Dopo le amare stagioni delle
migrazioni, che hanno succhiato
il miglior sangue delle genti del Sud, ad essere emarginati,
penalizzati, esclusi sono ora i giovani.
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La situazione economica italiana è così complessa
e difficile, che impone unestrema urgenza nellaffrontare
i gravi problemi che la determinano. In termini reali, il reddito
disponibile degli italiani è fermo ai livelli dei primi anni
Novanta. Ciò riflette lincremento della pressione fiscale
(salita di circa tre punti percentuali tra il 2005 e il 2007) e
la bassa crescita della produttività. Poi si è aggiunto
lo shock inflazionistico. Lesigenza politica di fare qualcosa
che desse un sollievo immediato è stata evidente. Ma i problemi
di cui soffre leconomia della Penisola non possono essere
risolti dalloggi al domani. Allo stato delle cose, è
essenziale concentrarsi sugli obiettivi di lungo periodo, senza
limitarsi a misure di piccolo cabotaggio o a palliativi estemporanei.
Cominciamo dalle cose da non fare. Limpennata dei prezzi è
dovuta alla variazione di alcuni prezzi relativi: energia e prodotti
alimentari. È probabile che la situazione duri a lungo, perché
riflette nuovi equilibri nelleconomia mondiale. Alcuni settori,
come la pesca o i trasporti, sono particolarmente colpiti dal rincaro
energetico? Purtroppo, cè ben poco da fare: se alcuni
beni diventano più scarsi, i loro prezzi devono salire per
guidare la riallocazione di risorse.
Contrastare gli aumenti con sussidi mirati o con prezzi amministrati
sarebbe controproducente e fonte di inefficienze. Inseguire gli
aumenti con rincorse salariali sarebbe altrettanto vano. Come è
stato più volte messo in evidenza, la Banca centrale europea
continuerà a vigilare, per evitare un aumento duraturo dellinflazione,
anche perché la rincorsa salariale si tradurrebbe soltanto
in una maggiore disoccupazione.
Nulla da fare, allora? Non è detto. Si possono sostenere
i redditi più bassi, nellambito delle compatibilità
di bilancio. Ma si deve trattare di interventi rivolti ai cittadini
bisognosi, non un aiuto ad alcuni settori produttivi.
Naturalmente, la vera sfida è unaltra: rilanciare la
crescita. Per questo, sono state indicate tre fondamentali linee
di azione. Innanzitutto, deve rallentare la dinamica della spesa
pubblica corrente. I vincoli di bilancio sono chiari. Per raggiungere
lobiettivo di bilancio in pareggio nel 2011 e per far scendere
la pressione fiscale al 40 per cento, la spesa corrente deve diminuire
di circa l1 per cento allanno, in termini reali, per
i prossimi cinque anni. Negli ultimi dieci anni, invece, è
cresciuta poco più del reddito. Una riforma incisiva della
Pubblica Amministrazione è un passo cruciale per raggiungere
questi obiettivi. Ma occorrerà anche mettere mano ai grandi
programmi di spesa, incluse le pensioni. Incrementare letà
media di pensionamento è un obiettivo irrinunciabile, che
può essere conseguito anche con strumenti non eccessivamente
costrittivi.
In secondo luogo, occorre affrontare il nodo irrisolto della produttività.
Anche in questo caso, non è sufficiente un singolo provvedimento.
Tutta lazione di governo, dagli interventi fiscali alla riforma
della pubblica amministrazione, alle liberalizzazioni, alle riforme
sul mercato del lavoro, deve essere finalizzata al raggiungimento
di questo obiettivo.
Infine, bisogna imprimere una svolta alle politiche per il Mezzogiorno.
Il Sud non ha bisogno soltanto di risorse finanziarie e di infrastrutture
moderne, ma anche se non soprattutto di più
legalità, di un miglior funzionamento della pubblica amministrazione,
di più capitale sociale.
Controllo della spesa pubblica, accelerazione della produttività
del lavoro, svolta nelle politiche in favore del Mezzogiorno: non
si tratta di cose realizzabili nel breve spazio di un mattino. Anche
nellipotesi migliore, i risultati li vedremmo nel corso degli
anni.
