Dicembre 2008

LA CRISI DEL MODELLO UNIPOLARE

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TRAMONTA
IL SECOLO D’ORO AMERICANO

Mikhail Gorbaciov

Premio Nobel per la Pace
 
 

 

 

Occorre cambiare modello, finch´ siamo in tempo. Il mercato senza regole è stato un disastro, il neo-liberismo senza regole fallimentare. Ci vuole una glasnost mondiale.

 

Da tempo era chiarissimo che il modello americano della globalizzazione non era sostenibile e che avrebbe dato luogo a una serie di convulsioni sistemiche. Questa crisi finanziaria, che ha avuto effetti immediati anche sull’economia reale, non è sola.
Ce ne sono altre, simultanee, che sono venute e stanno venendo al pettine a velocità crescente: quelle energetica, dell’acqua, alimentare, demografica, del cambiamento climatico, della devastazione degli ecosistemi. Procedendo con un modello basato esclusivamente sulla ricerca del massimo profitto e di una crescita parossistica dei consumi saremo inesorabilmente costretti a scontrarci con i limiti dello sviluppo. È necessario istituire nuove regole e reintrodurre nelle scelte dei Governi i criteri della giustizia sociale e della solidarietà verso i più poveri e i più deboli all’interno dei Paesi e
nei rapporti tra Paesi.
Per esemplificare: si guardi la figura miserevole del Fondo monetario internazionale, sparito tra le nebbie del panico delle Borse soverchiate dall’impressionante vastità del disastro finanziario. Ma è soltanto un esempio. Il fatto è che questa nuova architettura
presupponeva il riconoscimento della pluralità del mondo dopo la fine dell’Urss. Cioè che, scomparsa l’Unione Sovietica, c’erano soggetti potenti che avrebbero voluto svolgere la loro parte attiva: Cina, India, Brasile, Sudafrica, Indonesia e, naturalmente, la Russia.
Invece a Washington scelsero la via più facile, quella dell’Impero. Pensarono di potere,
anzi di dovere decidere da soli e per conto di tutti. Gli Stati Uniti avevano vinto la Guerra Fredda. E avevano detto: – Lasciamo fare a Mosca la sua perestrojka, ma noi non cambiamo nulla –. È stato un peccato di presunzione, la malattia del vincitore. Adesso tocchiamo con mano che il mondo unipolare ha fallito. Perché, oltre ad essere profondamente ingiusto, era ed è politicamente irrealistico e fisicamente insostenibile.
È partita da qui la fase discendente della parabola del secolo d’oro americano.È partito da qui il tramonto della Potenza a stelle e a strisce.
Voglio dire che, storicamente, si doveva edificare un’Unione europea più libera, con scelte politiche, di allargamento, di sicurezza condivise. Non è stato proprio così. In ogni caso, non abbiamo interesse, né noi né Bruxelles, a rimettere in piedi vecchie linee di demarcazione. Si dovrebbe fare ciò che si discusse in maniera solenne a Parigi nel 1990: tirar su insieme, Ue e Russia, un nuovo sistema collettivo, con una sorta di Consiglio di Sicurezza del Vecchio Continente dotato di poteri di decisione; e, nello stesso tempo, organizzare forze di pace che prendessero il controllo di posti che potevano diventare pericolosi. Ma non se ne fece niente. Voglio dire che la scelta fra capitalismo e socialismo fa ormai parte del passato. Il futuro appartiene a società integrate che sappiano utilizzare le tecnologie, l’informazione e i valori socialdemocratici che appartengono alla sfera della giustizia sociale.
Voglio dire che è in contrasto con le leggi della fisica e della chimica, perché non può esservi sviluppo indefinito in un sistema limitato di risorse. Invece il modello turbocapitalisticoè interamente costruito sulle illusioni di infinità inesistenti. Non si può
contare sul profitto in crescita illimitata perché le risorse sono definite, a cominciare da quelle energetiche. Dunque, occorre cambiare modello, finché siamo in tempo. Il mercato senza regole è stato un disastro, il neo-liberismo senza regole si è rivelato fallimentare.
Ora, ci sono due modi per affrontare il problema. Il primo è tacere la verità e dilazionare
decisioni che sono notoriamente impopolari; oppure dire la verità e organizzare saggiamente, e dunque con tempestività, il cambiamento. Ci vuole una glasnost mondiale.
Tra queste crisi e le nuove tensioni internazionali c’è un rapporto indiretto ma evidente.
Nuovi potenti soggetti internazionali – si pensi alla Russia e alla Cina – agiscono ormai sulla scena planetaria. I loro interessi non coincidono e non sono riconducibili a quelli degli Stati Uniti. Allora: la Russia è aperta al dialogo, ma si chiuderà di fronte a imposizioni. È necessario evitare mosse unilaterali, atti di forza, allargamento di alleanze militari (mi riferisco alla Nato) e rinuncia all’installazione in Europa di nuovi sistemi d’arma (parlo dei missili americani in Polonia e del radar nella Repubblica Ceca). La proposta di Medvedev di avviare una nuova fase di costruzione della sicurezza europea è più che ragionevole, purché si capisca che può fondarsi soltanto sulla partecipazione di tutti.
Per quel che riguarda Putin, certamente egli ha fatto non pochi errori, ma si tenga conto
che ha ereditato da Eltsin un Paese al collasso.
Tratte tutte le somme, a me pare che il positivo superi il negativo, e di molto. Dovremmo essergli grati.
Il tasso di democrazia in Russia, poi: gli occidentali e gli europei dovrebbero imparare ad avere pazienza, anche perché non hanno scelta. La Russia sta realizzando una trasformazione democratica e si trova a metà strada. Non dappertutto i tempi sono identici. L’Europa ha impiegato qualche secolo per costruire lo Stato di diritto. Dateci tempo e non si cerchi di farci la lezione. Sappiamo fare da soli.

 

La Cattedrale di San Basilio, a Mosca, nella
Piazza Rossa. Ivan il Terribile la fece costruire tra il 1551 e il 1556, e volendola magnifica e irripetibile diede ordine che il suo
architetto, Yakovlev, fosse accecato. - Archivio BPP
La Cattedrale di San Basilio, a Mosca, nella Piazza Rossa. Ivan il Terribile la fece costruire tra il 1551 e il 1556, e volendola magnifica e irripetibile diede ordine che il suo architetto, Yakovlev, fosse accecato. - Archivio BPP
   
   
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