “boys”. E anche l’avanguardia, negli anni Settanta, trova in Chicago il terreno di sviluppo naturale, con i grandi geni dell’improvvisazione e con i padri dell’Art Ensemble.

Ma Chicago è soprattutto la patria del blues, una sorta di naturale laboratorio permanente nel quale la musica afro-americana ha saputo crescere e svilupparsi: sulla scorta della lezione di artisti del calibro di Big Bill Broonzy, Ma Rainey, Blind Lemon Jefferson, raccogliendo la lezione del boogie woogie, qui il blues ha definito i contorni della sua identità urbana, favorito dall’invenzione (successiva) della chitarra elettrica.
Il blues urbano era un’espressione più agile e violenta di quello tradizionale, i suoi caratteri incarnavano i ritmi e le tensioni della vita e del lavoro dei neri nelle città del Nord. Per molti il blues stesso si identifica col particolare stile del blues di Chicago, quello reso celebre da Muddy Waters, da Elmore James, da Howlin Wolf, un suono di chitarre elettriche su note allungate, di armoniche a bocca amplificate dai microfoni, e un ritmo pulsante di basso elettrico e batteria, sul quale si intrecciano i suoni di un pianoforte boogie e voci profonde e cavernose.
Chicago ha definitivamente trasformato il blues in una musica capace di raggiungere pubblici diversi, grandi platee miste del mass market, venendo fuori dai ghetti e influenzando intere generazioni di musicisti da una sponda all’altra dell’Atlantico. In un certo senso, fu il trionfo del blues del Delta, trasformato e adattato allo spirito di una grande città. Infatti: sonorità melanconiche, testi crudi e realistici, intrisi di riferimenti sessuali espliciti. Nato alla fine dell’Ottocento fra gli schiavi africani nelle piantagioni di cotone allo sbocco in mare del grande fiume americano, negli anni Trenta seguì i lavoratori di colore, diventati operai, e si trasferì nelle metropoli.
Al modo della nostra pizzica: “Santu Paulu miu de le tarante / ca pizzachi le vagnune ‘mmienzu all’anche...”. L’intuizione della repressione sessuale è anche qui materia di canto, di musica ritmata, di respiro ansimante, come in certe strofe che trasvolavano le distese cotoniere del Mississippi. Oggi, la pizzica ha varcato le frontiere tradizionali, è andata oltre, ha portato linguaggi e note in terre vergini, con una sua non piccola rivoluzione, con una sua propria prorompente rinascita cercata, perseguita con ostinato amore e raggiunta da gruppi spontanei ormai celebri in tutta Italia, e, oltre la Penisola, ovunque l’emigrazione abbia portato braccia e cervelli di meridionali ad esprimere la propria, antica civiltà del lavoro.

Lo spirito del blues e quello della pizzica-taranta, dunque, vivono ancora, proseguono nei rispettivi percorsi per partenogenesi, alimentano conoscenza, aggregano fans, animano i giorni e le notti delle città e dei villaggi, occupano le scene con disinvolta modernità. E mentre nella Grecìa Salentina riecheggiano laboratori a cielo aperto, inesauribili nelle loro capacità inventive, che arricchiscono la “musica del Santo” fra le danze di ragazze scarmigliate e bellissime e lo sventolio dei loro candidi fazzoletti, Chicago torna ad essere la città dove il diavolo ha deciso che la sua musica doveva diventare elettrica. Canti e ritmi sul delta del fiume-padre, canti e ritmi nella terra del grico, splendida lingua tagliata: è vita, allora; è la prova che blues e pizzica, diversi ma magmaticamente intriganti, sono vivi.

 

   
   
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