Occorre cambiare
modello, finch´
siamo in tempo.
Il mercato
senza regole
è stato un disastro,
il neo-liberismo
senza regole
fallimentare.
Ci vuole una
glasnost mondiale.
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Da tempo era chiarissimo che il modello
americano della globalizzazione non era sostenibile
e che avrebbe dato luogo a una serie
di convulsioni sistemiche. Questa crisi finanziaria,
che ha avuto effetti immediati
anche sull’economia reale, non è sola.
Ce ne sono altre, simultanee, che sono venute
e stanno venendo al pettine a velocità
crescente: quelle energetica, dell’acqua, alimentare,
demografica, del cambiamento
climatico, della devastazione degli ecosistemi.
Procedendo con un modello basato
esclusivamente sulla ricerca del massimo
profitto e di una crescita parossistica dei
consumi saremo inesorabilmente costretti a
scontrarci con i limiti dello sviluppo. È necessario
istituire nuove regole e reintrodurre
nelle scelte dei Governi i criteri della giustizia
sociale e della solidarietà verso i più
poveri e i più deboli all’interno dei Paesi e
nei rapporti tra Paesi.
Per esemplificare: si guardi la figura miserevole
del Fondo monetario internazionale,
sparito tra le nebbie del panico delle
Borse soverchiate dall’impressionante vastità
del disastro finanziario. Ma è soltanto
un esempio. Il fatto è che questa nuova architettura
presupponeva il riconoscimento
della pluralità del mondo dopo la fine dell’Urss.
Cioè che, scomparsa l’Unione Sovietica,
c’erano soggetti potenti che avrebbero
voluto svolgere la loro parte attiva:
Cina, India, Brasile, Sudafrica, Indonesia
e, naturalmente, la Russia.
Invece a Washington scelsero la via più facile,
quella dell’Impero. Pensarono di potere,
anzi di dovere decidere da soli e per
conto di tutti. Gli Stati Uniti avevano vinto
la Guerra Fredda. E avevano detto: –
Lasciamo fare a Mosca la sua perestrojka,
ma noi non cambiamo nulla –. È stato un
peccato di presunzione, la malattia del vincitore.
Adesso tocchiamo con mano che il
mondo unipolare ha fallito. Perché, oltre
ad essere profondamente ingiusto, era ed è
politicamente irrealistico e fisicamente insostenibile.
È partita da qui la fase discendente
della parabola del secolo d’oro americano.È partito da qui il tramonto della
Potenza a stelle e a strisce.
Voglio dire che, storicamente, si doveva edificare
un’Unione europea più libera, con
scelte politiche, di allargamento, di sicurezza
condivise. Non è stato proprio così. In ogni
caso, non abbiamo interesse, né noi né
Bruxelles, a rimettere in piedi vecchie linee
di demarcazione. Si dovrebbe fare ciò che si
discusse in maniera solenne a Parigi nel
1990: tirar su insieme, Ue e Russia, un nuovo
sistema collettivo, con una sorta di Consiglio
di Sicurezza del Vecchio Continente
dotato di poteri di decisione; e, nello stesso
tempo, organizzare forze di pace che prendessero
il controllo di posti che potevano diventare
pericolosi. Ma non se ne fece niente.
Voglio dire che la scelta fra capitalismo e socialismo fa ormai parte del passato. Il futuro appartiene a società integrate che sappiano
utilizzare le tecnologie, l’informazione
e i valori socialdemocratici che appartengono
alla sfera della giustizia sociale.
Voglio dire che è in contrasto con le leggi
della fisica e della chimica, perché non può
esservi sviluppo indefinito in un sistema limitato
di risorse. Invece il modello turbocapitalisticoè interamente costruito sulle
illusioni di infinità inesistenti. Non si può
contare sul profitto in crescita illimitata
perché le risorse sono definite, a cominciare
da quelle energetiche. Dunque, occorre
cambiare modello, finché siamo in tempo.
Il mercato senza regole è stato un disastro,
il neo-liberismo senza regole si è rivelato
fallimentare.
Ora, ci sono due modi per affrontare il problema.
Il primo è tacere la verità e dilazionare
decisioni che sono notoriamente impopolari;
oppure dire la verità e organizzare saggiamente,
e dunque con tempestività, il cambiamento.
Ci vuole una glasnost mondiale.
Tra queste crisi e le nuove tensioni internazionali
c’è un rapporto indiretto ma evidente.
Nuovi potenti soggetti internazionali – si
pensi alla Russia e alla Cina – agiscono ormai
sulla scena planetaria. I loro interessi
non coincidono e non sono riconducibili a
quelli degli Stati Uniti. Allora: la Russia è
aperta al dialogo, ma si chiuderà di fronte a
imposizioni. È necessario evitare mosse unilaterali,
atti di forza, allargamento di alleanze
militari (mi riferisco alla Nato) e rinuncia
all’installazione in Europa di nuovi
sistemi d’arma (parlo dei missili americani
in Polonia e del radar nella Repubblica Ceca).
La proposta di Medvedev di avviare
una nuova fase di costruzione della sicurezza
europea è più che ragionevole, purché si
capisca che può fondarsi soltanto sulla partecipazione
di tutti.
Per quel che riguarda Putin, certamente egli
ha fatto non pochi errori, ma si tenga conto
che ha ereditato da Eltsin un Paese al collasso.
Tratte tutte le somme, a me pare che
il positivo superi il negativo, e di molto.
Dovremmo essergli grati.
Il tasso di democrazia in Russia, poi: gli occidentali
e gli europei dovrebbero imparare
ad avere pazienza, anche perché non hanno
scelta. La Russia sta realizzando una trasformazione
democratica e si trova a metà
strada. Non dappertutto i tempi sono identici.
L’Europa ha impiegato qualche secolo
per costruire lo Stato di diritto. Dateci tempo
e non si cerchi di farci la lezione. Sappiamo fare da soli.
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La Cattedrale di San Basilio, a Mosca, nella
Piazza Rossa. Ivan il Terribile la fece costruire tra il 1551 e il 1556, e volendola magnifica e irripetibile diede ordine che il suo
architetto, Yakovlev, fosse accecato. - Archivio BPP |
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