Il mondo si è
capovolto: un buon numero di Paesi che stavano
sotto ora stanno sopra e cercano
di consolidare
questa posizione.
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Immaginate di vivere in un villaggio situato ai piedi di una parete
di roccia bella e compatta che immagazzina calore e difende dai
venti freddi. Improvvisamente si scopre che la parete non è
solida come si immaginava ma, anzi, è piena di crepe, e che
potrebbe franare da un momento allaltro; su questa possibile
frana, però, non cè nulla di certo, potrebbe
anche verificarsi fra centanni o non verificarsi mai. Che
cosa faranno gli abitanti del villaggio? È possibile che
si prendano una gran paura, che smettano di investire e pensino
di trasferirsi altrove, e in questo caso leconomia andrà
in crisi; è ugualmente possibile che, passato un primo momento
di sconcerto, decidano di accettare il rischio, facciano labitudine
a vivere allombra della frana, e che per conseguenza nelleconomia
del villaggio tutto continui più o meno come prima.
Ebbene, quel villaggio è leconomia globale, quella
parete di roccia è il dollaro, quelle crepe sono i segnali
di debolezza della moneta americana, derivanti, fin dal 2005, soprattutto
dallaumento del prezzo in dollari del petrolio e dalla riduzione
del risparmio, privato e pubblico, negli Stati Uniti; a questi si
sono aggiunti, nel 2007, sintomi preoccupanti per quanto riguarda
i mutui fondiari e il settore edilizio. Per conseguenza, nei prossimi
mesi leconomia mondiale sarà dominata dallo spettro
del possibile sfaldamento di questa roccia, di un suo franare sul
villaggio globale e dalle reazioni degli abitanti del villaggio
per sottrarsi alle conseguenze negative della (eventuale) frana.
Naturalmente, il problema non è solo economico, ma comprende
importanti aspetti politico-strategici e gli economisti, non essendo
degli indovini, non sanno come andrà a finire; si può
però affermare con sufficiente sicurezza che la supremazia
del dollaro, sempre dallultima guerra mondiale in poi, viene
ormai chiaramente posta in discussione.

Il motivo di questa messa in discussione è sostanzialmente
semplice: alla fine della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti
detenevano più della metà delle riserve valutarie
ufficiali (a quel tempo auree), e dagli Stati Uniti proveniva circa
la metà della produzione del pianeta. Mezzo secolo di crescita
globale ha eroso, comè naturale, questa posizione dominante,
e il loro peso sulla produzione mondiale è sceso a circa
il 30 per cento. In più, gli Stati Uniti sono divenuti debitori
netti per il peso della loro posizione politico-militare internazionale
e per la propensione a un modello di vita basato su forti consumi
privati, non importa se finanziati con prestiti allestero.
Per molto tempo questa erosione non ha avuto alcun effetto pratico
e quasi tutti i Paesi del mondo, compresi alcuni accaniti avversari
politici degli Usa, hanno continuato, in un modo o nellaltro,
a fare ampio uso del dollaro perché la qualità e la
varietà dei servizi e dei prodotti finanziari degli Stati
Uniti erano nettamente superiori a quelli di qualsiasi altro Paese
o gruppo di Paesi al mondo: sui mercati finanziari americani tutto
può essere rapidamente monetizzato, ossia reso liquido, le
valutazioni tecniche dei rischi sono rapide e accurate, i rendimenti
spesso più elevati a parità di rischio e i nuovi progetti
industriali e le innovazioni tecnologiche sono finanziabili più
facilmente che altrove. È questo il cosiddetto soft power,
il potere leggero dellAmerica che ha continuato
per decenni ad attirare sotto la Statua della Libertà tutti
coloro che, da una parte allaltra del mondo, volevano sinceramente
fare affari e diventare ricchi.
Nel giro di pochissimi anni è cambiato tutto, e questo cambiamento
si è accentuato negli ultimi mesi: il costo della lotta al
terrorismo e dellattività bellica connesso a questa
lotta nonché la riduzione del carico fiscale nel tentativo
di evitare a ogni costo una battuta darresto delleconomia
non solo ha mandato pesantemente in rosso il bilancio pubblico,
ma ha anche colorato di un rosso ancora più pesante i bilanci
familiari, per cui oggi la famiglia media americana spende più
di quanto incassa e spera di far quadrare i conti con i guadagni
di Borsa o laumento di valore degli immobili. Per conseguenza,
la fine di questi guadagni e di questi aumenti potrebbe innescare
effetti particolarmente devastanti sulleconomia americana.
