Marzo 2008

Il corsivo
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Veleni d’Italia
Aldo Bello
 
 

 

 

 

Altre voci
tacciono, mentre quella del Papa
si leva forte per
difendere la
Verità, la capacità della ragione umana di
conoscerla
e di trarne regole comuni.

 

Evelyn Beatrice Hall, la quale, dati i tempi, firmò il testo con un nome maschile, anzi neutro, quello di S.G. Tallentyre. E poi, né sussurri né grida, neanche quando si fa la cronaca semiseria delle disavventure del salentino professor Carlo Bernardini, docente di Fisica alla “Sapienza”, tra i primissimi firmatari dell’appello “laico” contro la partecipazione del Papa alla cerimonia d’apertura dell’anno accademico, il quale il 29 giugno 2007 investì con la sua auto la signora Clio, moglie del Presidente Napolitano: allora fu colpito un primo capo di Stato; in Università, colpito il secondo. Un primato, non c’è che dire!

Ma il problema non è nelle parole attribuite a François-Marie Arouet, e in ogni caso smentite dai 67 Fisici sapienziali, «soliti chierici che sono la vergogna dell’Europa dagli anni Trenta ad oggi, senza apprezzabili variazioni di stile e di tono», come è stato scritto; e neanche nella commedia dell’assurdo inscenata in un «epicentro dell’insolenza intellettuale, dell’idiosincrasia epidermica verso il confronto delle idee e delle culture, di una corsa irrazionalistica verso il vuoto nichilista nella forma della beceraggine, del dileggio, del linciaggio in effigie travestito da goliardismo e da anticlericalismo»; e meno che mai in un’Università che è la stessa dalla quale fuggì il filosofo Lucio Colletti, la stessa nella quale fu intimidito Renzo De Felice, la stessa in cui fu contestato Luciano Lama, la stessa in cui «si è costruita la cattedra collettiva dei peggiori maestri della cultura italiana (…), insieme con l’asineria e la marginalità sociale di generazioni di studenti messi nelle condizioni di non apprendere un briciolo di verità razionale e umanistica e di disimparare sistematicamente quello che le generazioni precedenti di docenti e discenti avevano amorevolmente coltivato nelle sinuose vie di una storia secolare». In fondo, un’Università che non si differenzia, in questo, da altre del nostro disgraziatissimo Paese, quali quelle che chiamano a far lezione grandi gentiluomini come Curcio, Scalzone, o se proprio va bene Capanna, (i barbari non se ne sono mai andati); o quali quelle che un giorno impedirono di parlare a Salvemini o a Calamandrei. O quelle nelle quali oggi un matematico-scrittore-ateo, che impera nei talk show di alcune nostre stravaganti testate televisive, è molto apprezzato per aver sostenuto che Ratzinger «avrebbe dovuto chiamarsi Adolfo I», mentre Scalfari su la Repubblica, senza lasciarsi sfiorare dal dubbio che il suo vocabolario stia cedendo in eleganza e in verità con il sopravvento delle cellule morenti su quelle nascenti che determina la sua logorroica senilità, sproloquia sulla «palese inconsistenza politica e culturale di papa Ratzinger».
Il problema è che i cervelli massificati, i falsificatori per vocazione o per professione delle idee altrui, i travisatori per stupidità ideologica o per servilismo congenito delle dottrine avversarie, le vecchie baldracche che occupano a vita alcuni luoghi redditizi della Cultura e dell’Accademia, pretendono l’esclusiva della tolleranza, del giudizio, della libertà di pensiero. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Tenendo comunque presente, come fra l’altro è stato scritto, che «i 67 rivoluzionari tengono famiglia». Nel senso che – sorpresa dal boomerang che l’ha fortemente “preoccupata” – questa «banda di mezze seghe intellettuali» (lettera al Foglio, firmata da Duccio Trombadori e Francesco Villari) si è rivelata per quel che è, nel momento in cui il direttore del Dipartimento di Fisica, Giancarlo Ruocco, ha messo mano a un’epistola nella quale sostiene che con le due lettere, la prima del 14 novembre, stilata dal Fisico Marcello Cini, la seconda datata 22 novembre e «firmata da oltre 60 docenti che condividevano le posizioni di Cini», chiedevano al rettore solo di rinunciare all’invito del Papa: dunque, «non c’era alcun intento censorio» nei confronti di Ratzinger; c’era il desiderio di una parte della comunità accademica di «esprimere la propria opinione in merito alla decisione del rettore». Ma va là, Ruocco!
