Dicembre 2008

CONTROCANTO

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LA BUFERA,
GLI SPECULATORI

Piero Ostellino

 

 
 

 

 

L'effetto deprimente che hanno sulle Borse gli annunci dei Governi a sostegno delle banche in crisi suggerisce che meno i governi fanno, meglio è.


Un cavaliere tedesco in un'incisione di Burgmayer, da un disegno di A. Dürer, per la “Vita imperatoris Maximiliani’,XV secolo.
 

Ci salverà la speculazione. Che non è una brutta parola – come vuole il moralismo d’accatto anti-capitalista – ma ha la stessa funzione del mercato di ridurre le differenze di prezzo; si compera quando il prezzo è basso e si vende quando è alto. È un fattore di razionalizzazione nell’allocazione della ricchezza. Nei giorni di crisi, in Borsa, tutti hanno venduto; qualcuno, invece, ha incominciato a chiedersi se non fosse il caso di comprare. Si è scommesso su prezzi, allo scoperto, senza neppure la disponibilità del bene scambiato; è bastato tenerne d’occhio il prezzo e fissare l’esito della scommessa.
La prospettiva di deflazione produce speculatori, altrimenti detti ribassisti. Francesco Micheli – un finanziere con alle spalle una sana e robusta cultura classica (che non guasta mai) – lo sostiene con esemplare chiarezza; «Tutti odiano, e da sempre, i ribassisti, perché il mondo è per sua natura rialzista, spera nella crescita dell’economia. Però storicamente il ribassista ha anche svolto un importante ruolo di moderatore. Una delle tragedie che ci hanno portato alla situazione di grande crisi è stata l’autoprofezia della crescita tendente all’infinito che fa lievitare in maniera esasperata i valori dei titoli in Borsa. Quando questo succede e arriva qualcuno che, sulla base dei fondamentali, punta contro un certo titolo salito a quotazioni irragionevolmente alte, allora si tratta di un’azione riequilibratrice utile al mercato». È la rivincita dello spontaneismo sull’Utopia programmatrice; sul mito razionalista della prevedibilità del processo sociale e della capacità degli “esperti” di gestirlo; sul mito progressista di un futuro sempre più luminoso: entrambi figli della Rivoluzione del 1789.È nata così una realtà “virtuale”, nei laboratori dell’econometria (l’economia matematica), sugli algoritmi della quale molti operatori hanno fondato le loro previsioni e le loro scelte sbagliate. Un’economia fondata sui consumi a debito, invece che sul risparmio e sugli investimenti a lungo termine, l’uno e gli altri in uggia a John Maynard Keynes, del quale si riesumano oggi le teorie “sul breve”.
Il rischio è che si faccia lo stesso errore. Che l’analisi macro-economica – che apre sempre la strada all’intervento pubblico nell’economia – la faccia ancora una volta da padrone su quella micro-economica. L’effetto deprimente che hanno sull’andamento delle Borse gli annunci degli interventi dei Governi a sostegno delle banche in crisi sembrerebbe suggerire che, in questi casi, meno i governi fanno, meglio è. Non arrivo a sostenere tanto. Ma sono, però, convinto che, più degli interventi pubblici, saranno, se li si lascerà fare, i milioni di birrai e i macellai di turno – che fanno previsioni e operano scelte sulla base della propria prospettiva individuale – a tirarci fuori, e prima del previsto, dai guai.
Forse, è opportuno ricordare che i grandi economisti del passato erano anche e soprattutto filosofi empirici; analisti dei comportamenti degli uomini in carne e ossa; delle passioni che guidano la ragione, non della ragione che governa quelle.

   
   
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