Va poi aggiunto che dallo scandalo Enron e dagli altri che lhanno
seguito è emerso un incredibile concentrato di leggerezza
e malafede ai vertici del capitalismo americano che ha reso necessaria
lintroduzione di leggi severe. Per conseguenza, le grandi
transazioni finanziarie sono divenute più lente e costose
negli Usa, al punto che sono le stesse Borse americane a cercare
legami in altri Paesi e a trasferirvi parte della loro attività.
In altre parole, gli Stati Uniti hanno puntato meno sul soft power
e più sullhard power, il potere pesante
dellesercito, e il dollaro ha fatto registrare una brutta
scivolata: negli ultimi mesi il suo calo rispetto alleuro
ha superato l8 per cento, che si aggiunge a una storia ormai
lunga di debolezza (una flessione di circa il 35 per cento sui massimi
di nove anni fa).
Leuro si è rafforzato rispetto al dollaro non solo
dal punto di vista quantitativo, per effetto di questa scivolata,
ma anche e soprattutto da quello qualitativo, dal momento che dalla
moneta europea passa ormai una parte ragguardevole delle transazioni
finanziarie mondiali. Alle modificazioni delleconomia americana
fanno così da contrappunto le variazioni delleconomia
internazionale: nella classifica mondiale della produzione la Cina
è salita al terzo posto dopo Stati Uniti e Unione europea,
mentre in quella delle riserve valutarie si trova addirittura al
primo, e il modo in cui impiega queste riserve determina di fatto
il cambio dollaro-euro. La capacità dei principali Paesi
asiatici di esprimere grandi progetti industriali, buone tecnologie,
sofisticati strumenti finanziari, è cresciuta in maniera
sorprendente in un tempo brevissimo, e abbiamo visto così
multinazionali indiane comprarsi lindustria europea dellacciaio
e multinazionali cinesi acquistare grandi imprese elettroniche americane.
Il mondo si è, per dir così, capovolto: un buon numero
di Paesi che stavano sotto ora stanno sopra
e cercano di consolidare questa posizione.
Le violente cadute della Borsa americana nel 2007 rappresentano
uno degli aspetti più vistosi di questa transizione e pongono
interrogativi di fondo sulla capacità dellattuale sistema
finanziario mondiale di riuscire ad assorbire tutte queste spinte,
mantenendo invariata la propria struttura. A questo interrogativo
nessuno può onestamente dire di avere una risposta, così
come nessuno può onestamente negare che il problema esista:
la soluzione scaturirà da milioni di decisioni economiche
indipendenti di operatori, risparmiatori e mercati, ma soprattutto
la scriveranno i due centri effettivi di controllo della finanza
mondiale, ossia la Fed, la Banca centrale degli Stati Uniti, e la
Bce, la Banca centrale europea.
Dalle finestre del loro quartier generale di Washington, i dirigenti
della Fed possono vedere a poca distanza la Casa Bianca in cui il
presidente Bush è divenuto per usare il gergo politico
americano unanatra zoppa, (il presidente
non è più rieleggibile e si avvicina al termine del
mandato) e la collina del Campidoglio dove siede un Congresso violentemente
ostile al presidente. Dallalto del suo grattacielo di Francoforte,
la Bce non ha addirittura nulla da guardare; la mancata approvazione
della Costituzione europea ha lasciato i guardiani delleuro
privi di interlocutori e per conseguenza essi agiscono esclusivamente
in base a parametri finanziari senza alcun confronto dialettico
con la dimensione politica, se si eccettuano alcune dure prese di
posizione del presidente francese Nicolas Sarkozy.
La partita delleconomia mondiale sarà giocata quindi
in prima linea da Fed e Bce. Al timone della Fed cè
Ben Bernanke, un accademico valente che spera di convincere i cinesi
e gli altri asiatici a rivalutare le proprie monete e stimolare
i consumi interni, realizzando così un aggiustamento
morbido per il dollaro; gli fa difetto il carisma del suo
predecessore, Alan Greenspan, in grado di orientare i mercati con
poche battute, talora enigmatiche. Tra Bernanke e i mercati ci sono
state in questultimo periodo numerose incomprensioni, le più
recenti delle quali riguardano le difficoltà del settore
mutui fondiari: mentre Bernanke si mostrava rassicurante, il numero
delle rate dei mutui non pagati saliva e per conseguenza il prezzo
delle case scendeva e le Borse si mettevano a tremare. Il governatore
americano avrà il compito difficilissimo di convincere sia
i suoi concittadini sia gli operatori finanziari di tutto il mondo
che leconomia americana ce la può fare.
