Marzo 2008

Banche italiane
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Ma l’efficienza europea
è ancora lontana
Filippo Cucuccio
 
 

 

 

 

 

La palma
dell’eccellenza nella ricerca
dell’efficienza
va attribuita alle banche di Malta, Repubblica Ceca, Spagna e Irlanda.

 

Ad una prima lettura superficiale del “Rapporto 2007 sul mercato del lavoro nell’industria finanziaria”, curato dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI), il dato più rilevante potrebbe apparire la crescita occupazionale finalmente registrata dal sistema bancario italiano nel 2006 dopo anni caratterizzati dal segno negativo. In realtà, era dal 1998 che il mondo delle banche non mostrava una variazione positiva (+1,1%) con l’unica eccezione del 2000, probabilmente dovuta alle necessità connesse con il cambio data di inizio secolo.
Ferma restando l’importanza di questo dato di crescita, si farebbe peraltro torto alla molteplicità di chiavi di lettura e al rigore scientifico tipico del Rapporto, se si volesse restringere una sua analisi a questa sia pur importante novità. Anche perché sono almeno due i piani su cui è possibile esaminare questo documento: uno di natura strutturale, il secondo di tipo comparativo nell’ambito dello scenario europeo.
Cominciando dall’aspetto strutturale, è d’obbligo fare una selezione nell’ampiezza del materiale statistico del Rapporto e nella ricchezza dei temi ad essa collegata. Selezione che offre l’opportunità di rilevare conferme di tendenze manifestatesi in passato e ormai consolidate e novità che si affacciano nel mondo del credito italiano.
Un primo esempio è fornito dalla considerazione delle figure contrattuali che caratterizzano questo segmento del mercato del lavoro; dove la larga prevalenza va riconosciuta al contratto a tempo indeterminato (96% dei lavoratori in servizio), mentre valori residuali si segnalano per i lavoratori a progetto e i contratti di agenzia/rappresentanza commerciale (0,2%), per gli stagisti (0,3%) e per i lavoratori in somministrazione (0,5%). Va, altresì, segnalato un ampio utilizzo dell’apprendistato, figura contrattuale rivisitata e destinata secondo le valutazioni del Rapporto a crescere ulteriormente di peso anche per il completamento del necessario recepimento su base regionale.

Sul fronte delle conferme un secondo esempio è dato dal significativo slittamento del personale verso qualifiche più elevate, fenomeno che non coinvolge i dirigenti ma i quadri direttivi, la cui incidenza sul totale dei dipendenti è aumentata in un solo anno dal 35% al 35,5%. Un miglioramento di inquadramento professionale al quale ha fatto riscontro un innalzamento del livello qualitativo riscontrabile nei titoli di studio dichiarati. Basterà qui ricordare come il 93% della popolazione dipendente abbia un diploma di scuola media superiore, il 30% un diploma di laurea e oltre il 2% possa vantare un titolo post laurea per sottolineare questo elemento di eccellenza del settore bancario. C’è anche una curiosità che fa riflettere: la presenza di laureati si rivela decisamente più corposa tra le banche cosiddette minori rispetto alle grandi (40% contro 27%); mentre su base geografica la distribuzione non appare uniforme con la maggiore densità segnalata al Centro (46%) rispetto alle altre aree del Paese (in particolare al Nord-Ovest con il 26%).
Un terzo aspetto strutturale che profuma di tendenza ormai consolidata è la crescita della presenza femminile, che ha ormai toccato la soglia del 40% della forza lavoro complessiva. Un traguardo significativo e probabilmente destinato a crescere ulteriormente nel corso di questo decennio, se risulterà confermata da un lato la politica di assunzione basata sulla parità di selezione dei due sessi e dall’altro continuerà il divario nei valori di sostituzione su livelli più consistenti per le dipendenti femminili. Nel 2006 le evidenze acquisite mostrano un valore di sostituzione per gli uomini inferiore all’unità e decisamente superiore per le donne (1,8); in altri termini, a fronte di ogni 10 cessazioni maschili vi sono stati 9 subentri, a fronte di una quota ingressi attestata per le donne a 18.
Ma non è solo l’aspetto quantitativo a destare interesse in questo fenomeno di crescita (tra il 1986 e il 2006 la presenza femminile è raddoppiata dal 20% al 40%, negli ultimi 11 anni sono stati quasi 9 i punti percentuali di incremento); infatti, la “quota rosa” ha inciso significativamente nel miglioramento del livello di scolarità complessivo e delle specifiche categorie di titolo di studio, a conferma della “marcia in più” che contrassegna la loro presenza nel mondo bancario.

