Che cosa si farà per evitare nuovi disastri
e per far prendere al Sud
il treno che
nessuna delle altre Regioni europee
in via di sviluppo ha perso?
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Da tempo molti comunicano in chiaro, senza codici linguistici o
diplomatici da decifrare, sostenendo che il Sud è una palla
al piede dello sviluppo del Paese, di cui il Nord sarebbe invece
il centro vitale. Nello stesso tempo autorevoli osservatori scrivono
sui giornali che in Italia si sta determinando una separazione di
fatto tra il Nord e il Sud. E il riferimento non è soltanto
al crescente divario economico e sociale, vale a dire al reddito,
alloccupazione, alle infrastrutture, e via dicendo, ma anche
alla visione del ruolo dello Stato unitario e dellItalia come
nazione.
Non a caso la maggior parte delle forze politiche che contano continuano
ad accendere i riflettori su una questione settentrionale,
ritenendo che debba essere il Nord larea da privilegiare comunque,
al di là di ogni zavorrante proposito di soluzione dellaltra
questione, quella storica, cioè meridionale.
La verità è che con tesi del genere si vuole lisciare
il pelo a quella parte della cosiddetta nuova borghesia,
stanziata esclusivamente nelle regioni settentrionali, che di fatto
non ha una visione nazionale, soprattutto perché è
attratta dai mercati europei e globalizzati, mentre nei momenti
di difficoltà invoca un protezionismo moderno,
fingendo di ignorare che esso richiama quello antico, avversato
dalle più lucide intelligenze critiche (dei Cortese, dei
Cottone, dei Compagna, dei La Malfa
) meridionali e non. Le
forze politiche al Nord non contrappongono una strategia in cui
possano riconoscersi le forze produttive del Sud e del Nord in una
visione italiana ed europea. Nella contrapposizione delle formazioni
politiche al Nord, il Sud non cè. Ma continuano ad
esserci per tutti la sporcizia delle strade napoletane, la mozzarella
intossicata, i cannoli mafiosi, gli sperperi dei terroni, i morti
ammazzati.
In un contesto del genere, non stupisce il fatto che una parte notevole
di cittadini si rifugi nel nordismo protezionista e nellantipolitica.
E non sorprende nemmeno lidentificazione tra questione meridionale
e ponte sullo Stretto. Stupisce che una politica nazionale e meridionalista
non ce labbiano neanche le forze che si definiscono progressiste.
Allora, con queste contraddizioni, come si farà a prospettare
una politica comune per il Mezzogiorno?

Facciamo un esempio. Tra il 2007 e il 2013 perverranno dallEuropa
ben 100 miliardi di euro per lo sviluppo del Mezzogiorno. Come saranno
impiegati? Con quali programmi, per non disperdere queste risorse
in mille rivoli? Teniamo ben presente il fatto che le Regioni, così
come sono oggi, contribuiscono a dare unimmagine del Sud in
cui prevalgono lo scialo del denaro pubblico, il clientelismo, la
complicità o limpotenza di fronte allaggressività
della criminalità organizzata. Le mafie, come sappiamo bene,
non si possono distruggere se non cè un insediamento
politico e sociale, in tutti i gangli della società, di forze
in grado di contrapporsi quotidianamente al radicamento e alla diffusione
della cultura mafiosa, e se i comportamenti di chi governa
non sono adeguati a questi obiettivi. Purtroppo, le cose stanno
diversamente.
Parliamo intanto dei fondi europei al Mezzogiorno. Una delle polemiche
più recenti (e più roventi) è stata incentrata
sul sorpasso che avremmo subito dalla Spagna, come ulteriore
puntata della storia infinita del declino dellItalia. E subito
autorevolissime voci si erano levate, alte, a smentire la retorica
della crisi. E tuttavia basta proiettare i numeri in parità
di potere dacquisto di Eurostat per accorgersi che i sorpassi
rischiano di essere, nei prossimi anni, molto numerosi.
