Dicembre 2008

UN MONDO MULTIPOLARE E POST-AMERICANO

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TRE LINEE ANTIDECLINO

Francis Fukuyama

 

 
 

 

 

Leadership? L'America è realmente pronta ad affrontare un mondo nel quale non è più in grado di affermare la propria egemonia?

 

Un opinionista di Newsweek ha definito quello del futuro «un mondo post-americano». Ho la forte impressione che le condizioni dell’economia globale stiano cambiando in maniera drammatica. I presupposti sui quali era fondato il mondo della Guerra Fredda, e questo lungo periodo di egemonia americana da allora, non saranno più sufficienti a guidare l’America nella realtà emergente.
Il primo e più evidente cambiamento che gli Stati Uniti devono affrontare ha a che fare con l’evoluzione di un mondo multipolare. Gli Usa restano la potenza dominante del pianeta, anche se il resto del mondo si affretta ad accorciare le distanze.
Lo spostamento del potere in termini di forza economica è impressionante. Russia, Cina,
India e gli Stati del Golfo Persico sono tutti in forte crescita, mentre l’America sprofonda nella recessione. Appare dunque evidente come il resto del mondo si sia sganciato dall’economia americana. La prova più clamorosa del progressivo spostamento del potere sta, da una parte, nell’indebitamento degli Usa, e, dall’altra, nelle riserve accumulate da molti Paesi nel resto del pianeta. La Repubblica Popolare Cinese può contare su una riserva pari a 1,5 trilioni di dollari; la Russia, su 550 miliardi; la Corea del Sud, su 260 miliardi. È inevitabile che affronteremo un mondo nel quale le scelte americane saranno sempre più limitate e vincolate.
L’evoluzione di un mondo economico multipolareè stata ampiamente studiata. Quel che è cambiato nell’attuale assetto internazionale è che il mondo non è più dominato da Stati forti, ma da Stati deboli, talvolta addirittura fallimentari, dove i soliti strumenti del potere – in particolare, la forza militare – non funzionano più come un tempo.
Com’è nato un mondo di Stati deboli? La sua creazione è stata determinata dal coinvolgimento, nello sviluppo economico, di nuovi attori e gruppi sociali che precedentemente erano stati esclusi dal potere, al modo degli sciiti in Libano. E si estende anche al continente americano.
Un mondo di Stati deboli ha numerose ripercussioni per la potenza statunitense. Prendiamo in considerazione questo fenomeno abbastanza sconcertante: gli Stati Uniti spendono per la difesa quanto tutto il resto del mondo sommato insieme. Eppure sono trascorsi cinque anni e più dall’occupazione dell’Iraq, e fino ad oggi non si è riusciti a pacificare del tutto quel Paese. Il motivo va ricercato nel cambiamento del potere stesso. Stiamo cercando di utilizzare oggi, in un mondo di Stati deboli, lo stesso strumento – la forza militare – che abbiamo utilizzato nel mondo del secolo XX, fatto di grandi Potenze e di Stati centralizzati. Nonè più pensabile ricorrere al potere “duro” per creare istituzioni legittime sulle quali fondare una nazione.

Un’anziana contadina a dorso di mulo,a Mostar. - Dario Carrozzini
Un’anziana contadina a dorso di mulo,a Mostar. - Dario Carrozzini