Lasciamo perdere le disquisizioni di alcuni noti luminari dell’Italica Accademia, da Tranfaglia a Flores d’Arcais, ad Asor Rosa e a compagnia cantando, destinati a restare tra noi perché purtroppo nessuno al mondo, invidiandoceli, minaccia di portarseli via. Veniamo invece al Primo Estensore di Missiva, il Cini di cui sopra. Costui si era fatto conoscere bene già negli anni Settanta, quando sulle colonne del Manifesto, allora mensile, aveva dedicato splendidi e post-moderni pensieri sulla scienza: ma nella direzione del suo contenimento, non del suo sviluppo. E perché mai? Per non far trarre vantaggi al capitale. Ecco un distillato testuale del suo pensiero: «Nel regime capitalistico la scienza diventa mezzo di produzione e dunque di capitale, e in quanto tale si contrappone come potenza esterna all’operaio e lo schiaccia, rendendolo strumento di fini a lui estranei». Parole rivolte ai padroni delle ferriere? No. Al Pci dell’epoca, reo d’avere organizzato un convegno sulla ricerca scientifica proprio in un Paese come il nostro. E infatti, quali potevano essere per questo docente, leggermente arretrato nell’età giurassica, le alternative? Eccole: «Un esempio dell’uso alternativo della scienza andava da ritrovarsi in Cuba, nella Cina e nel Vietnam, dove la scienza stessa era compagna di un impegno collettivo che scuote l’intera società, di una dura lotta contro l’imperialismo e i suoi valori, di uno slancio ideale per costruire il socialismo».
Ma un gran va là anche a lei, esimio Cini. Soprattutto perché nell’angolo ottuso della sua cultura manichea non entra neanche il concetto che una sede universitaria dovrebbe sempre restare il tempio laico del Free Speech, come dicevano gli studenti in rivolta a Berkeley (quelli, sì, di prim’ordine): ossia il luogo eletto delle libere manifestazioni di qualsivoglia opinione politica, ideologica, sociale, religiosa. Ha saputo, o hanno raccontato a Cini che in quello stesso torno di tempo, dalle parti del Sudamerica, in Ecuador, l’Università cattolica di Quito ha laureato ad honorem il “Subcomandante” Fausto Bertinotti (poi ospite anche a Lima, nel Perù, della “Sedes Sapientiae”, Università di Comunione e Liberazione)? Gliel’hanno detto che il leader del Prc ha potuto leggere una sua incensurata “Lectio magistralis”? Qualcuno ha fatto sapere ai 67 Fisici 67, e ai compagni mugolanti, e ai loro scalcinati allievi pronti a bruciare bandiere a stelle e a strisce in nome del pacifismo unilaterale e dell’antiamericanismo più bolso, che appena un anno fa il rettore della Columbia University, luogo altissimo di studi nella Harem storica di New York, invitò il presidente dell’Iran, Mahmud Ahmadinejad, serenamente presentandolo come «un gretto e crudele dittatore», persecutore di donne, ipercensore, antisemita, concludendo che parlando in un luogo di assoluta libertà di pensiero e di parola si sarebbe sicuramente «coperto di ridicolo»? E che l’iraniano ebbe tutto il tempo di rispondere alle accuse, con una predica intrisa di Corano, citando il Secondo conflitto mondiale, le colpe americane e quelle di Bush, escludendo – fra la generale, composta ilarità dei presenti – che le donne e gli omosessuali in Iran fossero perseguitati, e accusando gli Stati Uniti, la Francia, l’Inghilterra e altre potenze planetarie di aver cancellato di fatto i trattati per lo sviluppo dell’energia nucleare pacifica? I livorosi routiniers di tante nostre Università, (tanto ricche di inossidabili lobby, di ferree baronie, di successioni per diritto di primi e magari secondi letti, o per preferenziali corsie politiche), «simbolo in ossa e canizie della dittatura degli anziani nel nostro Paese», avrebbero mai avuto il pacato, ma fermissimo coraggio di comportarsi come il rettore liberal della Columbia?
Non ha torto Sebastiano Maffettone quando mette in rilievo le palesi contraddizioni dei nostri intellettuali, veri o presunti che siano. E quando aggiunge che, sfortunatamente, non siamo al cospetto di una novità. John Stuart Mill, il Voltaire apocrifo ma utile proposto dalla biografa con pseudonimo, e il Kant dell’eguale libertà, non sono mai stati di casa dalle nostre parti. La cosiddetta “cultura alta” ha sempre preferito il tetragono Hegel, l’oscuro Heidegger, il dialettico Marx, o, infine, i più nani sociologi nostrani e transoceanici esaltati dai sessantottini e poi sprofondati nell’oblio. Non c’è da meravigliarsi, allora, se la protesta dei Fisici contro Benedetto XVI è l’ennesima spia della debolezza della cultura politica liberale in Italia. Preoccuparsi che gli italiani non abbiano letto e digerito i grandi maestri del liberalismo, da Locke a Rawls, passando per Hume, può sembrare una fissazione. E invece, precisa Maffettone, «io sono convinto che ne paghiamo i costi tutti i giorni in termini di mancanza di rispetto per le istituzioni, di caos politico, di deficit di meritocrazia e incapacità competitiva, di scarsa considerazione per la scienza e la ricerca».