Se continuiamo a crescere con i ritmi degli ultimi dieci anni, nel
2015 saremo superati dalla metà dei Paesi dellUe che
poco più di una quindicina di anni fa sono venuti fuori dalla
Cortina di ferro, e nel 2020 subiremo persino il sorpasso dellultima
della classe, la Romania. Ed è un miracolo al contrario quello
che ci aspetta, se pensiamo che solo quindici anni fa (appunto)
lItalia era per potere dacquisto pro capite al di sopra
nelle stesse statistiche che adesso ci condannano
di Francia e Gran Bretagna.
Quasi tutti i Paesi che ci sorpassano uno dopo laltro
lo fanno, in parte, perché utilizzano molto meglio
i fondi strutturali che lEuropa destina alle Regioni in via
di sviluppo. Mentre noi continuiamo a sprecare, a disperdere, a
dirottare risorse; e forse continueremo a farlo, anche nel momento
in cui sta per abbattersi su Sicilia, Puglia, Calabria, Campania
una valanga di euro. Cento miliardi fino al 2013, come abbiamo detto.
Cento miliardi, equivalenti a dieci volte il valore della riforma
delle pensioni che pure tanto clamore suscita.
Nel recente passato, i risultati sono stati pari quasi a zero. Secondo
uninchiesta condotta dalla London School of Economics and
Political Science, cinquantuno miliardi di euro investiti tra il
2000 e il 2006 equivalevano se spalmati sugli ultimi sette
anni grosso modo al 3 per cento del Pil lordo annuo delle
Regioni meridionali. Insomma, sarebbero stati sufficienti, se distribuiti
a tutti i meridionali in maniera automatica e senza alcuna struttura
di governance, a generare una crescita del reddito pro capite di
tre punti percentuali in più rispetto ad aree non beneficiate.
E invece i divari sono addirittura aumentati: nel periodo, il Pil
è cresciuto dell1,2 per cento nel Sud, dell1,3
per cento nel Centro-Nord, e del 2 per cento in Europa. Performance
imbarazzanti, rispetto agli obiettivi che gli stessi programmatori
si erano dati (3,9 per cento!). E non diversi sono stati i risultati
sul fronte occupazionale, su variabili critiche come la sicurezza,
o in settori vitali come il turismo.
Impressionante, poi, è il dato sugli investimenti diretti
esteri: lintero Sud ne attrae meno della sola Umbria. Del
resto, i programmi di sviluppo sembrano scritti a tutti i
livelli ignorando che esiste il resto del mondo
e che persino le Regioni meridionali sono immerse in meccanismi
competitivi globali. Dappertutto le distanze aumentano, fino a determinare
situazioni tragicomiche, come quella dei Programmi di sviluppo elaborati
dai Comuni: tutti uguali, e dunque tutti bloccati.
Che cosa si farà per evitare nuovi disastri e per far prendere
al Sud il treno (probabilmente lultimo) che nessuna delle
altre Regioni europee in via di sviluppo ha perso? Siamo sicuri
che le Regioni, tutte le Regioni, sono attrezzate per gestire politiche
sempre più complesse? Quali possono essere le alternative
rispetto a meccanismi decisionali che hanno oggettivamente dimostrato
di non essere adeguati? Quali sono gli obiettivi che ciascuna amministrazione
(statale, locale) si impegna a raggiungere, e quali i meccanismi
di incentivazione per chi li raggiunge, o di penalizzazione per
chi li manca?
Il problema del Sud è di risorse, ma non solo di queste.
