Questa volta
i creditori
comprano azioni bancarie,
non azioni del
Canale di Suez,
e di conseguenza
il potere si sposta decisamente da Occidente verso Oriente.
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Ci sarà un momento in cui gli storici si accorgeranno, magari
sorprendendosi, che il decennio attuale ricorda molto da vicino
un altro analogo periodo, appartenente sempre agli anni della seconda
metà di un secolo, anche se non di quello appena trascorso,
ma del XIX. Un secolo che non era coinvolto in crisi petrolifere,
in svalutazioni della divisa americana, in guerre lontane e senza
soluzioni di continuità per il controllo delle materie prime,
e in altri accidenti nostri contemporanei. Parliamo del 1870.
Tanto per dire, a distanza di circa centoquarantanni le analogie
potrebbero anche non apparire ovvie. In quellanno i leader
conservatori, come Benjamin Disraeli, primo ministro britannico,
erano benvoluti; i prezzi erano abbastanza bassi dopo la crisi finanziaria
del 1873, e le immense pianure statunitensi venivano redente,
dissodate per lo sviluppo delle attività agricole. Era un
periodo di stabilità monetaria, con tutti i Paesi che seguivano
lesempio della Gran Bretagna, agganciando la propria valuta
alle riserve auree possedute.
Eppure, a riflettere più in profondità, ci si accorge
che stiamo attraversando una stagione di spostamento globale nellequilibrio
del potere, davvero molto simile a quanto si verificò proprio
nel 1870. Questa è la storia di un grande Impero affermatosi
in tre Continenti per settecento anni che ad un certo punto
tentò di far fronte alla crisi del debito estero, praticamente
svendendo tutti i propri averi agli investitori stranieri. Nel 1870
fu lImpero Ottomano ad affrontare questa crisi. Ai nostri
giorni, tocca agli USA.
In seguito alla guerra di Crimea, il Sultano e Califfo di Costantinopoli
e il suo vassallo dEgitto, un khedivè, iniziarono ad
accumulare un ingentissimo debito, sia interno sia estero. Tra il
1855 e il 1875, il debito ottomano aumentò di ventotto volte.
Per quanto riguarda la percentuale delle spese, gli interessi e
gli ammortamenti passarono dal 15 per cento nel 1860 al 50 per cento
nel 1875. In Egitto la situazione venutasi a creare era analoga:
tra il 1862 e il 1876 il debito pubblico totale lievitò da
3,3 milioni a 76 milioni di sterline inglesi. Il bilancio del 1876
rivelò che il debito aveva già superato la metà
della spesa.

I prestiti erano stati richiesti per ragioni militari e per esigenze
economiche: per sostenere la posizione militare ottomana sia durante
che dopo la guerra di Crimea e per finanziare la costruzione di
canali e di ferrovie, (per le strade ferrate operarono soprattutto
i tedeschi e gli italiani), compreso il Canale di Suez, inaugurato
nel 1869, e per il varo (ad opera dellInghilterra) di navi
corazzate che nessun equipaggio turco era in grado di governare.
Ma ingenti somme di denaro vennero sperperate per uno sfrenato consumismo:
ne sono ancora oggi un esempio il lussuoso Palazzo Dolmabahçe
a Istanbul, voluto dal Sultano Abdul Mejid (con un salone di cinquecento
metri, contenente gli specchi più grandi del mondo), e la
straordinaria prima mondiale dellAida al Teatro dellOpera
del Cairo nel 1871. Sulla scia della crisi finanziaria che colpì
nel 1873 la Borsa europea e quella americana, il terremoto finanziario
nel Vicino Oriente fu semplicemente e drammaticamente inevitabile.
Sicché, nellottobre del 1875 il Governo ottomano fu
costretto a dichiarare bancarotta.
La crisi ebbe sul piano strettamente finanziario due distinte conseguenze:
la vendita delle azioni del Canale di Suez del khedivè al
Governo inglese, (4 milioni di sterline inglesi anticipati a Disraeli
dai Rothschild), e lipoteca su alcune tasse dellImpero
Ottomano, stabilita con il sostegno dellAmministrazione Internazionale
del Debito Pubblico Ottomano, che rappresentava gli obbligazionisti
europei.