È stata una commedia dell’assurdo, questa la caratteristica innegabile della presa di posizione dei Fisici, degli studenti arrampicatori che vengono fuori un po’ da Scienze della comunicazione e un po’ dai centri sociali, cioè dal vuoto pneumatico, e di alcuni politici che hanno perso l’occasione di dire qualcosa di ragionevole. Quando, ad esempio, un Gavino Angius in una lettera a La Stampa afferma che «l’effetto dell’ingerenza della Chiesa nella sfera pubblica è la negazione della libertà», forse dimentica che la deduzione logica di questo – chiamiamolo – pensiero è che la libertà di parola negata a un Papa sarebbe l’“effetto” dell’uso della parola da parte della Chiesa. Siamo al trionfo di una neo-lingua orwelliana!
Com’è arcinoto, tema della vicenda era la condanna di Galileo da parte dell’Inquisizione, una condanna che – secondo i 67, i loro compagni e i loro seguaci – dimostrerebbe anche oggi l’avversione della medesima Chiesa alla scienza. In realtà, quella sentenza aveva già ricevuto dal Concilio Vaticano II, con la Costituzione “Gaudium et Spes”, una prima solenne smentita, con la critica a «certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancarono nemmeno fra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, e che (…) trascinarono molti spiriti a tal punto da ritenere che scienza e fede si oppongono fra di loro».
Una seconda, più circostanziata riabilitazione di Galileo fu il risultato di un’indagine chiesta da Giovanni Paolo II alla Pontificia Accademia delle Scienze, protrattasi fino al 1992, dunque in piena coincidenza con la guida della Congregazione per la Dottrina della Fede da parte dell’allora cardinale Ratzinger. Il quale, parlando il 15 febbraio 1990 proprio alla “Sapienza”, difese Galileo dallo scetticismo che aveva cominciato a circondarlo da qualche decennio dentro la “cultura agnostica”, con particolare riferimento al filosofo della scienza Feyerabend, il quale aveva addirittura definito il processo della Chiesa a Galileo «ragionevole e giusto».

L’attuale Pontefice negò che queste parole potessero essere usate come giustificazione per l’Inquisizione, e affermò che «la fede non cresce a partire dal risentimento e dal rifiuto della razionalità»; e osservò piuttosto come esse fossero la prova di quanto «al dubbio della modernità su se stessa abbia attinto oggi la scienza e la tecnica». Che un discorso di questo genere possa essere interpretato ancora oggi da docenti universitari come un attacco all’autonomia della scienza è semplicemente incredibile. Eppure, è stato proprio questo il grimaldello usato (antica scuola leninista!) per lo schiaffo della “Sapienza” al Papa.