Anzi, a volte sembra non del tutto infondata la preoccupazione di
chi teme che i fondi servano, in realtà, a finanziare una
classe dirigente inefficiente e inefficace, che è dostacolo
a processi di modernizzazione che in qualsiasi altro Paese si verificano
senza difficoltà. Il dato vero, dunque, è che decine
di miliardi di euro sono stati gestiti fino ad oggi quasi esclusivamente
da amministratori pubblici. In qualche caso, questi burocrati sono
stati anche onesti e capaci. E tuttavia lerrore è pretendere
che possano essere costoro a fare scelte che sono invece indirizzi
politici dei quali si deve rispondere ai cittadini elettori. Purtroppo,
però, la politica e le opinioni pubbliche sono quasi del
tutto assenti sulla partita. Mentre non lo sono, e non solo nel
Mezzogiorno, le forze carsiche che condizionano la società.
Al Sud appartengono solo le idre mafiose, con le loro mortali metastasi.
E parliamo delle mafie, o meglio, di quella che è stata
la matrice storica di tutte le mafie, cioè lorganizzazione
siciliana. Quando certi personaggi si riempiono la bocca di meridionali
uguale mafiosi, non solo dovrebbero guardare in casa propria,
(i veneti dalle parti del Brenta, i lombardi dalle parti del capoluogo,
gli emiliani dalle parti di Parma, e via dicendo
), prima di
generalizzare a proposito e a sproposito, ma non sanno neanche di
che cosa stanno parlando.
Prendiamo spunto dalla messa in onda in tv della pièce Il
capo dei capi, e chiediamoci: come avrebbe commentato uno
scrittore come Sciascia una trasmissione del genere? Forse è
difficile dirlo. È più semplice immaginare, invece,
quel che avrebbe potuto pensare della polemica sulla presunta tendenza
a fare un eroe della figura del boss mafioso e del pericolo diseducativo
che potrebbe derivarne. Certo, non poteva non tornargli in mente
laccusa che gli venne rivolta, dopo la pubblicazione di Il
giorno della civetta, di avere in qualche modo idealizzato
la figura del capomafia don Mariano, facendo così lelogio
della mafia. Succederebbe soprattutto quando il capitano dei carabinieri,
Bellodi, va a casa del boss, e don Mariano gli spiega che le persone
si dividono in uomini, mezzi uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraquà,
e che lui non ce lha con lufficiale, anche se lo arresta,
perché lo considera un vero uomo, al che Bellodi ribatte:
«Anche lei è un uomo! ».
Accusa priva di senso, che può essere fatta solo da chi non
sa che cosa è realmente la mafia. Non lo sapevano neanche
quando fu pubblicato quel romanzo, (quando si negava addirittura
lesistenza del cartello del crimine organizzato). Al capomafia
di Sciascia non sarebbe mai venuto in mente di uccidere Bellodi,
e men che mai un Falcone o un Borsellino dellepoca, se vi
fossero stati, o i politici con i quali lorganizzazione conviveva.
Perché la mafia, quella vera, non è contro lo
Stato, ma è dentro lo Stato; non fa guerra
allo Stato e non consuma stragi, ma convive appunto
con forze dellordine, con i giudici e con la politica.
Ed è per questa ragione che i suoi capi, gli autentici capi
dei capi, hanno una loro cupa grandezza, e persino una loro
nobiltà, che è la capacità politica
di comandare e di decidere. Sono come il personaggio di Sciascia,
e non come un Totò Riina, che in sostanza non ha distrutto
lo Stato, ma ha distrutto la mafia, cioè la sua cosca corleonese.
Allora, personaggi come quelli della fiction televisiva possono
affascinare e diseducare i giovani solo se essi sono ignoranti e
mentalmente ottusi, e se guardano la tv invece di leggere e di capire
Sciascia. Riina è stato esclusivamente un criminale terrorista,
che ha fatto carriera sterminando veri boss e prendendone il posto,
senza essere in grado di esercitarne il ruolo e la funzione, prima
di imbracciare il mitra contro lo Stato e gli uomini delle istituzioni.
Riina era al massimo, ma proprio al massimo, un ominicchio.
