Marzo 2008

Ricchezza ed etica europea
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Evasioni in doppiopetto
Florestano Galante Rossini
 
 

 

 

 

 

Le grandi banche della Mitteleuropa si riempiono
le tasche di titoli
maleodoranti,
che promettono alti rendimenti
e scarso rischio.

 

Si dice che una volta Albert Einstein, avendo assegnato ai suoi studenti, per un test universitario, una serie di domande che aveva già usato in un precedente esame, fosse messo in allerta da un assistente, il quale presumeva che la svista del professore fosse dovuta alla sua leggendaria distrazione; e che Einstein, sorridendo, lo avesse rassicurato: «Non si preoccupi, le risposte nel frattempo sono cambiate».
Ora, facciamo idealmente ricorso alla macchina del tempo. Se – non tanti anni fa – avessimo chiesto a studiosi e a studenti di descrivere il Dna socio-economico della Mitteleuropa, il compito avrebbe avuto approvazioni e complimenti se geni e cromosomi avessero allineato morale calvinista, rigore della cosa pubblica, efficienza amministrativa e rispetto per uno Stato sociale teso ad attenuare le disuguaglianze.
E ai giorni nostri? Forse oggi le risposte giuste sono cambiate, e per risalire alle ragioni del cambiamento è necessario volare alto e lontano. Non soltanto in Europa, ma in tutto il pianeta la disuguaglianza dei redditi e della ricchezza è in aumento.
A livello globale questo fenomeno non è necessariamente negativo. Se tutto il mondo fosse un unico Paese, osserveremmo una riduzione, e non un aumento della disuguaglianza: la fortissima crescita delle due aree più popolose dell’orbe terracqueo, la Cina e l’India, garantisce questo risultato. Ma all’interno dei singoli Paesi è indubbio che vi sia una tendenza alla crescita delle disuguaglianze. Non è questa la sede per discutere delle ragioni di questo aumento (i fattori sono almeno quattro: progresso tecnologico, globalizzazione, finanziarizzazione e uno star system che premia abilità non riproducibili, e non soltanto nel mondo dello spettacolo), ma è tuttavia doveroso constatare gli effetti corrosivi di questi andamenti sul tessuto sociale.
Al vertice della piramide della distribuzione i beneficiari dei super-redditi hanno naturalmente più stimolo a sottrarli alla progressività delle imposte, malgrado le riduzioni di questi ultimi anni nelle aliquote marginali. E ad essere “indotti in tentazione” sono anche gli austeri grand commis della Mitteleuropa. A riprova della fondamentale somiglianza dei tratti genetici dell’homo oeconomicus? Oppure ci sono altri e più specifici fattori concorrenti?

Era facile non essere indotti in tentazione, per i dignitosi mitteleuropei, quando l’evasione fiscale assumeva, come decenni fa in Italia, l’aspetto rozzo degli spalloni che nottetempo valicavano le Alpi, portando in Svizzera zaini ricolmi di banconote. Queste cose venivano lasciate agli italiani, che erano bravi a tracciare ambigui confini tra il bene e il male. Ma la finanziarizzazione dell’economia ha reso rispettabile l’evasione col doppiopetto gessato. E non solo. Il passaggio della finanza da ancilla a domina dell’economia ha cambiato la percezione del rischio, annebbiando i confini fra produzione e speculazione. I soldi hanno ormai due dimensioni: la dimensione reale, quella con la quale si misura la spesa, il fatturato, il costo del lavoro; e la dimensione finanziaria, quella che gira nel mulinello delle compravendite di titoli e di derivati, quella nella quale si fanno scommesse che gettano sul piatto somme che ci guarderemmo bene dall’arrischiare se dovessimo valutare i soldi col metro “reale”. Ecco che le grandi banche della Mitteleuropa si riempiono le tasche di titoli maleodoranti, che promettono alti rendimenti e scarso rischio. I campanelli d’allarme non scattano, perché i titoli sono “sofisticati”, si nascondono dietro acronimi esoterici, celebrano il nuovo magistero alchemico, quello che trasmuta prestiti fragili in titoli AAA.
E nei torrenti impetuosi della nuova finanza molta liquidità va ad arricchire operatori e manager. I bonus e le stock options creano fortune, annegando anche la celebre etica protestante in una spirale rutilante di guadagni di capitale. Forse i tanti tedeschi che (molto più degli altri) hanno evaso le imposte con le fondazioni del Liechtenstein non si sarebbero spinti per simili operazioni fino alle Isole del Caimano; perché perdersi nell’esotismo, quando ci sono più a portata di mano quei rispettabili bastioni, avvolti nell’aura dell’antica storia europea, che sono la Svizzera, Monaco, Andorra, e i castelli alpini torreggianti nell’aria cristallina di Vaduz?
Le crescenti disuguaglianze nella distribuzione del reddito hanno creato una classe di nuovi ricchi e hanno colmato i traboccanti forzieri dei vecchi ricchi; allo stesso tempo, la travolgente innovazione finanziaria ha creato nuovi mezzi per occultare e trasformare questi flussi di ricchezza. Ma le tossine creano antitossine. In Europa le disuguaglianze entrano in rotta di collisione con gli ideali egalitari che sottendono le architetture redistributive della tassazione e della spesa sociale. Politicamente, c’è una domanda di equità distributiva che la politica non può ignorare. Ecco che, come in Germania, perfino i servizi segreti entrano in campo per combattere l’evasione fiscale. E si creano altre collisioni etico-finanziarie: è giusto incriminare sulla base di informazioni acquisite a pagamento da ladri di dati?
Nell’Unione europea si aprono sui temi fondamentali dell’equità e della distribuzione delle linee di faglia che segneranno il dibattito politico e gli esiti elettorali futuri. Non è facile trovare soluzioni, nella misura in cui le cause portanti degli squilibri distributivi sono annidate in fattori senza ritorno: libertà degli scambi, crescita degli emergenti, innovazione finanziaria e tecnologica. Ma almeno – ed è un imperativo minimo e categorico – è necessario che i meccanismi redistributivi in essere, primo fra tutti la tassazione, funzionino come dovrebbero. Trasparenza dei rifugi fiscali e lotta all’evasione, da sempre capisaldi morali del “dover essere”, diventano anche e soprattutto presidii essenziali per la tenuta del tessuto sociale.

 

   
   
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