Ha vinto il libero pensiero! Hanno gridato e scritto. È stata la vittoria della laicità contro l’oscurantismo. È stato il trionfo della scienza contro l’ignoranza. È stata l’esaltazione della ragione contro la superstizione. L’Illuminismo ha sconfitto Bellarmino.
Ma che belle parole! Non fosse che qualcosa non torna. Infatti, quale laicità ha avuto la meglio? Risponde Galli Della Loggia: «Quella che ha vinto è una caricatura della laicità. È la laicità scomposta e radicaleggiante, sempre pronta ai toni dell’anticlericalismo, che cinicamente ha usato la protesta dei poveri professori di fisica piegandola alle necessità della lotta politica italiana (...). È la laicità che vuole ascoltare solo le sue ragioni scambiandole per la Ragione. Che, nonostante tutte le chiacchiere sull’Illuminismo, nei fatti non sa che cosa sia la tolleranza, ignora cosa voglia dire rispettare la verità delle posizioni dell’avversario, rispettarne la reale identità. È la laicità che dispensa i suoi favori e le sue critiche a seconda di come le torni utile politicamente; che da tempo, perciò, non si stanca di scagliarsi contro Ratzinger solo perché lo ritiene ostile alle sue posizioni sulla scena italiana, e allora va inventandosi diversità tra lui e il suo immediato predecessore, fingendo di non sapere che di fatto non c’è stato quasi un gesto, una presa di posizione importante di Wojtyla, che non sia stata condivisa, se non proprio ispirata, da Benedetto XVI. È una laicità opportunista, nutrita di uno scientismo patetico, arrogante nella sua cieca radicalità. Perciò nemica di un’autentica laicità liberale.
Il fatto è che da qualche tempo è venuto di moda di citare la laicità come “libertà dalla religione”. Pochi sanno che la Corte Costituzionale ha dato formulazione al principio della laicità, come atteggiamento non di estraneità, indifferenza o ostilità dello Stato e dei suoi gruppi dirigenti, rispetto alla coscienza religiosa dei cittadini, in regime di pluralismo confessionale, ma di tutela dell’eguale libertà di tutte le fedi. Come è stato scritto, nessuno prevarichi nessuno. Questa è la laicità.
Di recente è stato chiesto al Nobel Rita Levi Montalcini se la religione sia compatibile con la ricerca scientifica. Da scienziata atea qual è, ha risposto che tra i due termini non esiste contrasto. Scrivere alla “Sapienza” romana “La scienza è laica” significa soltanto che la scienza è contro la religione. E questa non è laicità.
La convergenza tra fede e ragione è un postulato della cultura cristiana, che comunque tiene distinti i rispettivi fini. Avrà certo un significato che i progressi scientifici si siano realizzati in un Occidente, in cui si è irradiato il Cristianesimo. Ma si eccepisce che il Papa ha una frequenza di apparizioni che eclissa quelle degli altri capi religiosi. E si dimentica che una religione è anche un’importante componente della civiltà, e tra Cristianesimo e Occidente corrono infiniti tratti identitari, anche se l’universalismo cristiano travalica ogni confine, dirigendosi all’intero genere umano. Allora la polemica è anticlericale, antichiesastica, non laica, come lucidamente aveva già annotato Croce. In quanto tale, in altri secoli poteva avere qualche fondamento. Oggi non più, è un’anacronistica sopravvivenza, un cortocircuito dove il gesto prevale sul pensiero, l’autonomia si stravolge in divieto, l’ateismo si coniuga con una contraddittoria, malintesa religione della modernità, e la laicità si riduce a una cupa caricatura di se stessa.

Parole di uno scienziato credente, Antonino Zichichi: «Siamo l’unica forma di materia vivente cui è stato dato il privilegio di essere dotata di Ragione. È grazie al dono della Ragione che la forma di materia vivente cui noi apparteniamo ha potuto scoprire il Linguaggio, la Logica e la Scienza. Esistono centinaia di migliaia di forme di materia vivente, vegetale e animale. Nessuna di esse ha però saputo scoprire la Memoria Collettiva Permanente – meglio nota come linguaggio scritto – né le forme rigorose di Logica com’è ad esempio la Matematica, né la Scienza che, tra tutte le logiche possibili, è quella che ha scelto il Creatore per fare l’Universo, inclusi noi stessi. Senza Ragione non avremmo potuto scoprire la Scienza. Questa straordinaria avventura intellettuale inizia, appena 400 anni fa, con Galileo, che chiamava “Impronte del Creatore” le prime Leggi Fondamentali della Natura da lui scoperte».
Per Galileo, dunque, Scienza e Fede sono entrambi dono di Dio. Ora, la linea che percorre l’intero magistero di Ratzinger è che oggi non è in crisi soltanto la Fede, ma anche la Ragione. A chi crede in una religione, ricorda il necessario dialogo fra l’una e l’altra. Ai non credenti, parla in nome della Ragione, che – sola – può costruire quella che il Papa chiama una grammatica comune della vita sociale che s’imponga ai cattolici come agli atei, ai cristiani come ai musulmani, ai buddisti, e consenta loro di vivere in pace. Altre voci tacciono, mentre quella del Papa si leva forte per difendere l’esistenza della Verità, la capacità della ragione umana di conoscerla, sia pure in modo incompiuto e imperfetto, e di trarne regole comuni su temi come la libertà, la giustizia, la vita, la famiglia.
Nella “Lectio” che avrebbe dovuto pronunziare alla “Sapienza”, Benedetto XVI affronta le due principali obiezioni che gli sono rivolte su questo punto. Anzitutto, c’è chi sostiene – come Vattimo e altri teorici del relativismo – che la verità non esiste. Ciascuno possiede la sua, e nessuna è più vera delle altre. Il Papa risponde con il filosofo non credente Jurgen Habermas: questa è una posizione che nel 2008 semplicemente non possiamo permetterci. Se la verità di chi difende la libertà e la giustizia è considerata moralmente uguale alla verità di Hitler o di Bin Laden, rimaniamo disarmati di fronte al nazista o al terrorista. La stessa democrazia, afferma Habermas, oggi può essere difesa solo con argomenti «sensibili all’idea di verità».

