Settembre 2008

Giacimenti archeologici

Indietro
Scavare
sempre e comunque?
Tonino Caputo - Enrico Maio - Luisa Ramat
 
 

 

 

 

Esempio positivo. La fermata della Metro di Napoli
di Fuksas.
Sarà la più bella del mondo.
I passeggeri prima
di viaggiare
cammineranno in un tempio romano.

 

Mosaici e bassorilievi del I secolo avanti Cristo; un criptoportico anteriore al IV secolo dopo Cristo, di notevoli dimensioni; importanti resti di un pavimento in mosaico con fondo nero nel quale sono inserite tessere colorate del I secolo avanti Cristo; sedici vani (di cui sei ipogei) del I secolo avanti Cristo con coperture a volta; una rete idrica sotterranea: sono le consistenti strutture archeologiche ritrovate nel luogo in cui sorgevano gli Orti Luculliani, nel punto in cui venne uccisa Messalina. Quarantadue carotaggi hanno agito come una macchina del tempo nel Pincio, la collina più amata dai romani, protetta dall’Unesco, ma destinata, secondo un progetto di qualche anno fa, ad essere “svuotata”, per far posto ad un garage sotterraneo a più piani, in grado di accogliere settecento automobili.
La polemica innescata da questi ritrovamenti verteva su una domanda che coinvolge altri siti archeologici individuati nel sottosuolo di varie città italiane: si deve scavare comunque, anche là dove vengono individuati resti poco importanti, tenendo dietro all’accanimento di certe Soprintendenze, e anche là dove non si compromettono in modo irreversibile il valore storico e le qualità estetico-ambientali?
Articolate – nel senso di contrapposte – le risposte date da esperti e studiosi, e da burocrati responsabili di lavori urbanistici di pubblica utilità. Secondo il professor Giorgio Muratore, i lavori di svuotamento andavano bloccati, senza che ci fosse neppure la tentazione di spostare il parcheggio, perché questo espediente non avrebbe risolto un bel nulla. Nessuno poteva pensare che si lavorasse a cuor leggero in un luogo così significativo, si ribadiva. Ma per l’ideatore del parcheggio, nonché presidente di Roma Metropolitane, Chicco Testa, occorreva procedere senza indugio, trovando una soluzione rispettosa dell’archeologia, e che nello stesso tempo liberasse le splendide aree della città (Piazza del Popolo, Via del Babuino, Via di Ripetta, Piazza di Spagna…) dal numero eccessivo di macchine in sosta, comprese quelle dei residenti.

Problema tutt’altro che semplice da risolvere, dunque. Ma alla fine ha prevalso il buon senso: gli scavi non si faranno, il Pincio resta intatto, le testimonianze archeologiche sono salve.
Del resto, le cifre sono davvero impressionanti: sono 8.074 i siti archeologici censiti nella sola provincia di Roma, grazie a un sistema informativo che abbraccia 120 Comuni, per evitare intoppi ai lavori pubblici. Per quel che riguarda l’archeologia urbana, sono proprio questi lavori a rendere possibili le scoperte; sul versante dell’archeologia preventiva, la tendenza attuale è di prevedere possibili ritrovamenti prima dell’inizio dei lavori; per i cantieri della Tav, lungo il tragitto della linea ferroviaria Roma-Napoli la Soprintendenza partenopea ha recensito 200 siti di epoca romana; nell’ambito delle indagini sulla metropolitana romana, ogni giorno emergono dai cantieri decine di reperti: quelli raccolti fino a questo momento superano le centomila unità.
Oltre ai resti di gran prestigio individuati nell’area pinciana, va ricordato che a Piazza Venezia sono stati bloccati anche i cantieri per la costruzione di una nuova stazione della metropolitana, mentre a Testaccio, nei lavori per la realizzazione del nuovo mercato è stato già previsto un parco archeologico.

