Le decisioni
sui nostri futuri
consumi spesso non tengono conto delleventualità che
i nostri gusti in futuro possano cambiare.
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La divisione del mondo tra un Nord ricco e un Sud povero è
stata per lungo tempo un assioma per economisti e uomini di governo.
Dagli anni Cinquanta agli Ottanta del secolo scorso, al Nord cera
l80 per cento del Pil globale, ma meno di un quarto della
popolazione. Per il Sud, cifre invertite. Uno schema che ora è
diventato obsoleto. Il processo dinamico della globalizzazione ha
generato livelli mai visti di sviluppo e di interdipendenza. Ma
se non ha più senso la vecchia separazione, altre ne sono
emerse, al punto che oggi il mondo appare suddiviso in quattro aree
comunicanti.
La prima comprende Stati Uniti, Europa, Canada, Giappone e Australia,
con una parte del Sud-Est asiatico, con circa un miliardo di persone,
e con un reddito pro-capite che va dai 79mila dollari del Lussemburgo
ai 16mila della Corea del Sud. Per decenni, questi Paesi hanno dominato
leconomia mondiale, ma in questi ultimi anni la loro supremazia
appare minacciata da un secondo gruppo di economie.

Questi Paesi emergenti chiamiamoli i Globalizzati
sono un secondo gruppo a reddito medio-basso, incluse Cina
e India, con una crescita del reddito pro-capite del 3,5 per cento
medio annuo e tre miliardi e 200 milioni di abitanti, pari a circa
la metà della popolazione mondiale. I loro tassi di espansione
economica sono talmente sostenuti, da metterli nelle condizioni
di sostituire i tradizionali Paesi ricchi come vero motore delleconomia
mondiale. I Globalizzati sono Paesi con caratteristiche di partenza
molto diverse per dimensioni, geografia, storia, cultura
ma uniti dalla capacità di essersi pienamente integrati
nelleconomia planetaria e di saper usare la globalizzazione
come leva per potenziare il loro sviluppo.
Un terzo gruppo è formato da una cinquantina di Paesi a medio
reddito, con un miliardo 100 milioni di abitanti, che controllano
buona parte delle risorse naturali cruciali per la crescita mondiale,
tra cui il 60 per cento delle riserve petrolifere. Si tratta di
nazioni che vivono sostanzialmente di rendita, ma che non sono state
in grado di trasformare le rendite derivanti dalle loro ricchezze
in unespansione economica dinamica.
Lultimo gruppo è quello degli Stati più poveri,
con poco più di un miliardo di abitanti, per la maggior parte
dislocati nellAfrica subsahariana. Le loro economie sono in
ristagno o in declino, isolate dalla globalizzazione e con serissimi
problemi di sviluppo.
Il nuovo mondo a quattro strati presenta tre sfide-chiave. Innanzitutto,
lurgenza di intensificare gli sforzi per far sì che
il quarto gruppo non resti così tanto indietro. Questo significa
sostanzialmente nuove politiche economiche e aiuti che siano nello
stesso tempo più generosi e più efficaci.
Consideriamo che gli aiuti allo sviluppo sono certamente saliti,
raggiungendo 107 miliardi di dollari lanno (ultimi dati, 2005),
ma che gran parte dellaumento è dovuto a situazioni
specifiche, come il condono del debito allIraq e allAfghanistan.
Gli aiuti allo sviluppo per lAfrica, invece, sono scesi da
49 dollari pro-capite nel 1980 a 38 dollari nel 2005. Le vere necessità
per lavanzamento dei Paesi arretrati in realtà non
vengono affrontate, nonostante la conclamata retorica della crescita
degli aiuti.
In secondo luogo, le grandi potenze tradizionali devono far posto
allavanzata dei Globalizzati, a cominciare dalla Cina e dallIndia,
riformando lordine internazionale. I Paesi ricchi continueranno
ad avere un ruolo centrale, ma il potere economico sempre più
influente dei Globalizzati dovrà essere accompagnato da una
maggiore voce in capitolo nelle grandi questioni politiche. Molti
dei Paesi leader sembrano impreparati a questa sfida, che comunque
deve essere affrontata in tempi brevissimi.
Infine, anche se i Globalizzati hanno fatto uscire milioni di persone
dalla povertà, questo non si è tradotto in una maggiore
uguaglianza nel mondo, perché proprio nelle star
come la Cina e lIndia la maggiore ricchezza ha fatto aumentare
anche le disuguaglianze. Che si tratti delle regioni costiere rispetto
a quelle interne, oppure delle città rispetto alle aree rurali,
questi Paesi devono necessariamente risolvere le crescenti disparità
sociali, se non vogliono correre il rischio reale e non teorico
di vedere frenata la loro espansione economica.
Se lobiettivo generale è quello di rendere il mondo
più equo, allora le tradizionali leve dello sviluppo come
il commercio, gli investimenti, gli aiuti, limmigrazione dovranno
essere rafforzate in modo esteso e coerente, riformando le istituzioni
multilaterali.
In questo modo si contribuirà a migliorare la capacità
di affrontare le sfide globali e le prospettive di costruzione di
un mondo più giusto. Altrimenti, si dovrà dire addio
alle vecchie divisioni soltanto per averne di nuove.
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