Secondo: anche tra coloro i quali non negano il valore della Ragione, c’è chi sostiene che il Papa in realtà «trae i suoi giudizi dalla Fede», per poi spacciarli come razionali. Bene, risponde Ratzinger: giudicate i miei argomenti in modo laico, sulla base del vostro esercizio della ragione e del buon senso. E cita un altro filosofo non cattolico, il già ricordato Rawls, il quale sosteneva che i giudizi proposti dalla Chiesa in nome della Ragione non devono essere considerati a priori più veri di quelli esposti da altri; ma neanche pregiudizialmente meno veri solo perché è la Chiesa a proporli. Anzi, la Chiesa per Rawls ha dalla sua una lunga «tradizione responsabile e motivata», per cui va semmai ascoltata con più attenzione dell’ultimo sofista.
Ecco. È perché vedono in lui, contro un relativismo che disarma l’Occidente nei confronti dei suoi avversari, un testimone appassionato della Ragione e della Libertà, che tanti credenti sono col Papa; che tanti non credenti sono ugualmente al suo fianco; che tanti laicisti d’accatto e altrettanti intellettuali ancora oggi organici sono contro il suo pensiero.

Quella che ha vinto è una caricatura della laicità. È la laicità scomposta e radicaleggiante, sempre pronta ai toni dell’anticlericalismo, che cinicamente ha usato la protesta dei poveri professori di Fisica piegandola alle necessità della lotta politica italiana [...]. È la laicità che vuole ascoltare solo le sue ragioni, scambiandole per la Ragione. Che, nonostante tutte le chiacchiere sull’Illuminismo, nei fatti non sa che cosa sia la tolleranza, ignora cosa voglia dire rispettare la verità delle posizioni dell’avversario, rispettarne la reale identità. È la laicità che dispensa i suoi favori e le sue critiche a seconda di come le torni politicamente utile. Che da tempo, perciò, non si stanca di scagliarsi contro Benedetto XVI solo perché lo ritiene ostile alle sue posizioni sulla scena italiana [...]. Una laicità opportunistica, nutrita di uno scientismo patetico, arrogante nella sua cieca radicalità. Con la quale un’autentica laicità liberale non ha nulla a che fare. Che anzi deve considerare la prima dei suoi nemici.

Ernesto Galli Della Loggia
Corriere della Sera

Che un uomo vestito di bianco, titolare di un deposito di fede e di cultura così incontestabilmente profondo, intendesse rinnovare l’archivio aureo del cristianesimo di tutti i tempi con le sue conferenze di teologo e i suoi libri, e con le sue omelie di pastore, mettendosi a confronto in ogni campo con le grandi e piccole faccende del nostro modo di ragionare, affrontando i labirinti del nichilismo filosofico, dell’esistenzialismo e del decostruzionismo postmoderno, sembrava a noi atei devoti (formula ironica e autoironica) una laica benedizione o più modestamente un aiuto insperato in un’epoca di svuotamento tendenziale del significato del vivere e del convivere [...]. Non ci eravamo sbagliati, e questo è tutto. Lo dimostra il magnifico discorso “universitario” che pubblichiamo [...] dopo la vergogna laica che abbiamo provato per l’insipienza dei sapienti che hanno impedito a quelle parole di suonare il loro suono sempre aperto al contraddittorio nell’aula magna della più grande, e della più miserabile, oggi, Università europea. Il direttore di Repubblica, che ha fatto di noi ratzingeriani laici il suo piccolo capro espiatorio per cavarsi d’impaccio nel tremendo contrappasso causato dalla demenza intollerante di gente del suo mondo, deve ora farci la grazia di rivedere i suoi giudizi con onestà. Non siamo disponibili, come lui ingenuamente chiede, a conversioni forzose, magari per pregare un Dio finalmente trovato in una dimensione esclusivamente privata, come a lui piacerebbe. E continueremo, possibilità che ci offre un tollerante e laico Papa della ragione, a lasciarci sollecitare e interrogare nel coraggio della verità e della sua ricerca.

