Nei prossimi anni, la crescita della economia
cinese porterà a un
graduale
allontanamento dal dollaro, come valuta di riserva
su scala mondiale.
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Chi può farlo in virtù della propria valenza professionale,
in qualunque parte del mondo, chiede di essere retribuito in euro:
«Perché nessuno sa quanto scenderà ancora il
dollaro». Del resto, riuscire a prevedere come oscillerà
la valuta nel medio periodo è facile come prevedere il tempo.
Parafrasando Chance, il surreale protagonista del film Oltre il
giardino, nel lungo termine è certo che lautunno cederà
il passo allinverno.
Insomma, con i tempi che corrono è quasi certo che il dollaro
debole di oggi diventerà ancora più debole nellimmediato
futuro. Il fenomeno, del resto, ha origini quasi antiche. Il Fondo
monetario internazionale (Fmi) venne istituito nel luglio 1944,
dopo la Conferenza di Bretton Woods. Gli Stati Uniti avevano adottato
un sistema basato sulla convertibilità del dollaro in oro
(stimato 35 dollari loncia) e altri Paesi avevano agganciato
le valute non alloro, ma al dollaro americano. Il compito
principale di questo sistema era garantire la stabilità del
tasso di cambio.
Poi questo sistema iniziò a precipitare. Erano gli anni Sessanta.
Prima la Gran Bretagna fu costretta a svalutare più volte
la sterlina. Successivamente, il deficit di bilancio cronico degli
Stati Uniti, verificatosi durante la guerra in Vietnam, e i programmi
di welfare costrinsero il presidente Nixon a chiudere la Gold
Window il 15 agosto 1971, proprio per frenare lassalto
speculativo al dollaro.
Cadde allora lultimo punto fermo per il sistema dei tassi
di cambio fissi, la convertibilità della divisa americana
in oro a un prezzo garantito. Fin dal 1971, insomma, il mondo vive
con un sistema inconvertibile, nel quale il prezzo di una valuta
rispetto a unaltra dipende dalle previsioni dinflazione,
dai tassi dinteresse, dalle bilance commerciali e da molti
altri fattori.
Quando la Federal Reserve cercò bruscamente di porre un freno
allandamento monetario nei primi anni Ottanta per ridurre
il tasso dinflazione a due cifre che affliggeva gli Stati
Uniti, il dollaro diventò il re delle valute: raggiunse la
parità con la sterlina, venne scambiato a 4 marchi tedeschi
e a 360 yen giapponesi.

Oggi, 37 anni dopo, la situazione è capovolta. Alla fine
del 2007 una sterlina valeva più di 2 dollari, servivano
113 yen per acquistare 1 dollaro, e leuro raggiungeva picchi
storici. Secondo i docenti dei più importanti dipartimenti
di economia americani, la discesa è tuttaltro che finita:
il dollaro calerà ancora di un 10-20 per cento.
Anche rispetto ad altre valute, sempre durante lo scorso anno, il
dollaro non è andato meglio: ha subìto cali intorno
al 16 per cento nei confronti del real brasiliano, al 17 per cento
nei confronti del dollaro canadese, al 10 per cento nei confronti
dei pesos colombiano e uruguaiano, al 10 per cento e oltre nei confronti
delle valute di altri otto Paesi: Australia, India, Filippine, Thailandia,
Norvegia, Polonia, Slovacchia e Turchia. Trend, questo, proseguito
fino alla metà del 2008. Il denaro, destinato agli investimenti,
che affluisce in molti di questi Paesi ha esercitato una pressione
al rialzo sulle loro valute, determinando inflazione.
Dal momento che la Cina mantiene il controllo dei movimenti di capitale,
Pechino è riuscita a mantenere la rivalutazione dello yuan-renminbi
ben al di sotto del 4 per cento. Questa evoluzione monetaria rappresenta
la brusca inversione di tendenza come conseguenza della crisi finanziaria
del 1997. Durante il vertice dei ministri delle Finanze del G-7
dellautunno dello scorso anno, non venne rilasciata alcuna
dichiarazione. Venne invece criticata la Cina per la sua decisione
di mantenere basso il valore della sua valuta. Nessuno è
riuscito a convincere Pechino a rivalutare la sua moneta un po
più velocemente.
La Cina, però, non ha taciuto sul problema della propria
moneta. In una replica ai ministri del G-7, Zhou Xiaochuan, Governatore
della Banca centrale cinese, ha sostenuto che il valore dello yuan-renminbi
viene sempre più determinato dalle forze di mercato (parole
in codice, per far capire in qualche modo che si tratta di una lenta
rivalutazione), e che la Cina intende «rendere la propria
moneta completamente convertibile sulla bilancia dei movimenti di
capitali»: in futuro, ma non nellimmediato, ha detto
inoltre Zhou, lintera comunità a livello mondiale deve
fare la propria parte nel ridurre gli squilibri. E questa è
stata la frase in codice per dire che gli Stati Uniti devono ridurre
i loro deficit della bilancia commerciale e il disavanzo di bilancio
per sostenere il dollaro.