Il Sud ha molte qualità e molti pregi da far valere, tirandoli
fuori dal fondo del pozzo nel quale sono stati lasciati per tornaconto
geografico e per unilaterale strategia di privilegio. Il Sud ha
lintelligenza e la duttilità del capitale umano, troppo
spesso sottovalutato e male orientato; lo spirito di intrapresa
che resiste agli attentati malavitosi; le aree, i settori e le imprese
di eccellenza che producono beni di straordinaria qualità
e ben competono sui mercati esteri; le incomparabili bellezze naturali;
un patrimonio di arte e di cultura più unico che raro.
Per valorizzare queste preziose risorse non sono più sufficienti
le consuete idee né le solite proposte. Occorre rinnovare
radicalmente un modo di vedere e un modo di giudicare il Sud. Non
servono più neanche le denunce, anche se vere e illuminanti,
perché alimentano solo senso di impotenza individuale e collettiva,
deteriorano limmagine del Mezzogiorno, minano la credibilità
stessa dellintero Paese.
Per realizzare una reale politica di sviluppo del Sud, indispensabile
per far avanzare lintero Paese, cè bisogno di
una moderna stagione di policy che non faccia più sconti
a nessuno, che si fondi sulla prevenzione superando la logica dellemergenza,
che premi i comportamenti virtuosi dei cittadini e delle amministrazioni.
È dunque necessario uno sforzo aggiuntivo per condividere
quellinsieme di regole in grado di stimolare comportamenti
propositivi e di risvegliare gli animi intorpiditi. La soluzione
può essere a portata di mano, se la governance sarà
ispirata a corretti criteri di responsabilità. Facciamo qualche
esempio.
Il primo passo è fare innanzitutto i conti con le innumerevoli
défaillances del potere pubblico, per scongiurare che lo
sperpero di risorse, le inefficienze e lillegalità
continuino a minare immagine e credibilità del Mezzogiorno
e del Paese. Lindice di vitalità economica del sistema
produttivo (Rapporto Svimez 2007) colloca il Sud allultimo
posto della graduatoria europea e, quel che è più
grave, a circa la metà di quello del Centro-Nord. In termini
di potenzialità competitiva, fatto 100 lindice medio
dei Ventisette della Ue, il Sud raggiunge un modesto 66. Allora,
i finanziamenti nazionali ed europei per incentivare lo sviluppo
del Mezzogiorno devono coinvolgere le Regioni, ponendo lonere
a carico delle loro stesse finanze quando si avventurano in fantasiose
misure di carattere chiaramente assistenziale.
Ancora: per combattere il sommerso, anticamera dellillegalità
diffusa, è meglio introdurre forti agevolazioni fiscali,
che favoriscano lemersione delle imprese e del lavoro nero,
al posto delle solite sanzioni, facilmente aggirabili. Inoltre,
per rilanciare le produzioni meridionali, la sicurezza alimentare,
gli standard turistici, è di grande utilità il ricorso
a sistemi volontari di autocertificazione della qualità dei
processi produttivi, dei prodotti o dei servizi offerti, prevedendo
lautomatica sospensione del marchio in caso di mancato rispetto
delle norme liberamente adottate. Infine, alla formazione scolastica
va rivolta grande attenzione, visto che i laureati in materie scientifiche
nel Sud raggiungono appena 7 unità per 1.000 abitanti tra
i 20 e i 29 anni, rispetto alle 10 del resto dItalia e alle
13 della media Ue.
Per ultimo, un problema non meno vitale: lirrilevante capacità
di attrazione di investimenti esteri, specchio di tutte le difficoltà.
Tra il 2000 e il 2006, essi hanno raggiunto un modesto livello di
13 euro per abitante, rispetto ai 292 del Centro-Nord, agli 800
della media Ue, o ai 1.500 della sola Irlanda.
Lattrazione può essere migliorata, istituendo zone
franche, dotate di agevolazioni fiscali pluriennali e onnicomprensive,
e superando la pratica del marketing territoriale portata avanti
per troppo tempo, con scarsi risultati, da Sviluppo Italia.
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