Giuliano Ferrara
Il Foglio

 

 

È una dura prova per la laicità italiana. La sconfitta di un’alta istituzione scientifica del nostro Paese. È un momento difficile della società civile che è composta di credenti e non credenti che stanno faticosamente ricostruendo regole di convivenza in un contesto che improvvisamente si è deteriorato. Adesso sarà inevitabile che un atto presentato dalle autorità vaticane come gesto di prudenza si trasformi in atto di accusa contro l’istituzione fortemente rappresentativa come l’Università di Roma, o addirittura contro la laicità dello Stato italiano in quanto tale. È la laicità come tale messa sotto accusa perché incapace di difendere i suoi stessi princìpi.
Sarà inevitabile che la pluralità delle voci laiche che in queste settimane concitate si sono levate con chiarezza a criticare l’iniziativa dei “contestatori” romani venga liquidata come irrilevante. Peggio, si getta scompiglio nel campo laico con conseguenze imprevedibili.

Gian Enrico Rusconi
La Stampa

Il laico è colui che tra Chiesa e Stato sente di dover erigere, come diceva Thomas Jefferson, un alto «muro di separazione»: per proteggere sia la sovranità legiferante del popolo, sia le religioni [...]. Il muro di Jefferson in Italia è in permanenza fatiscente – anche se esiste nella sua Costituzione – e questo origina cronici disordini e l’alternarsi continuo di ingerenze e di contestazioni anti-papaline.
Queste ultime sono state definite malate, ma non meno malate sono state le ingerenze negli ultimi anni: l’intera spirale necessita guarigione e correzione. Il chiaro muro divisorio non esisteva nemmeno nella Spagna di Franco, nel Portogallo di Salazar, e quella malattia ha prodotto la reazione di Zapatero e le sue misure di riordino e separazione laica.
In Italia siamo a un bivio simile, anche se con impressionante ritardo. È come se nella nostra Chiesa permanesse ancora il modello franchista spagnolo, come se il pensiero di cattolici come Rosmini e Maritain non avesse mai messo radice. Come se non ci fossero stati il Concilio Vaticano II e Paolo VI, difensore della laicità di Maritain contro gli integralisti del Vaticano. Come se fosse ancora vivo e forte il “partito romano” che per decenni, da dentro la Chiesa, cercò di suscitare uno Stato etico cristiano in Italia e mai si conciliò con papa Montini e la Dc autonoma di De Gasperi. L’episodio della Sapienza non è caduto dal cielo, e non rendersene conto significa che una certa imprudentia politica sta diventando la caratteristica del Pontefice.

Barbara Spinelli
La Stampa

Il 10 febbraio del fatidico 1968 moriva Mario Pannunzio, il fondatore del Mondo, uno degli eroi di quell’Italia civile che in quei giorni stava per soccombere all’estremismo. Proprio per questo apprendiamo con gioia che a Torino la sua figura verrà rievocata con una prestigiosa lectio magistralis. Affidata, indovinate a chi? A Marcello Pera, ex presidente del Senato. Sarà interessante capire in cosa si senta affine al liberale anticoncordatario Pannunzio un laico pentito, anzi un ateo devoto, che ai caffè di via Veneto con tutti quei mangiapreti preferisce gli angelus in Piazza San Pietro. A maggior ragione siamo curiosi di ascoltarlo, e invitiamo fin d’ora i vari atei militanti alla Odifreddi e i collettivi studenteschi a non cercare di chiudergli la bocca. Sarebbe un boomerang. Il senatore, già seconda carica dello Stato, forte dei libri scritti con Ratzinger, da tempo aspira a una posizione equivalente in Vaticano. Se mai fosse accomunato al Papa nell’aggressione da parte dei biechi laicisti, potrebbe alzare la mira e puntare direttamente al Sacro Soglio.

