Fuori i profeti
dellantimodernismo dalla politica,
fermiamo il mondo, e invitiamo costoro a scendere.
Altrimenti, per
il bene di tutti,
scaraventiamoli giù.
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John Maynard Keynes, il celebre economista britannico, avrebbe
definito laccordo sulle pensioni in Italia come una vittoria
cartaginese. Utilizzò questa espressione nel suo saggio
Le conseguenze della pace, che profeticamente illustrava come sarebbero
state nefaste per il mondo le condizioni superpunitive del Trattato
di Versailles e imposte alla Germania nel 1919. Il quartetto composto
dai Primi ministri britannico, David Lloyd George, italiano, Vittorio
Orlando, francese, Georges Clemenceau, e dal presidente degli Stati
Uniti, Woodrow Wilson, concordò con miopia, dopo cinque mesi
di accanite trattative, un accordo che cedeva ad un unico estremismo:
quello francese. A dispetto della propaganda, il wilsonismo e i
suoi 14 Punti, la base moderata per negoziare la resa che aveva
convinto i tedeschi a deporre le armi, naufragarono per mancanza
di leadership, di comprensione da parte dellEuropa e di contenuti.
La leadership, vale a dire la capacità di intuire gli eventi
nel breve e nel medio-lungo periodo, di comunicare, di educare (dal
latino educere) e di creare proseliti, è una delle tematiche
più affascinanti e dibattute della recente pubblicistica,
soprattutto in campo manageriale.
La storia si ripete. LItalia, come molti Paesi occidentali
caratterizzati da democrazie mature, soffre di un deficit cronico
di leadership politica. Esistono, è vero, alcuni sparuti
talenti, ma non esiste la massa critica che sappia interpretare
il proprio ruolo al passo con i tempi e le esigenze del nuovo scenario
complesso delleconomia e della società moderna.

Il secolo breve, il Ventesimo, si è concluso
con una vittoria schiacciante: il trionfo del sistema capitalistico
rispetto a qualsiasi altra forma di organizzazione economica, comunismo
in primis. Ne è conseguita una nuova e travolgente fase di
espansione economica e di integrazione delle economie, agevolate
dalla rapidità ed efficienza del mercato dei capitali che,
sfruttando lomogeneizzazione delle tecnologie abilitanti,
ha colto le opportunità fornite dalle liberalizzazioni e
dalle privatizzazioni. In una parola: la globalizzazione. Il mondo,
come affermava lo stesso Keynes, era altrettanto globalizzato nel
1914.
Quella che viviamo è però molto peculiare rispetto
a qualsiasi altra epoca: lintegrazione delle economie è
avvenuta grazie al rule of low, (secondo legge), opposto
a quello delle armi, sulla base di un codice anglosassone condiviso
per condurre gli affari in più di 200 nazioni indipendenti,
contro le sole 50 del 1900.
Abbiamo vissuto lera clintoniana (1993-2001) percependo il
mondo come un mercato senza frontiere da conquistare attraverso
un business plan. Durante lo stesso periodo, e incredibilmente,
giudicavamo la politica come un costo da sopportare e le chiedevamo,
principalmente, di legiferare in favore di un commercio, soprattutto
elettronico, ancora più libero e fluido grazie a Internet.
Da questa lunga bonanza nasce la prima asimmetria di questa fase
della globalizzazione. Le aziende si regionalizzano e globalizzano,
accumulando competenze e risorse tecniche e finanziarie, ma, soprattutto,
di capitale umano, senza precedenti. La guerra per accaparrarsi
i migliori talenti (ingegneri, economisti, matematici, fisici, chimici)
è confinata ai grandi del settore privato.
E i risultati lo dimostrano. Le aziende non hanno mai prodotto tanti
profitti come in questi ultimi anni. È una cifra colossale:
più del 15 per cento del Prodotto interno lordo cumulato
di Stati Uniti, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia, Italia
e Canada, cioè i Paesi del G7. Questo avviene in maniera
concentrata e non distribuita. Negli Stati Uniti, ad esempio, l1
per cento dei più abbienti riceve il 16 per cento di tutti
gli stipendi contro l8 per cento del 1980.
Allo stesso tempo la politica si svuota, perde attrattiva per i
giovani, smarrisce la sua missione e perde il contatto con questa
fase frenetica, intensa e sempre più complessa delleconomia.
