Oggi, circa
la metà del mais
italiano ha un
contenuto
di tossine così
elevato, che non
potrebbe essere
in alcun modo
commercializzato.
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La capacità di presentarsi impreparati agli appuntamenti
molto importanti sembra essere una prerogativa tutta italiana. In
questi tempi assistiamo a due fenomeni distinti, ma tra loro legati:
laumento inarrestabile del prezzo del greggio e la crescita
esponenziale dei prezzo del mais sui mercati nazionali. Gli Stati
Uniti hanno scelto di dirottare parte del mais verso il biodiesel,
ottenendo in questo modo due vantaggi sincroni: diminuire limportazione
di prodotti petroliferi, e raddoppiare il prezzo del mais, che gli
Usa esportano in tutto il mondo. In definitiva, ne riceve un doppio
vantaggio lo scambio commerciale americano, ma soprattutto la fascia
politico-economica che, quando a fine anno dovrà rinnovare
il cosiddetto Farm Bill, potrebbe ridurre le attuali sovvenzioni
protezionistiche ai farmers del Mid West, dal momento che ora vendono
molto meglio le loro pannocchie.
Mentre in Italia si discute ancora dei rigassificatori e lEnel
acquista allestero centrali nucleari, dato che il suolo patrio
deve rimanere immacolato, le politiche agricole tricolori mostrano
tutto il corto raggio visivo da cui sono state ispirate.
Il mais è la prima coltivazione italiana, e soprattutto è
fortemente sovvenzionata dallUnione europea. Nel nostro Paese,
tra il 2001 e il 2006, le superfici coltivate a mais sono aumentate
dell1,5 per cento, ma la produzione si è ridotta del
3,2 per cento. In realtà, è dal 1999 che non si hanno
aumenti significativi della produzione media italiana di mais, mentre
normalmente la crescita è stimata in circa l1,5 per
cento allanno. Dunque, negli ultimi otto anni gli agricoltori
italiani hanno perso il 12 per cento della produzione per mancata
innovazione.

Sì, perché la ricerca e linnovazione sono andate
avanti sulle sementi transgeniche, mentre non cè stata
innovazione su quelle tradizionali a cui lItalia
si è votata. Solo per lannata 2007 i mancati aumenti
di produzione sono costati agli agricoltori di casa nostra 250 milioni
di euro, e la cosa non finisce qui. Nel 2001 il mais italiano soddisfaceva
il 98 per cento del fabbisogno italiano, mentre nel 2006 la quota
è scesa all87 per cento della richiesta nazionale.
Quel che manca, lo dobbiamo importare a 180 euro a tonnellata, un
prezzo che non scenderà certamente, ma con tutta probabilità
aumenterà nei prossimi anni.
Tra breve mancheranno al nostro Paese non meno di 300 mila tonnellate
di mais allanno, il che significa che dovremo importare mais
per non meno di 540 milioni di euro. Il 90 per cento del mais serve
per lalimentazione zootecnica, e si sa che con circa venti
litri di latte si fa un chilo di formaggio.
A breve giro, dunque, grana padano e parmigiano reggiano, tanto
per citare i due prodotti più famosi in Italia e nel mondo,
dovranno registrare nuovi, consistenti aumenti, e limputato
numero uno (insieme con le immancabili speculazioni) è proprio
il costo delle materie prime sui mercati internazionali.
Queste stime sono in realtà ottimistiche, dal momento che
trascurano il fatto che dal primo ottobre 2007 è entrata
in vigore la normativa comunitaria sul contenuto in fumonisine del
mais (1881/2006). Le fumonisine sono tossine di origine
fungina che provocano tumori allesofago nelluomo e malformazioni
al sistema nervoso centrale di feti di donne in gravidanza. Oggi,
circa la metà del mais italiano ha un contenuto di fumonisine
così elevato, che non potrebbe essere in alcun modo commercializzato.
Solo alcune varietà di mais da ogm, il mais Bt, hanno dimostrato
di avere un contenuto in fumonisine molto più basso dei nuovi
parametri comunitari.
Di fronte a uno scenario del genere, a un coltivatore di mais brillerebbero
gli occhi. Se potesse coltivare mais Bt, avrebbe un aumento di produzione
pari a 280 euro per ettaro e una riduzione dei costi di gestione
di 150 euro per ettaro, perché non dovrebbe utilizzare pesticidi
e macchine agricole costose per spargerli, produrrebbe un mais ottimo
dal punto di vista della sicurezza alimentare, e con ogni probabilità
venderebbe a un prezzo molto più alto dei 180 euro, in quanto
adatto per il consumo di categorie più tutelate, come bambini
e donne in gravidanza. Insomma, una vera e propria manna dal cielo.

