I distretti della
manifattura
leggera oggi sono in crisi, partendo
dallentroterra
barese e
spingendosi verso la Basilicata
e verso sud, in
provincia di Lecce.
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È stato scritto che è piuttosto difficile scendere
a Sud senza i pregiudizi alimentati da decenni di questione
meridionale, anche nel momento in cui ha assunto centralità
strategica nello sviluppo complessivo del Paese unaltra questione,
quella settentrionale, strumentale e ingombrante, non sapremmo dire
quanto realisticamente riconducibile a una rete di avanzamento economico
e sociale nazionale, e non piuttosto a tattiche di egoismi territoriali
alimentati e supportati rumorosamente da politici e da potenti mass
media che sono stati storicamente disponibili a difendere evidenti
interessi di parte.
Non a caso il Sud è stato quasi sempre raccontato come una
sorta di terra dellindistinto, cioè come
un luogo caratterizzato soltanto da uno sviluppo difficile, precario,
se non dispersivo o addirittura surreale, (fu il caso dellespressione
cattedrali nel deserto coniata da Montanelli in una
sua inchiesta nel Mezzogiorno), mentre infuriava la polemica fra
sostenitori e avversari dellintervento statale straordinario
nelle regioni meridionali e insulari della Penisola.

Fra laltro, si parlava di osso e di polpa,
riferendosi alla struttura fisica del territorio, alla presenza
di aree altocollinari e montane che poco o per nulla si prestavano
a insediamenti produttivi, accanto a brevi fasce pianeggianti dove,
comunque, il settore agricolo aveva assicurato redditi, sia pure
minimi o infimi, a popolazioni fittamente presenti sulla campagna:
pressione demografica destinata poi a far esplodere la rivoluzione
migratoria, il trasferimento in massa di intere comunità
dapprima verso il Settentrione, e in seguito in alcuni Paesi dellEuropa,
soprattutto in Svizzera, in Francia e nellallora Repubblica
Federale Tedesca.
In questo contesto generale, la regione pugliese fu, insieme con
poche altre aree meridionali, un luogo dello sviluppo,
una terra di frontiera che sperimentava gli strumenti economico-produttivi
atti a crearvi una modernizzazione che fosse al passo con i tempi.
Nacquero da questa spinta determinata da quella che era ritenuta
la potenza fordista dei grandi insediamenti industriali ad opera
delle Partecipazioni Statali le iniziative di Taranto (acciaio)
e di Brindisi (raffinazione petrolio), punte di diamante di diffusi
flussi di trasferimenti pubblici volti a incidere in profondità
nelle strutture sociali, ambientali, e soprattutto sullantropologia
culturale delle genti pugliesi.
La crescita dei livelli di reddito creò ben presto nuclei
di borghesia, terminali di una classe operaia inventata,
che da una parte determinò grazie anche alla versatilità
e duttilità dei protagonisti un avanzamento generale
della società, mentre dallaltra diede luogo a quello
che è stato poi definito a ragione «uno sviluppo senza
autonomia».
Qualunque cosa abbiano detto o scritto i detrattori dellintervento
straordinario nel Sud, è certo che i primi dieci anni almeno
di attività della Cassa per il Mezzogiorno nei settori delle
bonifiche del territorio, della diffusione degli impianti irrigui,
dellenergia rurale, delle strade di comunicazione, si rivelarono
poi decisivi per lavvio di una serie di attività produttive
impensabili prima del 1950. Impensabili anche in Puglia, anche se
già nellimmediato dopoguerra questa regione era stata
interessata da interventi pubblici e privati con i quali si sperimentavano
iniziative volte a trasformare, sia pure in tono minore, il volto
della regione.

Solo con gli anni Settanta nacque il problema clientelare, degli
interventi a pioggia, degli sprechi, che dapprima fece tramontare
la progettualità ideale di sviluppo pensata con la creazione
della Cassa da parte di De Gasperi e di Menichella, e in seguito
portò alla conclusione dellesperienza dellintervento
straordinario. Fu a questo punto che, falliti con gli anni Ottanta
gli ipercelebrati progetti integrati che avrebbero dovuto
riguardare gruppi di regioni del Sud, si creò un vuoto di
flussi pubblici che riallargò pericolosamente la forbice
tra Nord e Sud, senza che la vecchia questione venisse
realmente affrontata, e meno che mai risolta, dallEuropa comunitaria,
come avevano confidato i meridionalisti, messi e messisi ormai in
disarmo.
Crollate le attività nel settore primario, anche se non in
tutto il Sud, e alleggerita la pressione demografica sulla terra,
fu giocoforza tentare di creare finestre di opportunità,
che aprirono itinerari precisi nellarea adriatica innanzitutto,
dallAbruzzo al Molise, fino alla Puglia, dove in pochi anni
proliferarono sistemi produttivi di piccola e in alcuni casi di
media impresa, incentrati sulla manifattura leggera. Gli anni Novanta
furono quelli della crescita del made in Italy maturo: fiorirono
iniziative validissime nei settori Tac, (tessile, abbigliamento,
calzature), mentre cominciò a crescere e ad imporsi a livello
internazionale anche la produzione dei mobili imbottiti. Specularmente,
si abbattevano le cifre degli addetti ai grandi impianti delle Partecipazioni
Statali: tra il 1981 e il 1991, la provincia di Taranto perde 7.222
addetti, pari al 33,3 per cento, nel settore dellacciaio;
mentre in quella di Bari gli addetti al settore del mobile passano
da 2.147 nel 1981 a 10.836 nel 2001, con un aumento di oltre il
404 per cento.