Finora le economie europee sono riuscite in qualche modo a far fronte
al dollaro debole, ma è diffusa la preoccupazione che un
tasso tra 1,70 e 1,80 dollari possa far affluire in Europa quantità
ancora maggiori di prodotti cinesi a basso costo, danneggiando le
esportazioni e la crescita dellUnione europea.
La debolezza della valuta americana non è il risultato di
vicende recenti. Le basi sono state gettate nel corso di un lungo
periodo. Gli Stati Uniti comè stato ricordato
più volte hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità
per lunghi anni. Il debito pubblico federale è di 5 trilioni
di dollari, laddove la partecipazione estera a questo debito raggiunge
il 50 per cento. Il deficit americano delle partite correnti, cioè
la bilancia del commercio di beni e servizi, si avvicina pericolosamente
ai 1.000 miliardi di dollari lanno. Il consumo interno statunitense
non è di gran lunga in linea con gli investimenti interni.
Gli stranieri posseggono una fetta sempre più grande delleconomia
degli Stati Uniti e del debito del loro governo, ma temono le conseguenze
della costante crescita di queste quote, viste soprattutto le perdite
associate alla caduta della moneta.
Gli sviluppi recenti hanno aggravato le tendenze nel lungo periodo.
Leconomia americana ha rallentato, mentre leconomia
dellarea delleuro si è risollevata, anche se
di poco. La crescita nei Paesi in via di sviluppo è decisamente
più forte che negli Stati Uniti, e di conseguenza questi
Paesi attirano crescenti quote di investimenti globali. Dopo la
crisi dei mutui subprime, negli Usa si sta insinuando la paura che
leconomia americana possa rallentare addirittura fino a registrare
una lunga recessione, il che rende gli investimenti nelleconomia
doltreoceano meno interessanti. La Fed ha ridotto i tassi
dinteresse, diminuendo al tempo stesso il rendimento delle
attività finanziarie americane. E sono possibili ulteriori
riduzioni. Banche centrali estere e fondi patrimoniali che hanno
accumulato trilioni di dollari stanno iniziando a diversificare
partecipazioni e investimenti in un paniere valutario. Accumulando
più fondi, la diversificazione potrebbe accelerare.
È molto probabile che i tentativi congiunti per sostenere
il dollaro falliscano. I deficit gemelli (disavanzo pubblico e disavanzo
della bilancia delle partite correnti) hanno creato squilibri globali
impossibili da sostenere ancora a lungo. A meno che gli americani
non riducano i consumi e aumentino i risparmi, cosa alla quale sono
stati sempre restii, il dollaro dovrà calare ancora per eliminare
questi squilibri.
La grande speranza in questo disordine è che la Cina trasformi
la sua economia orientata allesportazione in uneconomia
incentrata sul consumo interno, creando in questo modo mercati più
ampi per beni e servizi americani ed europei. Tutto ciò contribuirebbe
a ridurre il deficit della bilancia commerciale degli Stati Uniti,
aiutando così il dollaro.

Ma la speranza sembra mal riposta. Un dollaro più debole
potrebbe migliorare leggermente il deficit commerciale degli Usa
nei prossimi mesi, ma non potrà porre rimedio alla sua causa
principale. La maggior parte del deficit commerciale americano tra
il 2004 e il 2006 era da imputarsi ai prezzi petroliferi troppo
alti. Dato che la domanda globale di prodotti petroliferi supera
lofferta globale, i prezzi del barile resteranno elevati,
anzi oscilleranno, ma verso picchi alti: così gli Stati Uniti
continueranno ad accumulare deficit commerciale.
In assenza di una massiccia nuova produzione di energia, di unelevata
imposta sul petrolio importato o di qualche sistema di razionamento
per ridurre il consumo (che i politici statunitensi non intendono
imporre), il deficit commerciale resterà alto e il dollaro
rimarrà sotto pressione.
Ogni aumento del prezzo del greggio prelude a un dollaro più
debole. È improbabile infine che il fenomeno di una Cina
(di unIndia, di una Corea del Sud, di un Brasile
) in
ascesa riesca ad evitare ulteriori discese del dollaro. Negli anni
a venire, la crescita delleconomia cinese porterà a
un graduale allontanamento dal dollaro, come valuta di riserva su
scala mondiale. Laggregato monetario M2 cinese si è
raddoppiato ogni quattro anni, a partire dal 1978, ed è probabile
che la rincorsa continui per tutto il prossimo decennio.
Entro il 2020, o forse anche prima, lo yuan-renminbi diventerà
una moneta completamente convertibile, e fornirà ad altri
Paesi asiatici unalternativa al dollaro. E dal momento che
i Paesi asiatici dipenderanno in misura sempre maggiore dal commercio
con la Cina e da quello continentale, piuttosto che dal commercio
con gli Stati Uniti, il dollaro subirà ulteriori pressioni.
Insomma, a meno che il governo americano non faccia sul serio per
quanto concerne la riduzione dei suoi deficit di bilancio e delle
partite correnti, il che significa ridurre drasticamente limportazione
di petrolio, le prospettive per il dollaro appaiono quantomeno incerte.
E se il dollaro continua a indebolirsi, leuro in costante
apprezzamento diventerà la più grave questione economica
del Vecchio Continente.
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