Molte altre cose stanno accadendo nella politica internazionale, in reazione al predominio americano degli ultimi due decenni. Altri Paesi si stanno mobilitando contro gli Stati Uniti. Sono nate alleanze, come il Consiglio di Cooperazione di Shanghai, con l’obiettivo esplicito di estromettere gli Stati Uniti dall’Asia dopo l’intervento militare in questa regione, successivamente all’11 settembre. L’America non è più in grado di chiamare a raccolta i suoi alleati democratici come avveniva in passato, e si è visto chiaramente in Iraq.
In sintesi, davanti ai nostri occhi c’è oggi un mondo che richiede abilità molto diverse. Se è giusto che l’America conservi la capacità di ricorrere, all’occorrenza, al potere“duro”, non deve tuttavia dimenticare che esistono molti altri canali per proiettare quei valori e quelle istituzioni che assicureranno il perdurare della sua leadership nel mondo. Gli sforzi del governo Clinton nei Balcani, nella Somalia e ad Haiti per contribuire alla creazione di nuove nazioni vennero criticati come impegni da “assistente sociale”. I detrattori sostennero che i veri uomini e i veri professionisti di politica estera non si abbassano a questi interventi, né si curano del potere “morbido”, preferendo far ricorso al duro impatto della forza militare. Ma in realtà è bene che oggi la politica estera americana faccia leva sull’intervento sociale. Gli oppositori del potere americano nel mondo – i Fratelli Musulmani, Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano, Mahmud Ahmadinejad in Iran, i leader populisti in Sudamerica – sono riusciti a raggiungere il potere perché offrono servizi sociali direttamente alle fasce più povere della popolazione.
Oggi le esigenze del ruolo di leadership per l’America appaiono pertanto molto diverse. E sollevano la questione: l’America è realmente pronta ad affrontare un mondo nel quale non è più in grado di affermare la propria egemonia?

Scene di ordinaria povertà, in una periferia
nordamericana. - Dario Carrozzini
Scene di ordinaria povertà, in una periferia nordamericana. - Dario Carrozzini


Non credo che il declino americano sia inevitabile. Gli Stati Uniti possiedono enormi ricchezze di tecnologia, di competitività e di imprenditorialità; possono vantare un mercato del lavoro flessibile e istituzioni finanziarie fondamentalmente salde. I principali problemi attuali degli Usa sono quelli interni. Esistono tre specifiche aree di debolezza, alle quali gli Stati Uniti dovranno porre rimedio se vorranno superare gli scogli su menzionati. Si tratta in primo luogo del calo di efficienza nel settore pubblico; in secondo luogo, di una certa pigrizia da parte degli americani quando si deve capire il mondo da una prospettiva che non sia quella degli Stati Uniti; in terzo luogo, di un sistema politico polarizzato, che è diventato incapace persino di discutere le possibili soluzioni a questi problemi.
Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito a un numero molto deprimente di insuccessi politici dovuti all’incapacità dei funzionari pubblici nel programmare e attuare le politiche varate dal governo. Il caso più noto riguarda la mancata pianificazione dell’occupazione dell’Iraq e l’incapacità di affrontare la successiva, e imprevista, guerra civile.
Negli ultimi anni sono state avviate due grandi riorganizzazioni del governo federale a Washington: la creazione del ministero della Sicurezza Nazionale e la ristrutturazione dei Servizi segreti. Sorpresa: oggi gli americani dimostrano minori capacità in tutte e due queste aree rispetto a prima della riorganizzazione. Il secondo problema riguarda la pigrizia
mentale americana per quel che attiene al mondo esterno. Dopo il lancio dello Sputnik, sul finire degli anni Cinquanta, gli Stati Uniti risposero alla sfida sovietica con massicci investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica, che furono segno di grande accortezza,
e riaffermarono la leadership americana. Dopo l’11 settembre, l’America avrebbe potuto reagire in modo analogo, lanciando grandi investimenti per capire meglio quelle parti del mondo molto complesse, e fino a quel momento trascurate, come il Vicino Oriente. È un vero scandalo che nella nuova e mostruosa ambasciata americana a Baghdad solo pochissime persone parlino correntemente l’arabo.
Il terzo punto concerne la situazione di stallo che mina il sistema politico americano. La polarizzazione ha fatto sparire ogni dibattito serio sul modo di risolvere queste sfide di lungo termine. La Destra non osa parlare di nuove tasse per finanziare i servizi pubblici essenziali. La Sinistra non osa abbordare la questione della privatizzazione della previdenza sociale né dell’innalzamento dell’età pensionabile. Pertanto, la cultura politica che si è venuta a creare, come risultato di queste politiche, si rivela incapace di prendere le decisioni necessarie. Ho delineato alcune linee guida che consentiranno all’America di affrontare il futuro, ma nessuno potrà mai beneficiare di un’America chiusa su se stessa, incapace di attuare importanti politiche, e troppo divisa per prendere decisioni cruciali. Questo atteggiamento rischia di danneggiare non soltanto gli americani, ma anche il resto del mondo.

   
   
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