Sette sono i giorni della creazione,
il numero dei
pianeti conosciuti nellantichità,
sette i toni del canto gregoriano, le trombe
dellApocalisse,
i sigilli, le coppe, le scienze libere.
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Il
mio amico
Leonardo Sciascia
«Lintellettuale non deve ungere, ma dar fastidio».
In questa frase cè la personalità di Leonardo
Sciascia. Mai disponibile al compromesso e allopportunismo,
sempre libertario, ma con la moderazione dellintelligenza
e del buonsenso, senza ostentazione, con la naturalezza che gli
veniva dalla razionalità che era parte preponderante del
suo carattere e della sua cultura.
Il suo ruolo di intellettuale fu sì quello del disturbatore,
dellincomodo, ma mai chiassoso né passionale, sempre
riservato e composto. Il rigore e la severità dei giudizi
gli si leggevano negli occhi più che sulla bocca. Quando
non approvava, o era sdegnato, lintransigenza gliela si leggeva
nello sguardo. Una sola volta gli ho sentito dare del cretino
ad un personaggio che non stimava e che era indubbiamente sia stolto
che ignorante, e persino malvagio.
Era rigoroso, mai compiacente, ma non manicheo, anzi generoso, aperto
al dialogo, alla comprensione. Aveva una concezione dei rapporti
umani che gli veniva dalla sua cultura illuministica. È stato
certamente lo scrittore italiano più sensibile al razionalismo
cartesiano: la ragione era la fonte essenziale della sua ricerca
della verità.
Culturalmente la sua seconda patria era la Francia, si recava infatti
spesso a Parigi, dove aveva amici ed estimatori. Lo affascinava
il pensiero degli enciclopedisti. Dai suoi soggiorni parigini tornava
sempre con qualche testimonianza: un libro, un disegno, un vecchio
documento, ritratti di personaggi storici e della cultura, che scovava
nelle sue passeggiate a Saint Germain-des-Pres, Montmartre, la rive
gauche, visitando librerie, mostre, gallerie darte. Di questa
sua passione di raccoglitore di ricordi cè traccia
nel palazzo a due piani, che in passato era una centrale elettrica,
che il Comune di Racalmuto, suo luogo di nascita, ha restaurato
per farne la sede della Fondazione Sciascia, sorta per
impulso soprattutto di un grande amico dello scrittore, Aldo Scimè,
intellettuale di grande sensibilità culturale.
Del carattere di Sciascia, dei valori che erano la sua cultura,
la sostanza dei suoi ideali, ci sono segni profondi in tutti i suoi
scritti, soprattutto nei romanzi. Ne Il giorno della civetta, per
esempio, fa dire al capomafia don Mariano, che si rivolge al tenente
dei carabinieri Bellodi, recatosi ad arrestarlo: gli uomini si dividono
in veri uomini, i mezzuomini, gli ominicchi e i quaquaraquà.
Definizioni in cui ci sono, in fondo, la morale e il rigorismo di
Sciascia, e che sono tuttaltro che un riconoscimento alla
virilità della mafia, come qualche sciocco ha
voluto intendere e sostenere. Cè invece la visione
che egli aveva della natura umana: stimava uomini che non scendono
a compromessi e con forte carattere. Era un puritano, ma non un
moralista ipocrita.
Sciascia era fondamentalmente un giacobino, esemplare quasi assente
nel mondo siciliano, dove, comè noto, non arrivò
la rivoluzione francese, non fu mai piantato lalbero della
Libertà, vi si rifugiarono infatti i Borbone cacciati da
Napoli.
A volergli dare una connotazione politica, si potrebbe dire che
era un liberal. Non fu acquiescente con nessuno: non
con i comunisti, dai cui lombi ideali pure veniva (amico di Macaluso
e Guttuso, consigliere comunale del PCI a Palermo, carica da cui
si dimise per dissensi profondi dordine morale), non mai con
i detentori del potere, di destra o di sinistra che fossero.
Nella presentazione de Il giorno della civetta, che è del
1960, egli scrive: «La mafia è un sistema che in Sicilia
contiene e muove gli interessi economici e di potere di una classe
che approssimativamente possiamo dire borghese; e non sorge e sviluppa
nel vuoto dello Stato (cioè quando lo Stato,
con le sue leggi e le sue funzioni, è debole o manca), ma
dentro lo Stato. La mafia, insomma, altro non è
che una borghesia parassitaria, una borghesia che non imprende ma
soltanto sfrutta».
