Speculazioni.
È un imbroglio
intellettuale
sostenere che
il tremendo
terremoto che
stiamo vivendo
è una sorta di
prezzo da pagare
all'innovazione
e alla “creative
destruction’
del capitalismo.
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Le sensazioni più diffuse in piena crisi sono
incentrate in modo particolare su due considerazioni:
la prima, speriamo che si possa
riuscire in tempi brevi a ricostruire un sistema
finanziario di nuovo stabile e basato su
princìpi di mercato e alti valori morali.
La seconda: troppe speculazioni intellettuali
inquinano negativamente il dibattito su
questi temi, mentre a Washington si è respirata
un’atmosfera molto particolare, fatta
di stupore, paura, forti incertezze, ma nello
stesso tempo di enorme fiducia nella capacità
di reagire dell’economia americana.
Avremmo bisogno tutti di molta lungimiranza
e di altrettanta serenità di pensiero.
C’è stato, in realtà, anche un altro atteggiamento
testimoniale, espresso da un grande
professionista americano vissuto sempre in
quel mondo, da uomo libero, assolutamente
integro e professionale, e ribadito con lucidità
e con curiosità per il futuro. Si tratta di
William Barsanti, fondatore dell’Arthur
Andersen in Belgio, in Svizzera, in Norvegia,
e che è stato esempio di alta professionalità
per molti giovani europei, (coinvolta
nel caso Enron, poi assolta con formula
piena dalla Corte Suprema americana).
Ha scritto Barsanti: «Avendo vissuto la crisi
del 1929 (avevo sei anni) che si protrasse
per dieci anni, con 13 milioni (circa il 25 per
cento) di disoccupati, incluso mio padre,
con calo degli stipendi del 60 per cento, e
con l’industria operativa al 50 per cento di
capacità nel 1933, ho paura che la storia si
ripeta. All’epoca, il bravo presidente Roosevelt
diceva, in parole povere: come può
succedere tutto questo ad una nazione che
ha più grano, granturco, carbone, petrolio,
ecc. di tutti gli altri Paesi? La risposta: l’avidità.
Quelli che dovevano essere i leader si
sono riempiti le loro tasche e hanno abdicato
(alcuni, meno fortunati, si sono buttati
giù dal grattacielo).
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Broadway,la “strada larga” di New York, una delle direttrici più famose della Grande Mela. - ICP, Milano |
Più o meno quello che è successo in questi
anni recenti nel mondo finanziario, in America
in particolare, e altrove, inclusa l’Italia.
Quelli con alte cariche e interessi (gli insider)
nel settore banking and finance (che serve co-me conduttura della liquidità al mondo reale
che produce beni e servizi alle famiglie) con
un po’ di fantasia hanno inventato nuovi
strumenti per confrontare, e approfittare, dal
problema dei sub prime prestiti / ipoteche alla
cartolarizzazione della robaccia in vari pacchetti
messi sul mercato interbancario come
strumenti finanziari.
Ma dove erano i controllori,
in particolare la Securities & Exchange
Commission, col compito di controllare
titoli e Borse? Hanno indagato su questi
tipi di “titoli” che circolavano tra le banche e
le società di investimenti; e su cosa c’era sottostante?
E i revisori dei conti e le società di credit rating di questi istituti di credito e le
società di investimento? Ah, usavano, come
consentito in anni recenti, il “fair value”, metodo
di contabilizzare gli investimenti finanziari,
con valori (sulla carta, e creati tra loro)
dell’attivo e patrimonio in continuo aumento.
Poi in alcuni casi, come nella Aig, il rapporto
tra l’attivo e il patrimonio netto è aumentato
fuori misura: 11 ad 1; mentre tale
rapporto nelle società assicurative e bancarie
più serie è di 4/5 ad 1. Bei tempi, quelli. Chi
ci salverà?».