La politica si localizza sempre più in virtù del meccanismo
di ricerca del consenso democratico. La globalizzazione favorisce
i progetti di delocalizzazione delle produzioni, esporta posti di
lavoro verso le economie dove il costo del lavoro è più
basso e alimenta nella popolazione occidentale sentimenti di insicurezza
e di paura circa il futuro. La politica non intermedia, e quando
lo fa è goffa, con politiche protezionistiche come negli
Usa per lacciaio o in Europa per il tessile.
Il baricentro del mondo si sposta verso Est con lemergere
di giganti quali lIndia e la Cina. Nel 2005 il Pil della Cina,
se misurato con potere di acquisto locale e non a tassi di cambio,
è passato dal quarto al secondo posto nel mondo, dietro gli
Stati Uniti. Secondo lo stesso metodo, lIndia è già
la quarta potenza mondiale. Le stime prevedono che nel 2040 la Cina
sarà la prima economia al mondo, seguita a ruota dagli Usa
e, quindi, dallIndia.
A quella data lItalia non sarà nel novero delle prime
dieci economie planetarie. Questo avviene, tra gli altri motivi,
perché India e Cina si riposizionano rapidamente su segmenti
a più alto valore aggiunto scientifico e tecnologico, grazie
alle università che oggi laureano più ingegneri di
qualsiasi altra nazione a un ritmo, rispettivamente, di 700 mila
e 500 mila lanno.
Queste sono proiezioni economiche che vanno interpretate con giudizio
e senso storico. Non contemplano probabili incidenti di percorso
come, per esempio, lavvento di un governo in India ancora
più a sinistra piuttosto che lambizione della classe
media cinese di diventare protagonista della politica creando scontri
con il Partito comunista centrale. Rimangono in ogni caso delle
potenze economiche che è bene non sottovalutare, perché
non più solo low cost.

In questo stesso periodo, la politica crea ampi vuoti in termini
di proposte e soluzioni che vengono colmati dalla società
civile e organizzazioni non governative che danno voce al malcontento
e allinsicurezza. Spesso questi movimenti sono populistici
e cavalcano il malcontento, ma non ne sono leader.
I mass media, grazie al web, cambiano anchessi in modo radicale.
Il vecchio circuito centralizzato di costruzione dellopinione
basato sul potere delle televisioni di individuare, riportare e
informare le popolazioni in tempi e metodi prestabiliti viene, incrementalmente,
soppiantato dallinformazione à la carte: ogni navigatore
accede al web, seleziona le sue fonti e si crea un palinsesto su
misura. Con una piccola, grande variante: che le informazioni su
Internet non sono controllate, nel bene e nel male, e le fonti non
sono sempre attendibili.
Fin qui, lanalisi. Ma la soluzione? Nellodierna globalizzazione
esistono tre livelli. Nei primi due, quello geopolitico trans-nazionale
e quello regionale, sono in corso lavori di profonda ristrutturazione
per adeguare missione, strategia, processi e capitale umano alle
nuove sfide. Nel primo livello, in particolare, tutte queste istituzioni
sono state fondate tra il 1944 (Fondo monetario e Banca mondiale)
e il 1975 (G5, poi diventato G7+Russia). Altra epoca, altre sfide.
Entrambi i settori impiegheranno degli anni. La soluzione e lopportunità
devono partire dal locale, dove i leader hanno giurisdizione, potere
rappresentativo e interesse a creare comunità il più
possibile coese: operare allinterno della megacommunity, cioè
la sfera dove convergono interessi economici, sociali e politici
che, se non intermediati e ottimizzati, generano conflitti, favorendo
tutti gli estremismi.
Lo scenario, quindi, è strutturalmente cambiato, mentre persistono
ancora atteggiamenti da fine anni Ottanta, in quasi tutti i settori.
È tempo che i leader dei tre settori-cardine del nostro convivere
prendano seriamente in considerazione che le sfere di influenza
e di competenza sono mutate e che sono necessari un nuovo contratto
sociale e nuove competenze per continuare nellattuale traiettoria
di sviluppo. La globalizzazione è un processo positivo che
va guidato e intermediato (non fermato) appunto dalla politica,
e non può essere lasciato alle sole forze e leggi di mercato.
Basti ricordare che il Pil pro-capite delle nazioni che hanno abbracciato
la globalizzazione è cresciuto in media del 2 per cento allanno
negli ultimi ventanni e che tale processo aiuta a mantenere
bassa linflazione e quindi il relativo costo del denaro.