No, il potere non era tra gli ideali di Sciascia. Da tutti i suoi
scritti emerge la volontà di lotta al potere, politico o
mafioso che sia. Emblematici sono soprattutto i romanzi Il contesto
(1971) e Todo Modo (1974), nei quali cè il forte impegno
contro larroganza e il degrado di certa politica, anche di
certa giustizia. Le sue armi più efficaci sono lironia
e una straordinaria capacità corrosiva, esercitata con eleganza
stilistica e un sotteso fine moralismo.

Sciascia morì il 20 novembre 1989. Aveva sessantotto anni.
Lo conobbi negli anni Sessanta in uno dei miei viaggi in Sicilia
come inviato speciale del Corriere della Sera. Me lo presentò
Aldo Scimè, suo conterraneo e amico dalladolescenza.
Si creò tra noi un rapporto di cordialità, stima e
amicizia. A lui debbo lidea del mio libro I papi invisibili
(Rusconi Editore, 1972), che gli dedicai con la citazione della
frase «Lintellettuale non deve ungere...», con
cui egli reagì alle accuse delle sinistre quando si dimise
da consigliere comunale a Palermo. Fu lui a suggerirmi il titolo
del libro in occasione di una lunga intervista che gli feci per
il Corriere, che non fu lultima perché altre gliene
feci per La Fiera Letteraria e poi per Il Giornale. In un libro
edito da Laterza, Giorgio Amendola, il migliorista figlio
del grande liberale Giovanni (famosa la sua frase «QuestItalia
non ci piace»), segnala una di queste interviste, che lo colpì.
Me ne parlò, ricordo, in un incontro casuale a Montecitorio.
Talune dichiarazioni di Sciascia, mi disse, gli erano molto piaciute.
Come ho già detto, quel che più mi colpì di
Leonardo fu la sua cultura illuministica e quel suo razionalissimo
giacobinismo, che erano certo lhumus della sua visione del
mondo. Giacobinismo razionale, sì, che non aveva niente di
estremismo e massimalismo. La ragione fu sempre la sua guida intellettuale,
come si nota del resto in tutta la sua scrittura. Non a caso la
sua narrazione ha sempre un taglio di ricerca, quasi di inchiesta.
Proprio così, la ragione fu la bussola che egli mai abbandonò.
Fino a fargli assumere franche e ferme posizioni anticonformiste
che gli costarono accuse ingenerose persino da vecchi amici della
sinistra, che mai però lo indussero a ripensamenti di comodo.
La sua caratura intellettuale e morale era di uno spessore poco
comune nel mondo dei chierici della letteratura.
Rimane un capitolo esemplare la polemica che ebbe inizio col suo
scritto sul Corriere del 10 gennaio 1987 intitolato I professionisti
dellantimafia. Se la prese con il Coordinamento antimafia,
che definì «una frangia fanatica e stupida».
Ne venne una reazione irosa e cattiva, come per esempio dal sindaco
di Palermo Leoluca Orlando, e non solo. Taluni tardivamente riconobbero
poi daver sbagliato. Fu addirittura accusato di collusione
con la mafia, lui che con i suoi scritti, più di chiunque
altro, ne aveva segnalato efficacemente la dimensione criminale
e la penetrazione sociale.
Di quella polemica va ricordato un intervento a sua difesa di Rossana
Rossanda sul Manifesto, con il titolo Un triste processo.
Fu uno dei pochi, forse lunico a sinistra. Erano anni di irrazionalità
irresponsabile. Di questo clima forsennato mi capitò spesso
di parlare con lui. Alcuni nostri incontri avvenivano a Milano,
nel piccolo albergo Manzoni di Via Santo Spirito, dove
egli scendeva, facendovi in genere tappa nellandata o nel
ritorno da Parigi. Nella ville lumière, che amava, egli trovava
evidentemente quella civiltà di sentimenti e rapporti umani
che gli era congeniale.
Furono molti i nostri incontri a Palermo, a Milano, qualcuno anche
a Roma. Mi rincresce di non avere avuto laccortezza di tenere
un diario di quelle nostre conversazioni. Ricordo una colazione
con lui e Montanelli al ristorante milanese della Bice,
che, dopo un lungo scambio di idee, finì con una visita di
Leonardo a Il Giornale. Indro commentò con me: «Non
è facile tirargli fuori le parole. Mi chiedo come faccia
tu a tenere con lui tante lunghe conversazioni. È un uomo
non facile, ma schietto».