Il problema fu che la crisi del debito rese necessaria la vendita
o il trasferimento delle entrate del Vicino Oriente allEuropa.
È fuor di dubbio che la crisi del debito negli Stati Uniti
si è sviluppata in maniera del tutto diversa. Il deficit
estero è cresciuto in modo estremamente rapido come conseguenza
degli indebitamenti del Governo americano e delle famiglie statunitensi.
Non è il settore pubblico ad essere inadempiente, ma lo sono
coloro i quali richiedono dei prestiti senza fornire le dovute garanzie
(gli ormai celeberrimi mutui subprime).
Al modo del 1870, tuttavia, il risultato di questa crisi è
la cessione dei beni e dei guadagni ai creditori stranieri. Questa
volta, però, i creditori comprano azioni bancarie, non azioni
del Canale di Suez. E di conseguenza, il potere si sposta decisamente
da Occidente verso Oriente.
Dal settembre dellanno scorso, i Fondi Sovrani Mediorientali
hanno messo a segno una serie di investimenti in quattro grandi
banche statunitensi: la Bear Stearns, la Citigroup, la Morgan Stanley
e la Merrill Lynch (il 10% di Morgan Stanley e di Citigroup sono
nelle mani rispettivamente degli investitori cinesi e mediorientali,
mentre la Citicorp, una delle banche più grandi del mondo,
per salvarsi dal ciclone subprime, ha dovuto bussare
alle porte dellAbu Dhabi Investment Authority, il Fondo Sovrano
più ricco del pianeta, N.d.R.).

Molti analisti hanno colto con evidente favore questo salvataggio
globale: meglio rastrellare capitale estero, piuttosto che ridurre
il proprio bilancio, limitando i prestiti. Tuttavia, è necessario
riconoscere che queste iniezioni di capitale rappresentano
un vero e proprio trasferimento delle entrate dalle istituzioni
finanziarie americane nelle mani di Governi stranieri. E questo
si verifica proprio nel momento in cui il divario tra i redditi
occidentali e quelli orientali si riduce ad una velocità
senza precedenti. In altri termini, come nel 1870, mutano gli equilibri
del potere finanziario. Allora lo spostamento andava dagli antichi
Imperi orientali (non soltanto quello Ottomano, ma anche quello
Cinese e quello Persiano) allEuropa occidentale; oggi va dagli
Stati Uniti dAmerica e da altri centri finanziari occidentali
alle autocrazie del Vicino Oriente e dellAsia orientale.
Ai tempi di Disraeli e della potenza imperiale britannica, la crisi
del debito ebbe implicazioni sia politiche che finanziarie, lasciando
prevedere una riduzione dei guadagni ma anche della sovranità
dei debitori.
Nel caso dellEgitto (prima area a reclamare e ad ottenere
una sovranità autonoma dallImpero Ottomano, ancorché
formalmente legata al Sultano e Califfo di Costantinopoli), quello
che era iniziato con la vendita dei beni proseguì con la
costituzione di una Commissione estera per gestire il debito pubblico,
poi con linstaurazione di un Governo internazionale,
e infine con lintervento militare inglese (allinizio
della Prima guerra mondiale) che trasformò il Paese, insieme
con il Sudan anglo-egiziano, in una colonia a tutti
gli effetti. Nel caso della Turchia, alla crisi del debito seguirono
labdicazione del Sultano e lintervento militare russo,
che inflisse il colpo decisivo alla posizione ottomana nei Balcani.
Occorre vedere quanto tempo ci vorrà perché allattuale
spostamento del potere segua uno geo-politico a favore dei nuovi
Imperi dellEst, che fondano la loro potenza soprattutto sulle
risorse energetiche e sulle esportazioni.
In ogni caso, si può dire che lanalogia storica non
è di buon auspicio per la rete quasi imperiale di basi e
di alleanze di cui gli Stati Uniti dAmerica dispongono nel
Vicino e Medio Oriente e in Asia. Prima o poi non sarà più
sufficiente vendere le azioni. La storia ci insegna che gli Imperi
debitori saranno costretti a fare ben altro, per soddisfare quelli
creditori.
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