Continuare a sostenere con ottica da compartimenti stagni che alla
politica spetta la creazione del consenso, e che la società
civile sia entità trascurabile, non è più tollerabile.
Dal canto loro, i leader delle aziende devono comprendere che la
creazione del valore per lazionista è possibile se,
e solo se, ci siano supporto e adesione generale.
In Italia il movimento anti-tutto, alimentato da scienziati
formatisi sui manuali del Bignami, rischia di tagliarci ancora fuori
dal novero delle nazioni industrializzate ben prima del 2040. Oggi
le istanze sociali devono diventare parte dellagenda strategica
del Consiglio di amministrazione e del top management, non per invadere
la sfera della politica, ma per creare valore per lazionista.
Un tempo le imprese studiavano i militari e adottavano i loro schemi
di comando per forgiare le organizzazioni aziendali. Oggi, la politica
che ricomincia a comprendere il valore della formazione e della
meritocrazia può e deve attingere al know how delle aziende
per capirne le esigenze non solo domestiche, ma soprattutto
internazionali.
La comprensione di ciò che accade sui mercati internazionali
è fondamentale per riconquistare quel primato e quella leadership
per intermediare e quindi forgiare politiche che rispondano alle
esigenze del tessuto produttivo. Lunione di queste forze non
può non includere la società civile, che è
spesso lasciata in balia di demagoghi che fomentano paure, specialmente
quando si tratta di materie complesse e tecnologicamente complesse.
È necessario creare una cultura della convivenza con quei
lati meno confortevoli dello sviluppo. In Italia ciò esiste,
per esempio, nelle comunità che, nel silenzio mediatico generale,
ospitano stoccaggi dellex patrimonio nucleare. Gli otto candidati
alla Casa Bianca hanno affrontato sulla Cnn il pubblico del web
attraverso il collegamento con YouTube, un sito il cui contenuto
e il cui successo sono forniti dai clienti, che poi ne sono, virtualmente,
i proprietari. Il primo spot di Hillary Clinton è andato
su Internet.
E la par condicio? I telegiornali, i salotti di Porta a porta,
Anno zero, Ballarò fanno opinione
così come dieci anni or sono? Siamo ancora negli anni Ottanta.
È abbastanza paradossale che, con fierezza, oggi affermiamo
che negli anni Cinquanta la Rai ha aiutato a creare gli italiani
repubblicani e a diffondere la nuova cultura, e negli anni Sessanta
ha sviluppato uninformazione tra le migliori al mondo; e,
allo stesso tempo, siamo scoraggiati, perché con più
mezzi, oggi, tarpiamo il possibile nuovo concerto dei media.
Alta velocità, rigassificatori, riconversione a carbone pulito,
nucleare, termovalorizzatori, autostrade, ponte sullo Stretto di
Messina: negato da un pugno di luddisti e di demagoghi, e dagli
appecoronati che li seguono, tutto ciò che è strumento
di ingresso nella modernità; e poi mancato smantellamento
delle corporazioni, enti inutili voraci e insopprimibili, caste
e sottocaste, e poi ancora cartelli del crimine inestirpabili, il
Sud per tanta parte alla deriva terzomondista, la questione morale
che non si risolve anche per questioni ideologiche e settarie: tutto
questo e altro ancora non ci procurerà neanche le vittorie
cartaginesi, al modo di quelle del 1919.
Niente di tutto ciò ci porterà a una guerra, ma determinerà
limpoverimento del Paese, la fuga dei talenti e dei capitali,
le gravi difficoltà che dovranno affrontare le nuove generazioni,
le problematiche terrificanti che porrà un melting pot italo-afro-asiatico
che rischia di trasformare il giardino dellEuropa in una promiscua
e ingovernabile casa di accoglienza di diseredati che non può
sfamare né curare, neanche in forza del più propenso
relativismo civile e culturale.
Fuori gli statolatri e i profeti dellantimodernismo dalla
politica, dunque, perché il tempo è prezioso, le economie
dinamiche corrono a velocità esponenziale, lantropologia
civile e culturale di tanti popoli, al contrario della nostra, è
in forte evoluzione. Fermiamo il mondo, e invitiamo costoro a scendere.
Altrimenti, per il bene di tutti, scaraventiamoli giù.
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