È stato scritto che dalle macerie delle Partecipazioni Statali
e dalla crisi fiscale dello Stato sono emerse tracce di sviluppo
diffuso della Terza Italia che si radica e prolifera dove il modello
dello sviluppo dallalto non era atterrato. Appartiene a quegli
anni la diffusione del fenomeno dei patti territoriali dello sviluppo
che, nei territori segnati dalla ritirata dello Stato, tentano di
porre il problema di una crescita che parta dallaltro capo,
cioè dal basso. Ma neanche questo è sufficiente. I
dati economici segnano un rallentamento e unaffannosa difficoltà
sia del modello Tac sia del mobile imbottito. È arrivata
la globalizzazione. Sono arrivate la Cina e lIndia. Sono arrivati
i Paesi che lavorano a bassissimo costo. Da noi cè
chi resiste. In Puglia Natuzzi tiene, ma apre in territorio cinese.
Ci si chiede cosa rimanga dei distretti pugliesi, e soprattutto,
«nellimpatto tra flussi e luoghi, che ne è della
piattaforma ultima» che era identificata dalla dorsale adriatica.
La regione ha una posizione di balcone mediterraneo affacciato sul
Mare Corto che la separa dalluniverso balcanico.
Lanalisi oggettiva è questa: arrivando dal Settentrione
si incontra il sottosistema del Tavoliere segnato un giorno dalla
grande proprietà agraria, e attualmente in cerca di una transizione
verso un settore agroalimentare di qualità. Un territorio
«ai margini dei flussi, che rischia di assumere contorni da
comunità inerziale dove i cambiamenti non sono metabolizzati,
ma vissuti al ribasso. Come dimostra luso al limite della
parola schiavismo della forza lavoro immigrata denunciato dai sindacati».
I distretti della manifattura leggera del made in Italy oggi sono
in crisi, partendo dallentroterra barese e spingendosi da
una parte verso la Basilicata e dallaltra verso sud, in provincia
di Lecce. Si producono e si esportano meno scarpe, meno tessile,
meno mobili. E tuttavia cresce una subfornitura di qualità
nella meccatronica, a Bari; oppure nellaerospaziale, Brindisi,
attorno alle tedesche Bosch e Getrag. Ma al di là di queste
punte agganciate a filiere lunghe, i distretti pugliesi del made
in Italy corrono il rischio di trasformarsi nel breve periodo in
comunità in dissolvenza. Per la depressione che viene, da
Est, al di là del mare e al di là dellemisfero
orientale. Per effetto di delocalizzazioni povere, che non lasciano
nulla là dove partono per andare alla ricerca di lavoro a
basso costo.
In movimento creativo, il Salento, dove alcuni sindaci e grandi
operatori turistici tentano di partire dai beni pubblici della tradizione
per aprirsi al globale. È ritenuto un territorio da soft
economy possibile, anche se per uno sviluppo del settore gli
attori dovranno necessariamente aggiustare il rapporto qualità-prezzo,
oggi palesemente squilibrato, come dimostra il raffronto con altre
regioni del Sud, soprattutto con la Basilicata, la Calabria e la
Sicilia.
Infine, le comunità in divenire delle città delle
reti logistiche e della conoscenza: Bari e il suo porto, Brindisi
già strutturato, e Taranto (malgrado il crollo delle casse
comunali) che attende i containers cinesi. La tenuta di questi quattro
sottosistemi territoriali e il loro ridiventare piattaforme in grado
di competere dipenderanno dallintreccio con reti dellinnovazione
socio-tecnica ed economica che siano capaci di svolgere il ruolo
portante di locomotive.
Non va dimenticato che qui ci sono vere e proprie eccellenze. Il
Politecnico barese o lIstituto delle Nanotecnologie leccese
sono strutture capaci di reti lunghe internazionali, di collaborazione
con la Nasa, con centri tecnologici cinesi, indiani, giapponesi.
Ma, simultaneamente, hanno difficoltà a dialogare con il
capitalismo molecolare dei distretti. Un ridotto numero di aziende
ha saputo riconvertirsi nella forma del capitalismo a grappolo dellimpresa
a rete o dei gruppi. Non sono più di una sessantina le medie
imprese in grado di fare globalizzazione a medio raggio verso lEst
europeo e non solo. Sono solamente 480 i gruppi di imprese in tutta
la regione, e incidono soltanto per il 6 per cento degli addetti
del territorio. Si tratta di isole in un oceano di microscopiche
imprese individuali, che in Puglia alla fine del 2005 erano l82
per cento del totale, contro il 76,5 per cento dellintero
Mezzogiorno e il 67,3 per cento nazionale. È obiettivamente
debole il livello del capitalismo medio in grado di mettersi in
mezzo tra i big players che giocano sulle reti lunghe e la nebulosa
dei piccoli e piccolissimi.
Malgrado tutto, la Puglia può determinare un grande futuro.
Ha risorse cospicue, per una regione che voglia diventare protagonista
dei traffici nel Mare Corto e leader produttivo in questa fascia
Nord-Sud del Mediterraneo. Per raggiungere questo obiettivo, è
necessario affrontare prima o poi, (ma meglio prima possibile),
i nodi strutturali della società pugliese, quelli che un
po storicamente e un po ciclicamente ne comprimono le
possibilità di progresso.
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