E nel frattempo? Per indurre un miglioramento immediato delle aspettative,
lazione dintervento andrebbe impostata in una prospettiva
pluriennale. Ad esempio, si potrebbe definire un programma strutturale
di tagli dimposta, accompagnato da precisi obiettivi sul lato
della spesa. Se il percorso è credibile, ciò potrebbe
anticipare la reazione favorevole delleconomia e facilitare
lazione dellEsecutivo.
Rilanciare una nuova e ultimativa questione
meridionale come momento essenziale e indifferibile dello
sviluppo complessivo del Paese, significa oggi mettere in campo
una questione generazionale. Come ha affermato il Governatore
di Bankitalia, Mario Draghi, «i protagonisti della ripresa
devono essere coloro che hanno in mano il futuro: i giovani, oggi
mortificati da unistruzione inadeguata, da un mercato del
lavoro che li discrimina a favore dei più anziani, da unorganizzazione
produttiva che troppo spesso non premia il merito, non valorizza
le capacità».

Emarginati, penalizzati, discriminati. Dopo le amare stagioni delle
migrazioni, che hanno succhiato il miglior sangue delle genti del
Sud per lo sviluppo, a costo vile, di altre aree del Paese, nella
nostra società contemporanea i giovani sono gli esclusi.
Invece di essere considerati una risorsa su cui costruire il domani,
sono visti come una minaccia per le generazioni che hanno in pugno
le leve del comando. E faticano ad aprirsi una loro strada. Non
mancano spunti a favore di questa tesi. Sulleducazione, per
esempio, è stato affermato che la distanza che separa i quindicenni
italiani dalla media dellOcse equivale alle competenze che
si possono acquisire con un semestre di scuola per le scienze e
la lettura e con un anno per la matematica. Non raggiungono il livello
minimo di competenze giudicato necessario in una società
avanzata il 50,9 per cento dei ragazzi nella lettura e nella comprensione
dei testi, il 32,8 per cento in matematica, e il 25,3 per cento
in scienze (42,8 per cento, 21,3 per cento e 23,2 per cento rispettivamente,
nella media europea). Un divario pesante proprio là, la cultura
di base, dove sono poggiate le fondamenta delle conoscenze più
avanzate.
Una volta superata la boa dellingresso nellattività
produttiva, la situazione non migliora: i consumi continuano a risentire
della instabilità dei rapporti di impiego, diffusa specialmente
fra i giovani e nelle fasce marginali del mercato del lavoro. Lincertezza
sul reddito corrente, sulle sue prospettive di crescita futura,
frena le decisioni di spesa, anche per linadeguatezza della
rete di protezione sociale. Malgrado i miglioramenti conseguiti
negli ultimi anni, ad esempio, manca ancora un disegno organico
e rigoroso delle garanzie offerte, essenziale per un mercato del
lavoro che coniughi flessibilità ed equità.
È necessario dunque un nuovo sistema di Welfare che, senza
ripristinare dannose rigidità del mercato del lavoro, assicuri
a chi è temporaneamente privo di occupazione un reddito dignitoso.
Per costruirlo, però, occorre travasare risorse da altri
canali di spesa. In modo particolare dalla previdenza, dove non
va per niente bene che il 30 per cento della spesa per pensioni
di vecchiaia e anzianità sia oggi corrisposto a cittadini
con meno di 65 anni.
E non va neanche bene che il 19 per cento soltanto degli italiani
tra i 60 e i 64 anni svolga unattività lavorativa,
contro il 33 per cento degli spagnoli e dei tedeschi, il 45 per
cento dei britannici, il 60 per cento degli svedesi.
Infine, cè il pozzo quasi senza fondo del debito pubblico,
con i problemi di equità intergenerazionale che esso pone.
Esistono dei modelli per valutare quanto i cittadini, divisi per
coorti (sulla base dellanno di nascita), ricevono dal settore
pubblico e versano sotto forma di tasse e di contributi nel corso
della vita.
È stato rilevato che qualora lonere dellaggiustamento
necessario a rendere sostenibili le politiche di bilancio fosse
interamente addossato agli individui appartenenti alle generazioni
future, il loro saldo generazionale sarebbe negativo e pari a circa
tre volte il loro reddito medio annuo: un autentico disincentivo
a mettere al mondo figli!
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