Ci sono due sue espressioni che meritano dessere citate: «Io
credo nei siciliani che parlano poco, che non si agitano, che si
rodono dentro: i poveri che si salutano con un gesto stanco, come
da una lontananza di secoli»; «Cè stato
un progressivo superamento dei miei orizzonti, e poco alla volta
non mi sono più sentito siciliano, o meglio, non più
solamente siciliano. Sono piuttosto uno scrittore italiano che conosce
bene la realtà della Sicilia».
Era proprio così, lo Sciascia che ho conosciuto.
egidio sterpa
Nel
Salento è sbocciata una Rosa
È in funzione da poco più di due anni, presso lOspedale
Vito Fazzi di Lecce, il padiglione oncologico sede del primo nucleo
della Rete Oncoematologica Salentina (ROSa).
Grazie agli sforzi congiunti dellAssociazione Salentina Angela
Serra per la ricerca sul cancro e dellAzienda Sanitaria
di Lecce, nel 2005 è stato dato avvio ad un programma di
potenziamento dei servizi per lassistenza ai pazienti affetti
da tumore che ha portato in pochissimo tempo alla creazione di un
vero e proprio fiore allocchiello della sanità pubblica
pugliese, e che è rappresentato dalle Unità di Oncologia,
Ematologia, Oncoematologia pediatrica, Radioterapia oncologica,
Radiologia, Genetica, Biologia molecolare e Proteomica clinica operative
presso il padiglione oncologico. Grazie a queste realizzazioni il
Salento ha finalmente perduto il triste primato di esportare pazienti
e speranze. Oggi, almeno per quanto riguarda la diagnosi e la cura
dei tumori, la migrazione verso strutture sanitarie lontane dal
Salento sembra essersi finalmente arrestata.

Come si è potuta verificare una simile rivoluzione, certamente
culturale prima ancora che sanitaria? Grazie ad una soffiata:
l1 febbraio 2003 alcuni cittadini salentini informano Daniela
Pastore, giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno, che a Modena
veniva inaugurato un centro per la cura e la prevenzione dei tumori
intitolato ad Angela Serra, giovane medico originario di Galatina.
Si legge nellarticolo di Daniela Pastore: «Se
un chicco di grano non muore non porta frutto. Nasce, forse,
dalla prematura scomparsa di Angela Serra, il Centro oncologico
modenese, punta di diamante per la cura e la ricerca sui tumori,
che verrà inaugurato oggi nel Policlinico di Modena. A volere
lopera con tutte le sue forze, un altro salentino, il professor
Massimo Federico, originario di Taviano, oncologo presso lUniversità
di Modena e Reggio Emilia, da oltre trentanni in Emilia. Speciale
il chicco di grano che ha fatto germogliare il progetto: il desiderio
di mantenere in vita il ricordo di Angela, che lì a Modena
aveva studiato e cominciava a muovere i primi passi da medico. È
nata così, nel 1987, per volontà del marito, e del
gruppo più intimo di amici, tra cui Massimo Federico, lassociazione
a lei dedicata».

Nel 1990, lidea: realizzare a Modena un grande Centro Oncologico.
Il progetto era ambizioso: cera da mobilitare uomini e denaro.
Lassociazione ci credette, i modenesi cominciarono a contribuire.
Partecipò con sofferta passione anche lallora sindaco
di Modena Pier Camillo Beccaria: un tumore lo consumava lentamente,
ma lui continuava a governare, imperturbabile, fino alla fine. E
si congedò dalla sua amata città con il seguente messaggio:
«Non voglio fiori al mio funerale. Chiedo invece che i cittadini
facciano una donazione allAssociazione Angela Serra
per la realizzazione di un Centro Oncologico a Modena».
Sullonda emotiva, che portò la città ad una
risposta senza precedenti, il sogno cominciò a prendere vita.
Nel 1995 un gruppo di professionisti coordinati da chi scrive realizzò
il progetto sanitario del centro oncologico: lAssociazione
Angela Serra, con 6 miliardi delle vecchie lire, costruì
il grezzo della struttura, Università e Policlinico la completarono,
contribuendo per un terzo a testa del costo complessivo. Detto,
fatto. A Modena nacque un centro pilota in Italia nella cura dei
tumori: 76 posti letto, un day hospital di duemila metri quadri
che cura 250 pazienti al giorno, una sezione per i trapianti del
midollo, uno staff medico impegnato a sviluppare le terapie più
innovative.
Nel corso di unintervista con lintraprendente giornalista
Daniela, chi scrive si lasciò andare alle seguenti considerazioni:
«A Modena il nostro progetto è diventato realtà.