In quel di Milano, poi. A Piazza Meda, dai lavori per la costruzione di un parcheggio sono emersi reperti del IV secolo. Il cantiere è stato riaperto da qualche settimana; per il parcheggio nelle vicinanze della basilica di Sant’Ambrogio, alcuni ritrovamenti dell’epoca paleocristiana hanno rallentato sensibilmente i lavori; alla Darsena, gli scavi per la realizzazione di un parcheggio sono stati bloccati a lungo per una serie di rinvenimenti archeologici; in Piazza XXV Aprile, infine, dopo una lunga sospensione sono ripartiti i lavoro per la costruzione di un ennesimo parcheggio.
Passiamo a Venezia. Nell’area di Mestre, i lavori per la linea tramviaria sono stati bloccati di recente, dopo il ritrovamento di preesistenze romane; nella Cittadella della Giustizia, nel corso dei lavori di restauro dell’ex Manifattura Tabacchi, a Piazzale Roma, nel 2005 sono venuti alla luce reperti dell’epoca medioevale e resti di abitazioni rinascimentali; al Casinò veneziano, inoltre, nel corso di un restauro, è stato scoperto un muro di riva del VII secolo.

A Napoli, nell’area del Duomo, dagli scavi per la metropolitana, integrati nel progetto della stazione firmato da Fuksas, è emerso un tempio romano; a Piazza Municipio, gli scavi hanno riportato alla luce tre barche romane: i lavori riprenderanno dopo il loro recupero.
A Firenze, infine. A Piazza della Stazione, sono riemersi dai cantieri della tramvia il porto Granducale e importanti resti delle mura altomedioevali; ai Grandi Uffizi, il progetto della pensilina di Isozaki venne fermato una prima volta durante gli scavi per il ritrovamento di alcune mura romane: il progetto, poi, non è stato mai portato a termine.
(Nel suo piccolo, anche Lecce ha un problema. Come scrive sul Corriere Marco Errico, nell’ottobre del 2007, «dopo alcune tombe del IV secolo avanti Cristo e di epoca messapica, era venuta alla luce, proprio di fronte al portone d’ingresso di Palazzo Carafa, un’intera strada di epoca romana. Un ritrovamento di grande valore storico, considerato che si tratta dell’unica via consolare completa scoperta nel sottosuolo del centro storico di Lecce». Di fatto, il sito sepolcrale era stato rilevato già negli anni Trenta, quando vennero recuperati i reperti presenti. Lo scorso anno, comunque, è stato rinvenuto altro materiale archeologico, anche questo databile al IV secolo prima di Cristo, con testimonianze presumibilmente riferibili ad epoche precedenti.
Il confronto sulla soluzione da trovare per quest’area ha visto contrapposta la Soprintendenza, secondo la quale i reperti potrebbero essere lasciati a vista, grazie a una copertura con i cristalli che consentirebbe ai turisti di fruire della loro visibilità, e il Comune, secondo il quale l’area potrebbe diventare un ricettacolo di rifiuti, mentre il ricorso alla copertura con i cristalli è ritenuta del tutto inutile, dal momento che si è già dimostrata un fallimento nella vicina piazzetta Castromediano. Alla fine, si è deciso di ricoprire l’area, «soprattutto per ovviare a problemi di natura logistica».
Se la memoria non ci tradisce, qualcosa di analogo era accaduto alle tombe messapiche di Alezio, che a causa di diatribe poco chiare, o mai del tutto chiarite, vennero sottratte alla fruizione del pubblico, con l’interramento; mentre sarebbe stato più opportuno inserire questa preziosa area archeologica in un “itinerario messapico” che avrebbe potuto abbracciare non solo altri centri vicini (da Parabita a Ugento, tanto per fermarci al versante jonico della Penisola salentina), ma anche quelli “remoti”, come Manduria, o dirimpettai, come i recinti archeologici dell’area centrale e adriatica del Salento).
Riassumendo. O meglio ancora, analizzando i casi più eclatanti, si può affermare che tra Grandi Opere e Archeologia il dialogo rimane quanto mai difficile. Per fare un esempio emblematico: Roma, mattina del primo dicembre 1999; il custode della discarica di Via della Pisana corre a chiamare i carabinieri: tra vecchi televisori, elettrodomestici vari e biciclette arrugginite ha rinvenuto un’anfora bollata, pezzi di intonaco decorato, mattoni marchiati d’epoca romana. Provengono sicuramente dal cantiere del parcheggio del Granicolo, deducono al Comando della Tutela del Patrimonio Culturale. Qualcuno ha eliminato altri ostacoli (oltre a quelli di ordinaria burocrazia) per un’opera fortemente voluta dal sindaco Rutelli, in vista del Giubileo del 2000, altrettanto fortemente osteggiata dal ministro per i Beni Culturali dell’epoca, Giovanna Melandri, a suon di ispezioni archeologiche, e contestata anche dal senatore a vita Giulio Andreotti, che sulla sua rivista 30 giorni ha parlato di profanazione di luoghi resi sacri dal martirio dei primi cristiani. Anno di grazia 2008: ora il parcheggio è lì, attivo da otto anni. Ma – sospettano i maligni – quanti altri pezzi e documenti archeologici sono spariti alla chetichella da quel cantiere, sacrificati nel nome delle quattro ruote?
L’ultimo capitolo del confronto, sempre romano, è – appunto – quello del mega-parking da settecento posti del Pincio, progettato dalla giunta Veltroni e poi in via di attuazione ad opera della giunta Alemanno. Se si diceva di sì ai lavori, tuonava Vittorio Sgarbi, il neo-sindaco di centro-destra avrebbe smentito se stesso, realizzando un’Ara Pacis di Meier-bis. Avendo – forse definitivamente – detto di no, con tutta probabilità si dovrà pagare ai costruttori una penale di 10 milioni di euro. E sempre nella Capitale, a piazza Venezia, si dovrà cambiare il progetto della Metro C: non si può distruggere la vasta scalinata imperiale ritrovata in quel sottosuolo. Ancora incerto l’indirizzo della variante. E incerti i rischi di altri rinvenimenti importanti.