Sono testimonianze preziose per approfondire
alcuni concetti fondamentali e contrastare
così alcune delle «troppe speculazioni intellettuali
che inquinano negativamente il dibattito
su questi temi». È una speculazione
intellettuale, detto in parole più piane, un
imbroglio intellettuale continuare a sostenere
che il tremendo terremoto che stiamo vivendoè una sorta di prezzo che dobbiamo pagare
all’innovazione, alla “creative destruction”
del capitalismo, al mercato. Chi ha vissuto
dall’interno i decenni d’oro del capitalismo
americano (retto da princìpi, regole,
moralità, integrità professionale e pure altamente
innovativo) sa che questa presunta relazione “necessaria” tra dinamica del capitalismo
e crollo del sistema finanziario è un
imbroglio, prima ancora di essere un errore.È stato detto: – Ma così, nel frattempo, è nato “Google”! –. Se per far nascere “Google”
fosse necessario far fallire mezzo sistema
bancario mondiale, questa sarebbe la condanna
vera e definitiva del capitalismo. Ma
ciò non è necessario. I “Google” possono
nascere anzi meglio con un sistema bancario
sano e solido. Le ragioni di questo fallimento
vanno dunque ricercate in altre direzioni.
Ma chi ci salverà? E il timore di veder ritornare
il ‘29 di chi lo ricorda come incubo della
sua infanzia è fondato?
Chi ha risposto, in anticipo, con maggiore
profondità, a queste domande è stato l’economista
americano Hyman Minsky (classe
1919; fra l’altro innamorato dell’Italia, e in
particolare di Bergamo che, quando morì nel
1996, lo volle riconoscere come uno dei suoi
eminenti cittadini). Al tema, Minsky dedicò
molti studi e in particolare un libro intitolato Can “It” Happen Again? Essays on Instability and Finance (1982). L’instabilità finanziaria è insita nella dinamica capitalista, scriveva;
ma dobbiamo distinguere tra instabilità
finanziaria e disastro finanziario. È la
cattiva politica che trasforma un’instabilità
finanziaria in un disastro finanziario. E il disastro
finanziario non può non incidere sull’economia
e sull’occupazione, perché finanza
ed economia produttiva sono due facce
della stessa medaglia. Perciò «It need not
happen… The great Depression was not inevitable
in the ideological and institutional
framework of this period». Le differenze tra
l’economia del ‘29 e quella attuale sono
enormi; basti pensare che il totale degli ac-quisti del Governo Americano (beni e servizi)
era, all’epoca, pari soltanto all’1,2 per
cento del Prodotto interno lordo. Gli strumenti
d’intervento erano dunque minimi rispetto
a quelli di cui disponiamo oggi. Sono
strumenti fondamentali non per negare le instabilità
finanziarie (parte integrante e inevitabile
di un’economia di mercato) e la sua
funzione utile per l’innovazione e per la dinamica
di mercato, ma per governarla.
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Roma:Campo nomadi Rom Casilino - Serena Colazzo |
Minsky ricordava che tutte le minori crisi
finanziarie intervenute dal 1960 in poi avevano
visto, in modi diversi, l’intervento
della Federal Reserve come “lender of last
resort”, (prestatore di ultima istanza), e ciò
era stato prezioso per evitare la violenta
svalutazione delle attività buttate sul mercato
dalla necessità di fare cassa, perché
questo è il passaggio oltre il quale c’è la
depressione produttiva ed economica. Perciò
il fondo proposto dal Governo Americano
era corretto e ortodosso (anche se
con molti aspetti criticabili e insufficienti),
ma il popolo statunitense ha obbligato il
Congresso a respingerlo in prima istanza,
non per ragioni economiche, ma sostanzialmente
morali, anche a costo di pagare
un prezzo pur di non salvare questa orrenda
classe di banchieri “anticapitalisti”, che
la gente comune vuole vedere quanto prima
in prigione.
Se a questo aggiungiamo lo sviluppo molto
maggiore assunto, sia come spessore che come
copertura geografica, dalle economie
produttive; l’esistenza di altri poderosi centri
di accumulazione finanziaria capaci di
intervenire nel sistema per approfittare delle
crisi e per assumere un ruolo internazionale
importante; la rapidità con cui i Governi
europei sono intervenuti nei punti più acuti
della crisi (mostrando una capacità di reazione
molto maggiore di quella degli Stati
Uniti), possiamo ripetere con una certa
tranquillità: il ‘29 non c’entra. Stiamo calmi
e responsabili. Chi ci salverà? Noi stessi ci
salveremo, e il capitalismo, se riusciremo a
restaurarlo, perché il capitalismo o è serio e
morale, oppure non è.
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