Riccardo Chiaberge
Il Sole-24 Ore

Abbiamo celebrato in Senato il senatore, lo storico, il fervido credente Pietro Scoppola, da poco scomparso, alla presenza di molti cattolici che hanno condiviso il suo pensiero e la sua fede e si propongono di continuare nell’impegno da lui auspicato. Scoppola aveva scavato a fondo nella storia dei cattolici italiani e nell’atteggiamento di volta in volta assunto dalla gerarchia e dal magistero papale. Distingueva il popolo di Dio dalla gerarchia; sosteneva che la gerarchia è al servizio del popolo di Dio e non viceversa.
Mi ha fatto molto senso vedere, proprio alla vigilia del mancato intervento del Papa alla Sapienza, la messa celebrata da Benedetto XVI nella Sistina col vecchio rito liturgico rinverdito a testimoniare la curva ad U rispetto al Concilio Vaticano II: il Papa con la schiena rivolta ai fedeli e la messa celebrata in latino.
Qual è il senso di questa scelta regressiva se non quello di ribadire che il mistero della trasformazione del vino e del pane in sangue e carne di Gesù Cristo viene amministrato dal celebrante senza che i fedeli possano seguire con gli occhi e in una lingua sconosciuta ai più? Il senso è chiarissimo: l’intermediazione dei sacerdoti non può essere sorpassata da un rapporto diretto tra i fedeli e Dio. Il laicato cattolico è agli ordini della gerarchia e non viceversa. Lo spazio pubblico è fruito dalla gerarchia e – paradosso dei paradossi – dagli atei devoti che hanno come fine dichiarato quello di utilizzare politicamente la Chiesa.

Eugenio Scalfari
la Repubblica

 

Come mai il laico Montanelli e tanti cattolici finirono dalla stessa parte? È che si ritrovarono, entrambi, a seguire la ragione: la quale faceva facilmente prevedere il fallimento delle utopie anni Settanta.
Anche oggi è una questione di ragione, non d’altro. È la ragione che ci fa stare con il Papa. Non solo per la brutta storia della Sapienza. Più in generale, avvertiamo un clima di ostilità, quando non di odio, che sta montando nei confronti del cristianesimo. Chi ha silenziato Ratzinger in nome della “razionalità” non avrebbe esitato a dar viceversa fiato e trombe a qualche imam fanatico e fondamentalista, in asservimento alla logica secondo la quale il nemico del mio nemico è mio amico. Per questo abbiamo scritto che il laicismo non è anticlericale, ma anticristiano.

Michele Brambilla
Il Giornale

Spedito l’invito, e accettato, l’incontro si doveva fare senz’altro. Per gli studenti sarebbe stata l’occasione particolare di ascoltare direttamente le parole di un Papa che ha passato anni dentro l’Università, e che resta professore anche da Pontefice. I docenti avrebbero avuto la possibilità di interloquire, di fissare e ribadire i punti fermi dell’autonomia dell’insegnamento e della libertà di ricerca, se lo ritenevano opportuno e ne sentivano il bisogno.
Il risultato sarebbe stato un confronto di opinioni pubblico e trasparente, di cui non si capisce come si possa aver timore, soprattutto se si è persone di cultura e si deve testimoniare la civiltà italiana ed europea – di cui le Università sono parte costituente – e l’importanza di un confronto di idee, prima ancora di ogni specifico sapere e di ogni scientifica conoscenza.
L’impressione è appunto quella di un cortocircuito, dove il gesto ha prevalso sul pensiero, una malintesa idea di autonomia si è stravolta in divieto, la libertà della scienza ha cozzato malamente contro la libertà di parola e la laicità si è ridotta ad una cupa caricatura di se stessa, preoccupandosi di limitare e restringere il perimetro dell’espressione invece di ampliarlo, garantendolo per tutti [...].
L’unica spiegazione possibile di questa prevalenza dell’irrazionale in una delle sedi proprie della ragione è la confusione italiana di oggi.

