Dicembre 2008

GRANDE CRISI E ONDE D’URTO

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EFFETTI COLLATERALI

B.S.

 
 
 

 

 

Di tanto in tanto, l'Europa e gli Stati Uniti dovranno allungare lo sguardo al di là delle proprie sciagure, per tenere d'occhio quel che accade nel resto del mondo.

 

Dopo esserci lasciati andare, nell’illusione che l’uragano statunitense si sarebbe placato prima di giungere in vista dell’Europa, (o avrebbe fatto qualche guasto, ma tutt’al più nella finanza britannica), ci siamo accorti di essere alle prese con una crisi molto più grave di quella che colpì i Paesi della Comunità europea durante gli shock petroliferi degli anni Settanta. Se lo avessimo in qualche modo previsto e ci fossimo preparati per tempo, gli effetti, forse, sarebbe stati meno gravi.
Oggi, dopo che le maggiori economie europee sono corse ai ripari, rischiamo di commettere un altro errore di distrazione, ignorando gli effetti che la crisi potrebbe continuare ad avere in altri continenti e i contraccolpi che questi effetti potrebbero avere
sui rapporti internazionali. Nei momenti di relax, e negli intervalli fra un salvataggio e l’altro, proviamo a chiederci che cosa potrebbe accadere in Cina, in Russia e nell’America
Latina.
Mentre il Congresso americano protestava contro il protezionismo cinese e minacciava
rappresaglie, la Repubblica Popolare e gli Stati Uniti hanno vissuto per molti anni in stato di felice simbiosi. La Cina ha invaso con i suoi prodotti a basso prezzo il mercato americano e ha creato qualche disagio nei settori industriali maggiormente colpiti dalla concorrenza. Ma ha fatto la gioia dei consumatori e ha usato i proventi in dollari delle sue esportazioni per comperare i bond con cui il Tesoro americano finanzia il suo debito.

Dario Carrozzini
Dario Carrozzini


Noi sappiamo che il Prodotto interno lordo cinese cresce ogni anno, mediamente, del 10 per cento. È un tasso di sviluppo per noi eccezionale, ma è quello che consente alla dirigenza cinese di governare i tumultuosi mutamenti sociali del Paese e il crescente divario fra ricchi e poveri. Se la percentuale, in una fase di generale recessione, scendesse al di sotto dell’8 per cento, la Cina sarebbe con ogni probabilità costretta a puntare sul mercato interno, su un ambizioso programma di infrastrutture e sull’aumento della spesa sociale. Ma potrebbe fare ricorso anche al nazionalismo, vale a dire allo strumento di cui molti Governi si servono quando vogliono zittire i dissidenti, spegnere i malumori sociali, attribuire a un nemico esterno i malanni della nazione.
La situazione russa è probabilmente migliore. L’aumento medio del Prodotto interno lordo fra il 1999 e il 2007 (pari al 7 per cento)è stato dovuto quasi esclusivamente al mercato interno, agli investimenti, e, più recentemente, all’aumento del prezzo del petrolio. Gli screzi e gli attriti con l’Occidente in materia di greggio e di gas avevano, paradossalmente, un risvolto positivo. Si litigava per la distribuzione di costi e profitti in un contesto in cui uno dei litiganti, l’Occidente, aveva bisogno di comprare, e l’altro, la Russia, aveva bisogno di vendere. Che cosa accadrebbe il giorno in cui la domanda di energia diminuisse e il flusso dei capitali verso la Russia si riducesse? Riusciranno Vladimir Putin e Dmitrij Medvedev ad aggiustare il tiro, ma senza fare ricorso al nazionalismo?
La crisi di Wall Street piace ideologicamente ai nemici degli Stati Uniti nel continente latino-americano, e soprattutto a Hugo Chávez, il loro più chiassoso esponente. Ma i legami economici e finanziari con il Nord sono ancora troppo importanti, persino per l’irrequieto Venezuela, e le ricadute negative saranno numerose.

“Il negozio di cose bellissime”, a Chinatown,
San Francisco. - Carlo Stasi
“Il negozio di cose bellissime”, a Chinatown, San Francisco. - Carlo Stasi


È possibile comunque che la crisi acceleri il processo d’integrazione dei Paesi del Mercosur (il mercato unico di una parte dei Paesi del Sudamerica) e contribuisca alla nascita di una più solida economia latino-americana. Sono semplicemente tre esempi. Sufficienti però a dimostrare che l’Europa e gli Stati Uniti dovranno di tanto in tanto allungare lo sguardo al di là delle proprie sciagure, per tenere d’occhio quel che accade nel resto del mondo.

   
   
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