Ritorniamo al discorso su Mestre. Lì, il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, nel corso di un sopralluogo – in bicicletta – ai cantieri del nuovo tram, ha telefonato al Soprintendente Luigi Fossati, sollecitandolo a prendere una decisione sui reperti rinvenuti in Via Cappuccina, dove le ruspe sono ferme. E che ne pensa Cacciari? «Che i lavori pubblici nel nostro Paese soffrono per mancanza di fondi, ma anche per l’ostilità della pubblica opinione. E per l’accanimento terapeutico dimostrato da certe Soprintendenze. Noi a Venezia abbiamo ottimi rapporti con gli uffici. Ma negli anni ho visto cose che non stanno né in cielo né in terra». Quale formula applicare, allora? Presto detto: «Usare la materia grigia. Se si trova la Venere di Milo, è ovvio fermarsi. Ma se ci imbattiamo in un muretto del ‘700… e diciamolo, per favore: si può anche buttare giù!».
A Milano, intanto, si sono appena sbloccate, dopo diversi mesi, le procedure per i parcheggi di Piazza Meda (ritrovato un quartiere artigianale di età romana; ma fece scalpore il talismano di Abraxas su diaspro nero del IV secolo dopo Cristo, riapparso tra la polvere) e di Piazza XXV Aprile (bastioni spagnoli del Cinquecento): la Soprintendenza ha spostato e destinato a future esposizioni i reperti, talismano incluso, poi ha accettato che il progetto di Piazza XXV Aprile prevedesse una vetrata per mostrare i muri. E si sono da poco riaperti i cantieri.

È questa la via: far dialogare contemporaneità e conservazione, inglobando i reperti nelle opere? Ne è convinto Massimiliano Fuksas, architetto e urbanista, che negli scavi della “sua” fermata Duomo della metropolitana di Napoli si è imbattuto in un tempio del I secolo avanti Cristo.
Grazie a un costruttivo confronto con la Soprintendenza, ha sostenuto Fuksas, si è deciso di smontarlo e di portarlo a una quota visibile a tutti i visitatori: «Intorno a questo “evento” abbiamo ricostruito la nuova stazione. L’architettura non può essere una guerra di religione. È un valore».
Ancora nel capoluogo partenopeo, dopo interminabili discussioni, si riprenderà a lavorare per la fermata Municipio. Risolti i nodi della scoperta dell’area portuale romana, con i resti delle tre navi che abbiamo citato, spostati nel 2004.
Ma esiste una soluzione al problema? Secondo il Direttore Generale del ministero dei Beni Culturali, che è anche Commissario straordinario per la prosecuzione dei lavori nelle metropolitane di Roma e di Napoli, è vero, nei Comitati tecnico-scientifici molte contrapposizioni alla resa dei conti finiscono per sciogliersi: «L’importante è affrontare in tempo reale emergenze e criticità, senza rimandare le decisioni alle calende greche. Questo è l’indirizzo del dicastero: creare un raccordo tra archeologia e ingegneria dell’oggi. Occorre tutelare e proteggere, rispettando le valutazioni storico-artistiche degli archeologi. Ma non possiamo incarnare l’amministrazione che tende a fermare lo sviluppo del Paese».
Un esempio positivo? Proprio la fermata della Metro di Napoli di Fuksas: «Sarà la più bella del mondo. I passeggeri, prima di viaggiare, cammineranno in un tempio romano... Splendido!».