Ezio Mauro
la Repubblica

Il Pontefice sembra “proporre” Gesù Cristo e la fede cristiano-cattolica come uno dei percorsi buoni [...] per «trovare la via verso il Futuro» [...]. Non vuole imporre, ma consiglia. Auspica, non ordina. Aiuta, non costringe. Alla fine, ci vorrebbe tutti uniti e con un unico, augurabile obiettivo comune: la famosa verità.
Perché, allora, mi chiedo da laico [...], Ratzinger agisce in modo oppositivo rispetto a ciò che dice? Perché la sua assenza di aperture, i suoi no, i suoi divieti in materia di procreazione, di sacerdozio alle donne, le sue scomuniche? Perché la capacità di togliere di mezzo certe “concessioni” popolari fatte dal Concilio Vaticano II, vedi la posizione del sacerdote sull’altare durante la Messa e l’uso degli idiomi nazionali al posto dell’anacronistico latino?

Dario Fo
Il Messaggero

 

Il “secolo breve” ci ha mostrato con dovizia di prove che l’ideologia, dove è stata al potere, ha sistematicamente calpestato la dignità di chi la pensava diversamente, imponendo un’omologazione del sapere che non brilla certo come merito dei compiacenti “maestri di pensiero” di volta in volta funzionali al potere.
Eravamo convinti che un simile uso distorto della conoscenza appartenesse al passato: i fatti mostrano che non è così, che rigurgiti ideologici continuano a fermentare, che la libertà critica è una conquista da realizzare sempre di nuovo. Di fronte a quanto avvenuto, l’oscurantismo vero è di chi ha ispirato la protesta e di chi l’ha cavalcata.

Mons. Bruno Forte
Il Messaggero

L’ingerenza vaticana [...] non è solo culturale, spirituale, mediatica: è politica. È un potere di veto che si esercita sui partiti e sul Parlamento repubblicano. È la pretesa non di partecipare alla discussione, ma di dettarne i confini invalicabili. Quando si obietta su Darwin e il darwinismo non si fa certo soltanto una discussione accademica: si pretende (prima o poi accadrà anche qui da noi) che i programmi scolastici mettano sullo stesso piano la teoria dell’evoluzione e il creazionismo. Quando si dibatte sui limiti della scienza, la sua “non univocità” e i suoi pericoli [...], se ne conclude che l’unica soluzione è quella di sottomettere la scienza medesima alle direttive della Chiesa, cioè delle gerarchie ecclesiastiche. E quando (quasi ogni giorno) si esalta la “famiglia naturale”, si ribadisce la natura peccaminosa dell’omosessualità, del lesbismo e di tutti gli orientamenti sessuali diversi da quelli maggioritari, o si mette sotto accusa l’aborto, non si fa soltanto una predica: si bloccano leggi, si negano diritti e libertà, si criminalizzano vissuti. Tutto questo accade perché la Chiesa cattolica, questo papato, hanno scelto, per contrastare la secolarizzazione galoppante dell’Occidente, la strada della forza politica neo-temporale – la faccia, simoniaca, “razionalistica” del cattolicesimo, quella che qualche secolo fa produsse la Riforma e spaccò il mondo cristiano, quella che ora punta a riempire di forza (e di prepotenza) il vuoto dei valori, quella che sfrutta la crisi dell’idea di progresso per voltare all’indietro l’orologio della storia.

Rina Gagliardi
Liberazione

Gli oscurantisti sono loro, non il Papa. Gente incapace per formazione culturale e politica di rispettare altre idee all’infuori delle loro, ammesso ne abbiano una oltre all’anticlericalismo ottocentesco. L’episodio d’intolleranza contro il Pontefice conferma che il Sessantotto, di cui ricorre il quarantesimo anniversario, non è finito, e che fra studenti e professori continua un’alleanza avversa al liberalismo, al confronto delle opinioni [...]. È davvero tutto incomprensibile. Dalle nostre parti non si nega il microfono ad alcuno: intervengono prostitute, criminali, lazzaroni impenitenti, rivoluzionari e disubbidienti, terroristi, ex brigatisti, assassini e balordi d’ogni tipo. Tutti, eccetto il Papa. Il quale, se proferisce verbo, come minimo viene accusato di ingerenza, e se viene invitato alla Sapienza è costretto a non accettare per schivare i rigori della censura laica, democratica e antifascista.
Scusate. Ci sarebbe perfino da ridere se non fossimo paralizzati dalla vergogna. Il rogo viene riacceso dagli eretici e dai miscredenti per bruciare il Pontefice. Paradossale.
Quasi quasi mi dimetto da ateo.

Vittorio Feltri
Libero

 

 

   
   
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