E io mi chiedo: perché non a Lecce? Perché anche il
Salento non si mobilita per realizzare un progetto simile? In fondo
sono stati i modenesi a regalare a Modena questo gioiello. Ogni
anno arrivano a Modena per farsi curare centinaia di salentini.
Credo sia giunta lora di fare qualcosa per loro, e impegnarsi
per abbattere lemigrazione sanitaria. Penso allOspedale
Vito Fazzi: ha le potenzialità per accogliere
un centro oncologico davanguardia. Forse la spinta deve partire
dalla gente, con una mobilitazione come quella che ha creato lassociazione
a Modena».
Un progetto a cui hanno creduto le istituzioni modenesi, grandi
sponsor, tra cui gli istituti bancari. Ma in cui ha creduto soprattutto
la gente. Lintervista si concluse con un invito ai cittadini
della mia terra dorigine: «Io sono pronto a mettere
la mia esperienza professionale a servizio di questo progetto, spero
davvero che la gente del Salento recepisca il messaggio e lo porti
avanti con convinzione». E Daniela, pensando alla commozione
con la quale i familiari di Angela Serra avevano assistito allinaugurazione
del nuovo centro, concluse così il proprio servizio: «Unanima
salentina continuerà a battere tra quelle mura».
Da quel toccante resoconto giornalistico apprezzato da decine e
decine di lettori che si rivolsero alla redazione della Gazzetta
del Mezzogiorno per dichiarare il loro incondizionato sostegno allidea,
nacque nel Salento una Sezione dellAssociazione Angela
Serra con lobiettivo di dare un contributo concreto
alla nascita e allo sviluppo di unefficiente Rete Oncologica.
Per raggiungere questo ambizioso risultato lAssociazione Salentina
Angela Serra si è avvalsa della positiva esperienza
fatta dallAssociazione che era stata fondata a Modena nel
1987 e che può essere sintetizzata nelle seguenti significative
tappe:
Nellestate del 1993, dopo quasi quattro anni di discussioni
e approfondimenti, lAssociazione decide di avviare una campagna
di sottoscrizione pubblica.
30 settembre 1994. Ai funerali di Pier Camillo Beccaria, già
sindaco di Modena, prende avvio ufficialmente la campagna di sottoscrizione,
finalizzata alla realizzazione di un centro provvisto dei necessari
servizi di prevenzione, diagnosi e terapia dei tumori, e di adeguate
risorse per il sostegno della ricerca in questo settore.
31 ottobre 1994. Nel primo mese vengono raccolti circa 155 milioni
di lire; almeno mille cittadini offrono un contributo finanziario.
30 dicembre 1994. A tre mesi dallinizio della campagna di
sottoscrizione pubblica per la realizzazione del Centro Oncologico
Modenese vengono raccolti contributi per 305.916.000 di lire.
30 marzo 1995. A sei mesi dallinizio della campagna di sottoscrizione,
i contributi ammontano a 670.000.000 di lire.
30 settembre 1995. A dodici mesi dallinizio della campagna
di sottoscrizione, vengono raccolti 1.329.000.000 di lire.
10 maggio 1996. LUniversità degli Studi di Modena,
lAzienda Ospedaliera Policlinico di Modena e lAssociazione
Angela Serra per la ricerca sul cancro firmano la convenzione
per la costruzione del Centro Oncologico Modenese. Garante dellaccordo
è Giuliano Barbolini, sindaco di Modena.

13 gennaio 1997. LAssociazione Angela Serra riceve
dal governo un contributo di 2 miliardi di lire sui fondi dellOtto
per mille destinati a scopi dinteresse sociale e di carattere
umanitario. Il contributo è da destinarsi al progetto di
realizzazione del Centro Oncologico Modenese.
5 febbraio 1997. Consegna del progetto esecutivo del Centro Oncologico
Modenese al Consiglio Direttivo dellAssociazione Angela
Serra.
6 febbraio 1997. LAssociazione acquisisce il diritto di superficie
del terreno che ospiterà il Centro Oncologico Modenese da
parte dellAzienda Policlinico.
27 febbraio 1997. LAssociazione presenta al Comune di Modena
la richiesta di concessione edilizia.
20 giugno 1997. LAssociazione riceve dal Comune di Modena
lautorizzazione ad aprire il cantiere per iniziare i lavori
del nuovo COM. Il cantiere apre nel mese di luglio.
28 febbraio 1999. Viene presentata al Comune di Modena la denuncia
di fine lavori relativa alledificio al grezzo del nuovo Centro
Oncologico.