Non scavare, d’altra parte, può significare anche rischiare la scomparsa dei reperti ad opera dei professionisti del furto archeologico, o comunque del furto d’arte. Basta una domanda, («Le interessa qualche cosa di maggior valore?»), e in pochi secondi nelle mani del rigattiere oppure dell’antiquario disonesto possono materializzarsi i pezzi forti della bottega: quadri d’autore, sculture antiche, monete dell’età classica, vasellame, frammenti marmorei… Tutti rigorosamente depredati. È in questo modo che ogni anno passa di mano almeno un terzo delle opere d’arte e dei reperti culturali di provenienza illecita che transitano per la Penisola. È così che pochissimo tempo fa la Scena carnevalesca di Giandomenico Tiepolo (una tela del 1765 valutata un milione di euro), che era sparita a Roma un anno prima, è ricomparsa su una bancarella di Pordenone, dove stava per essere venduta per 15 mila euro. I carabinieri hanno bloccato appena in tempo la trattativa.

Caso tutt’altro che isolato. Il nostro Paese è uno dei più importanti crocevia dei traffici clandestini di opere d’arte: un fenomeno che a livello mondiale, secondo l’Unesco, determina un giro d’affari annuo di oltre due miliardi di euro. Superiore ai 110 milioni, secondo stime aggiornate, è invece il valore di quanto è stato trafugato in Italia nel solo 2006. Nel Bel Paese, tra il 1970 e il 2006, sono scomparse 850 mila opere, sostengono i carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale: una mole enorme di reperti, che nella maggior parte dei casi finisce a collezionisti o a musei senza scrupoli, molto spesso stranieri. Quella che viene reimmessa in circuito e ritrovata, come nel caso del Tiepolo, purtroppo è soltanto una minima parte.

Tutto ciò che non viene ritrovato viene repertato, perché a differenza di scippi e rapine, dove la refurtiva “evapora” in pochissimi giorni, un furto d’arte su commissione può essere risolto dagli inquirenti anche dopo venti o trent’anni. La banca dati dell’Arma, creata nel 1980 e collegata con gli archivi dell’Interpol e della Conferenza episcopale italiana, (le chiese sono bersagli preferiti dai ladri e dai trafficanti), è considerata una delle migliori al mondo, con due milioni e 600 mila oggetti catalogati. Tra questi, la celeberrima Natività del Caravaggio, trafugata a Palermo poco meno di una quarantina di anni fa e non ancora ritrovata; una serie di monete d’oro misteriosamente scomparse dalla Zecca negli anni Settanta; vasellame etrusco, italiota e di Magna Grecia, materiale scavato clandestinamente dal Nord al Sud della Penisola; persino sculture irachene sparite nel caos bellico...
Anche sul fronte delle opere d’arte, tuttavia, la musica sta cambiando registro. Controlli, arresti eccellenti, l’inasprimento delle pene detentive (da tre a sei anni) e pecuniarie (da 500 a 30 mila euro), e l’accordo stipulato nel 2006 tra l’Italia e la Svizzera, (per decenni destinazione principale e mercato molto attivo della maggior parte dei beni trafugati), hanno fatto precipitare il numero dei furti dal 2007, anche se in realtà le denunce erano già in calo da cinque anni consecutivi.
Più che dimezzata è la quantità degli oggetti rubati, mentre i recuperi sono stati 55 mila in più rispetto al quinquennio precedente. Le opere recuperate appartengono per il 35 per cento al settore dei reperti archeologici (maggior quota fra tutti i comparti), per il 20 per cento a quello dell’antiquariato, per il 15 per cento al settore quadri, per il 13 per cento a quello delle icone e di altri oggetti chiesastici, per il 7 per cento al campo della numismatica, per il 5 per cento alle sculture, per un altro 5 per cento ad oggetti d’arte di varia natura.

 

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2008