Dagli aspetti strutturali ai raffronti condotti in ambito europeo per individuare anche in questo caso le novità e le conferme più salienti. L’analisi del Rapporto, condotta sui gruppi bancari quotati originari dei 25 Paesi dell’Unione europea più la Svizzera, evidenzia alcune tendenze comuni: dall’incidenza della variabile Paese sulla struttura di costo delle banche alla rilevanza dell’operatività geografica in termini di peso del fattore lavoro sulla performance aziendale, al divario tra le banche originarie dei nuovi Stati membri dell’Unione europea e quelle originarie dei Paesi dell’Europa occidentale per la minore incidenza del fattore lavoro sull’efficienza e sulla redditività aziendale delle prime.
Volendo, poi, concentrare l’attenzione su un indicatore dell’efficienza aziendale, il rapporto cost-income, si può rilevare il suo miglioramento generalizzato a livello europeo con una diminuzione significativa pari a 2,4 punti percentuali. Inoltre, sempre su questo versante, la palma dell’eccellenza nella ricerca dell’efficienza va attribuita alle banche originarie di Malta, Repubblica Ceca, Spagna e Irlanda con un valore medio di questo rapporto che si attesta sul 51%. Per l’Italia vi è la conferma negativa di un gap sfavorevole rispetto ai competitors europei pari a circa 4,8 punti percentuali (più precisamente il valore del rapporto si situa al 64,8% contro il 60% della media UE 25).
Un dato sfavorevole che, purtroppo, si presenta in compagnia di altre evidenze negative per il nostro Paese, a cominciare dall’incidenza del costo del personale sui costi operativi totali (il 61% in Italia) superiore di poco meno di 5 punti percentuali rispetto al livello medio dei 15 principali Paesi dell’Unione europea.
Né migliori notizie si hanno dai raffronti specifici effettuati sulla base delle categorie bancarie individuate (Global Banks, Superregional Banks, Regional Banks e Investment Banks) con indicatori che per l’Italia si posizionano costantemente al di sotto dei valori medi europei. All’origine di questo squilibrio del costo del personale il livello di costi più elevati che riguardano un ventaglio ampio di posizioni professionali: ad iniziare dalla figura dell’addetto allo sportello, il cui costo medio risulta in Italia inferiore solo a quello di due altre nazioni, Spagna e Belgio.

Dalle negatività agli aspetti positivi per sottolineare come nel Rapporto ABI non manchino gli apprezzamenti per l’impegno tenace e continuo delle banche italiane a muoversi secondo logiche ispirate a maggiore efficienza e per i risultati già conseguiti sul campo negli ultimi anni.
Peraltro, la struttura dei costi delle banche è in larga misura influenzata da fattori esogeni al sistema creditizio di cui il più vistoso può individuarsi in una legislazione del lavoro decisamente meno flessibile di quella dei Paesi nostri principali competitors. Ciò nonostante, proprio su questo versante non può passarsi sotto silenzio la capacità autoregolativa del sistema con un primo riferimento d’obbligo all’apprendistato professionalizzante, che costituisce oggi il normale strumento d’ingresso nel mondo del lavoro bancario.
Una menzione di merito va, poi, spesa per il Fondo esuberi, che ha tagliato il traguardo del settimo anno di attività lasciandosi alle spalle un patrimonio di intese aziendali e di gruppo che hanno riguardato il sostegno a 25.000 lavoratori; mentre le erogazioni di finanziamenti alla formazione (secondo filone operativo del Fondo) sono ammontati a oltre 272 milioni di euro. Un profilo, questo del Fondo, di assoluta originalità nel panorama bancario internazionale che va annoverato tra gli elementi di stimolo di cui è ricca la lettura del Rapporto; una ragione concreta per auspicare che le banche italiane continuino nel loro percorso verso l’obiettivo di raffrontarsi alla pari con gli altri Paesi, svolgendo altresì un ruolo di traino nello sviluppo economico e sociale dell’intero Paese.

 

   
   
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