Per il suo omologo europeo, il francese Jean-Claude Trichet, le
cose si presentano solo apparentemente più facili: presto
dovrà decidere se controbilanciare un eccesso interno di
liquidità e conferire così alleuro unulteriore
patente di stabilità, oppure se dare maggior peso alleconomia
reale e lasciare i tassi come stanno. Leccessiva buona salute
delleuro frena le esportazioni e con esse la già risicata
espansione europea; unopinione diffusa, basata su studi affidabili,
indica nel cambio di 1,40 dollari per euro una sorta di linea
del Piave oltre la quale gli effetti di freno sarebbero molto
difficilmente controllabili.
La manovra del cambio chiama in causa la Cina, altro Paese che da
sempre controlla strettamente il valore internazionale della propria
moneta e che, insieme ad altri Paesi asiatici, sta dando vita ad
una sorta di sistema di cambi fissi. È linizio di un
nuovo dollaro asiatico concordato tra Cina, Giappone, Corea del
Sud e le altre tigri? È troppo presto per dirlo,
ma gli osservatori avveduti dovrebbero guardare la scena con molta
attenzione.
Dietro questo balletto delle monete cè un altro convitato
di pietra: il petrolio. Sullentità delle riserve petrolifere
sfruttabili sono state dette molte falsità, e di recente
lAgenzia internazionale per lenergia si è mostrata
molto preoccupata. Pur con possibili alti e bassi, tutti scommettono
sullaumento del prezzo; che nel solo 2007 ha ridistribuito
a favore dei produttori la bellezza di circa 500 miliardi di dollari,
luno per cento del prodotto lordo mondiale.
Questo denaro è mobile, instabile, e potrebbe anchesso
giocare un ruolo decisivo nellassetto economico mondiale.
In particolare, i produttori arabi non sono più propriamente
felici di investire direttamente queste somme negli Stati Uniti
per paura di essere identificati con il discorso terrorista e di
rischiare eventuali confische. Preferiscono utilizzare mediatori
inglesi, il che spiega la crescente fortuna della piazza di Londra,
e si stanno creando a Dubai un proprio centro finanziario internazionale.
Cari lettori, se, arrivati al fondo di questo articolo, vi sentite
piccoli piccoli e un po sperduti in questo mondo dinamico
e disordinato, qualche buona ragione sicuramente lavete. Leconomia
europea nel suo complesso ha perso dimportanza nello scacchiere
mondiale a seguito dellascesa asiatica, ma leconomia
italiana ha perso di importanza anche allinterno dellEuropa
perché poco presente nei settori veramente strategici e dinamici
come lelettronica, lenergia, le telecomunicazioni.
Abbiamo cominciato faticosamente a rendercene conto e abbiamo ripreso
a crescere, e non mancano segni promettenti nelle banche e nelle
grandi come nelle piccole imprese; questa crescita, però,
è inferiore a quella media europea e per conseguenza continuiamo
a perdere terreno, anche se più lentamente di prima; ci vorranno
lustri, se non decenni, oltre a molta fortuna, per ribaltare una
simile situazione.
Dobbiamo cominciare a renderci conto che una manovra dei tassi decisa
a Francoforte può essere più importante di una Legge
finanziaria decisa a Roma (la quale, a sua volta, deve avere lapprovazione
di Bruxelles). Se il mondo eviterà passaggi bruschi, leconomia
italiana continuerà lentamente a migliorare, ma nulla ci
toglierà di dosso, per molto tempo ancora, un alone di precarietà.
Di fronte a tutto ciò, sono naturalmente condizioni necessarie
il miglioramento della situazione del debito pubblico e leggi migliori
per le imprese.
Non si tratta però di condizioni sufficienti, in quanto siamo
in balia di una congiuntura mondiale che nessuno più controlla:
forse, con un gesto molto italiano, ci conviene incrociare le dita
e sperare che le ondate non squassino troppo la barca, vecchiotta
e bellissima, della nostra economia.
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