Peccato si dice che dopo aver fatto tutti questi
sogni ci si debba svegliare e accorgersi che si vive in un Paese
nel quale cè chi ha progetti molto diversi, che avere
un campo di proprietà privata e rispettare la legge non è
sufficiente a esser liberi di fare impresa, che esiste una varietà
di mais Bt autorizzata in tutta lUnione europea sia per la
coltivazione in pieno campo che per lalimentazione umana,
ma che le leggi europee sono un optional nella Penisola, e che mentre
tutto il mondo chiede mais, da noi forse un bel po di aziende
saranno costrette a chiudere!
Ma qual è la situazione, cioè qual è latteggiamento
della scienza nei riguardi della ricerca?
Sui quotidiani di pochissimi mesi fa, si leggevano titoli del tipo:
Sì al mais ogm, scontro in Europa. Via libera allimport
di tre nuovi tipi. Italia e Francia contrarie.
Colpisce questultimo connubio. È appena venuto fuori
un libro illuminante sugli ogm, promosso dallIstituto Bruno
Leoni, intitolato Il cibo di Frankenstein. La rivoluzione biotecnologica
tra politica e protesta, di Gregory Conko ed Henry I. Miller. Nellintroduzione,
Anna Meldolesi mette in rilievo la forza dei movimenti anti-ogm
provenienti dalla Francia. Al confronto con gli eclatanti boicottaggi
organizzati da José Bové, i miserrimi teli di plastica
che, nel 2002, in occasione del vertice della Fao, gli attivisti
italiani posero sulle piantine ogm dellUniversità della
Tuscia a mo di profilattico per evitare improbabili fughe
di geni, risultano a dir poco patetici.
Eppure, nel 2007 la Francia ha coltivato dai 30 ai 70 mila ettari
di mais ogm, avvicinandosi alla Spagna, che non si è mai
fermata, neppure durante gli anni della moratoria europea (che andavano
dal 1998 al 2004), e che al mais geneticamente modificato destina
circa 60 mila ettari. Sostiene la prefatrice che in Italia non abbiamo
neanche un ettaro con coltura ogm, e si chiede perché: oltretutto
afferma la falsa dicotomia tra ogm e prodotti
tipici di qualità funziona al di là delle Alpi come
e forse più che da noi. Che cosa cè, allora,
di diverso? Semplice: in Francia nessuno oserebbe fare quello che
i politici di ogni colore e tendenza hanno fatto alla comunità
scientifica italiana nellultimo decennio. Daccordo,
si può essere anti-ogm, come è stata lEuropa,
più che altro per motivi protezionistici, ma ciò non
significa che bisogna umiliare la ricerca. Anzi, proprio nei periodi
in cui si vietano per cause protezionistiche le importazioni, è
saggio riguadagnare il ritardo accumulato nei confronti degli Stati
Uniti e degli altri Paesi grandi produttori ed esportatori, promuovendo
la propria ricerca.
Il libro di Conko e Miller è più appassionante di
un romanzo di Michael Crichton, proponendoci però un messaggio
opposto al suo spaventosamente allarmistico Stato di paura. Descrive
nei dettagli la lunga lotta tra le paure infondate, diffuse ad arte
da attivisti verdi, burocrati e associazioni del settore agro-industriale,
con la complicità di qualche sparuto gruppetto di scienziati,
e le posizioni della scienza, che da sempre dichiara compattamente
che le nuove tecniche del gene-splicing sono più sicure dei
metodi di ibridazione tradizionali. Smascherando, nello stesso tempo,
un altro mito: quello degli scienziati divisi.
Dopo aver letto questo libro, sarà evidente che la scienza
sugli ogm come altre questioni, dalla lotta contro i tumori
(ricordate il caso Di Bella?) alla ricerca sulle cellule staminali
(ricordate il referendum sulla fecondazione assistita, quando soltanto
un paio di scienziati contro tutti ebbero la sfacciataggine di difendere
la legge 40?) può apparire drammaticamente divisa
solo in quei Paesi nei quali la politica e lideologia dominano
su ogni altro aspetto della vita sociale.
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