8 aprile 1999. Cerimonia di consegna delledificio al grezzo
dedicato a Pier Camillo Beccaria da parte dellAssociazione
Angela Serra allAzienda Ospedaliera di Modena
e allUniversità degli Studi di Modena e Reggio Emilia.
Latto notarile viene firmato in data 01 aprile 1999 e il valore
dellimmobile è di oltre 6.300.000.000.
Dicembre 2001. Entra in funzione il Centro Oncologico Modenese.
1 febbraio 2003. Inaugurazione del Centro Oncologico Modenese e
intitolazione del Padiglione al sindaco Pier Camillo Beccaria.
E nel Salento? Nel giugno 2003 si apre una Sede dellAssociazione
Angela Serra anche nel Salento e si lancia la campagna
di sensibilizzazione dal titolo: Una firma e un euro per realizzare
un sogno. In poco più di un anno, da giugno 2003 ad
agosto 2004, sono state raccolte oltre 30.000 firme. A settembre
2005 viene lanciata la campagna Migrazione Zero, un
progetto globale per debellare la piaga della migrazione sanitaria
in oncologia e realizzare unarea di eccellenza che possa essere
lorgoglio dei Salentini.
La ROSa deve rappresentare il riferimento assistenziale, culturale
e scientifico per la diagnosi accurata e tempestiva delle neoplasie,
per il potenziamento della ricerca di base e clinica, per la prevenzione
e per la migliore terapia dei tumori. Sicuramente un obiettivo di
tale portata è arduo da raggiungere; tuttavia oggi solo un
approccio globale al cancro può consentire di raggiungere
quei livelli di qualità nella cura dei tumori che i cittadini
giustamente rivendicano.
Attraverso la ROSa si potrà realizzare nel migliore dei modi
quella Rete di servizi oncologici auspicata da tutti, e che potrà
consentire a tutti i pazienti di curarsi a casa: centralizzazione
dei servizi più complessi e decentramento delle attività
assistenziali.
Una comunità di oltre 800.000 abitanti come quella salentina
può, anzi, deve disporre di Servizi diagnostici dotati delle
attrezzature più moderne e degli organici più qualificati
per assicurare diagnosi accurate nel più breve tempo possibile.
E lo stesso vale per la cura dei pazienti: i Centri di degenza,
day hospital e ambulatoriali devono essere dimensionati sui reali
bisogni assistenziali della popolazione, e distribuiti sul territorio
in modo intelligente, per ottimizzare le risorse umane
e tecnologiche e per minimizzare i disagi ai pazienti. Bisogna impegnarsi
per assicurare ai cittadini residenti nel Salento gli stessi livelli
assistenziali oggi a disposizione dei cittadini che risiedono nelle
regioni del Centro-Nord Italia.
La ROSa intende diventare un Comprehensive Cancer Center
con laboratori di ricerca, letti di degenza, servizi di day hospital
e ambulatoriali, attività di prevenzione e centri di formazione
e aggiornamento permanente del personale. Nel tempo la ROSa potrebbe
richiedere al Ministero della Salute il riconoscimento come Istituto
di Ricovero e Cura a carattere scientifico.
In conclusione, il processo per la realizzazione di un moderno centro
idoneo alla ricerca e allassistenza oncologica nellarea
Jonico-Salentina ha avuto avvio ed è giunto ad una fase di
non ritorno. In poco più di due anni le realizzazioni non
sono state poche: potenziamento dellOncologia Medica e della
Radioterapia, istituzione delle U.O. di Ematologia e di Oncoematologia
pediatrica.
Di particolare rilievo anche il recente accordo con lUniversità
del Salento per lattivazione allinterno del Padiglione
Oncologico del Servizio di Proteomica clinica e lattivazione
del Registro Tumori, i cui primi dati sono attesi per i prossimi
mesi, e la realizzazione del primo modulo del progetto accoglienza,
con la creazione di una nuova Reception al Padiglione Oncologico.
E il gruppo dirigente dellAssociazione Angela Serra non ha
alcuna intenzioni di fermarsi prima di avere portato la ROSa in
serie A. Il raggiungimento di questo ambizioso traguardo
rappresenterà un elemento importante di progresso e di sviluppo
della comunità salentina e consentirà a tutti di potere
dire: «Chi soffre non dovrà più andare via...
E ti prometto che verrà un giorno, tu guarirai ed avrai il
mare intorno» (dalla canzone Se credi ai grandi sogni di Carlo
Longo-Luigi Lotta, dedicata alla ROSa).
massimo federico
Docente di Oncologia Medica
Università di Modena e Reggio Emilia
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