In assenza
di meccanismi più efficienti per
allocare i capitali, la crescita globale in questo nuovo secolo
rallenterà molto più in fretta del dovuto.
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Si susseguono le riunioni e gli incontri a livello internazionale,
ma manca in pratica un accordo su come affrontare problemi di colossale
entità, come il debito americano, oppure le disfunzioni finanziarie
presenti in molti mercati emergenti.
È una paralisi a tre livelli. Innanzitutto, i Paesi ricchi
sono decisamente riluttanti ad accettare un piano dazione
collettivo che rischi di interferire con le politiche portate avanti
a livello nazionale. Il principale imputato, in questo caso, sono
gli Stati Uniti. I segretari del Tesoro amano da sempre impartire
lezioni ai colleghi stranieri sulla perfezione economica dellAmerica
e sui motivi per i quali qualsiasi Paese dovrebbe sforzarsi di emularli.
E pazienza se i nodi stanno per tornare al pettine, insieme al mercato
immobiliare Usa: il segretario americano al Tesoro continuerà
a professare questa logica. Tuttavia, non si può certo sostenere
che il fatto che questanno gli Stati Uniti sembrino avviati
a prendere in prestito dal resto del mondo centinaia di miliardi
di dollari costituisca un segnale di forza da parte degli americani
e di debolezza da parte degli altri.
È difficile riassumere in modo altrettanto succinto la cacofonia
di voci presenti in Europa. I francesi hanno un atteggiamento fortemente
ambiguo nei confronti della globalizzazione, la vedono come se si
trattasse di un esercito invasore. Latteggiamento britannico
è praticamente lopposto.

Sia come sia, in generale gli europei sono daccordo sul fatto
che il loro sistema è quello che garantisce il migliore stile
di vita, anche se le loro economie sono meno efficienti di quella
americana, in senso darwiniano. Anche i ministri delle Finanze europei,
quindi, non hanno tutta questa voglia di riconoscere che cè
la necessità, per poter gestire i rischi della globalizzazione
finanziaria, di apportare importanti correzioni alle politiche adottate.
I giapponesi, al solito, cercano di mantenere un profilo basso.
Essendo fra quelli che più beneficiano della globalizzazione,
cercano di evitare critiche alle loro politiche commerciali e finanziarie,
che restano molto più protezionistiche di quelle degli altri
Paesi ricchi. E sicuramente non vogliono doversi giustificare per
gli oltre 800 miliardi di dollari, accumulati per contrastare lapprezzamento
dello yen, che tengono in ostaggio nelle loro riserve.
Anche i Paesi in via di sviluppo hanno le loro colpe. Troppi politici
sono ancora convinti che le aperture ai flussi di capitale internazionali,
imposte dallesterno, siano state le principali responsabili
delle crisi finanziarie degli anni Novanta: unidea che purtroppo
ha ricevuto un certo credito intellettuale grazie a qualche economista
progressista che ha voluto sottoscriverla.
E poco importa se quasi tutte queste crisi avrebbero potuto essere
evitate, o quanto meno fortemente attenuate, se i Governi avessero
lasciato le loro valute libere di fluttuare rispetto al dollaro,
invece di adottare cambi rigidi. Lo spauracchio della globalizzazione
finanziaria è usato come scusa per continuare a tenersi stretti
sistemi finanziari interni inefficienti e monopolistici. Questi
sistemi finanziari obsoleti, incapaci di allocare gli investimenti
in modo efficiente, sono una delle principali ragioni del flusso
di denaro che si riversa negli Stati Uniti dai Paesi poveri.
E infine: il Fondo monetario internazionale, essendo lorganismo
multilaterale incaricato di mantenere la stabilità finanziaria
globale, dovrebbe essere quello che assume il ruolo-guida principale.
Anzi, è probabilmente lunico attore dotato di ununiversale
legittimità politica e intellettuale, sufficiente a indicare
una via dazione collettiva per affrontare la globalizzazione
finanziaria.
Il Fondo monetario, purtroppo, è paralizzato dalla necessità
di fare i conti con certi problemi di governance interna, il maggiore
dei quali è la mancanza di un metodo sensato per ricalcolare
il sistema di voti ponderati dei diversi Paesi compatibilmente con
il loro accresciuto o diminuito peso relativo nelleconomia
mondiale. È urgente, in particolare, dare un maggiore peso
decisionale allAsia.
Che cosa dovrebbero fare, allora, i ministri finanziari? La prima
cosa è la litania consueta delle politiche necessarie per
gestire gli squilibri commerciali mondiali. Tra queste politiche:
maggiore disciplina di bilancio negli Stati Uniti, maggiore affidamento
sulla domanda interna in Europa e in Asia, tassi di cambio più
flessibili in Asia.
Ma è tempo di andare oltre e cominciare ad esercitare pressioni
decise per accelerare la liberalizzazione finanziaria nei Paesi
in via di sviluppo (Pvs). La maggior parte degli studi indicano
che i Pvs dovrebbero far precedere qualsiasi apertura marcata ai
mercati finanziari internazionali dalla liberalizzazione degli scambi.
È fondamentale anche la presenza di politiche macroeconomiche
volte alla stabilità, mentre sono da evitare i tassi di cambio
fissi.
Numerosi Pvs, però, sono molto vicini a raggiungere queste
pre-condizioni. Ironicamente, il ricordo negativo del primo, prematuro
tentativo del Fondo monetario di promuovere una liberalizzazione
dei mercati di capitale a lungo termine rimane un ostacolo ancora
oggi. Il tentativo del Fondo di inserire nel suo statuto la liberalizzazione
dei mercati dei capitali, avvenuto nel mezzo della crisi finanziaria
asiatica degli anni Novanta, fu una mossa disastrosa, sotto il profilo
delle pubbliche relazioni.
Ora è arrivato il momento di riesaminare quellidea,
magari in una forma modificata, più sfumata. I sistemi finanziari
deboli presenti nei mercati emergenti rappresentano un notevole
ostacolo a uno sviluppo equilibrato, e sono anche uno dei principali
fattori alla base degli squilibri commerciali globali.
Premere per unulteriore liberalizzazione dei mercati di capitale
dopo la débâcle degli anni Novanta sarebbe visto con
diffidenza. Ma lessenza di quellidea era valida allora
ed è valida adesso. In assenza di meccanismi più efficienti
per allocare i capitali, la crescita globale in questo nuovo secolo
rallenterà molto più in fretta del dovuto. I politici
non potranno sfuggire in eterno a questa realtà.
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