Dicembre 2008

GRANDE CRISI E FUTURO

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TORNA IL FASCINO
DELLE REGOLE

Raniero Di Stefano

 

 
 

 

 

Nuove bolle. Nonostante i salvataggi e le nuove regole, succederà di nuovo. E quando succederà, tutti si saranno dimenticati che nel 2008 il mondo ha rischiato di finire.

 

Mentre il Congresso americano discuteva, respingeva e poi rivedeva e approvava il piano Paulson, i mercati azionari andavano su è giù, anche con scarti da vertigine. Tra i grandi istituti di credito regnava la paranoia: i tassi record dei prestiti interbancari sottolineavano il fatto che dopo settimane di disastri nessuno sapeva chi avrebbe avuto in mano la prossima partita di titoli esplosivi.
Gli investitori erano in preda alla sindrome dell’assedio: la consueta fila di limousine che si forma davanti all’elegante Savoy Place di Londra era superata da quella dei clienti che cercavano di trasformare mazzi di banconote in lingotti d’oro, anche pagando 100 dollari a oncia in più rispetto al prezzo di mercato.«Almeno siamo più sicuri», sosteneva un compratore. «Perché non sappiamo che cosa ci fanno con i nostri denari». Continuano a chiederselo tutti. E con il passare del tempo è in difficoltà l’intero sistema capitalistico anglosassone. Per trent’anni siamo stati convinti che i mercati sapessero il fatto loro. Ma poi i politici americani si sono piegati a un’opinione pubblica furiosa al pensiero che i cittadini dovessero spendere quasi mille miliardi dei loro sudati dollari per salvare qualche master of the universe spendaccione.
A quel punto è stata chiara una cosa: l’idea che “quello che va bene per Wall Street va bene anche per Main Street”, cioè per la gente comune, è ormai tramontata. Ora che il fascino dell’ideologia reaganianathatcheriana sta svanendo sotto i nostri occhi, abbiamo la netta sensazione che sia finita un’era, che stiamo uscendo dall’epoca d’oro del libero mercato, degli affari ad alto rischio e dei grandi profitti, per entrare in un nuovo periodo di prudenza creditizia, di norme più severe, di minori speculazioni e di maggiore intervento dello Stato sui mercati. I politici di tutto il mondo, ansiosi di riscattarsi, invocano nuove regole, insieme con la riforma del sistema finanziario.

ICP - Milano
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Nel frattempo, sia negli Stati capitalisti autoritari come la Cina sia nei Paesi socialdemocratici come la Germania e la Francia, la crisi è stata accolta con reazioni che sono andate dal sollievo al “Ve lo avevo detto”. Questi Paesi sono stati sempre diffidenti nei confronti del sistema anglosassone, e la sconfitta di Wall Street significa che il loro modello potrebbe non solo sopravvivere, ma addirittura trionfare.
Non per nulla il Presidente francese ha sostenuto che «occorre ripensare il capitalismo» e che «la legittimità dell’intervento pubblico sul funzionamento del sistema finanziario non è più in discussione»; mentre la Cancelliera tedesca ha ribadito che«qualche anno fa andava di moda dire che in un mondo globalizzato i Governi sarebbero stati sempre più deboli», aggiungendo di non aver mai condiviso questa opinione, e specificando che sono stati proprio i britannici e gli statunitensi a respingere la sua proposta di introdurre più regole nel campo finanziario.
Musica – queste parole – per le orecchie di Putin, che ha tentato di addossare al «contagio
americano» la colpa dei problemi del mercato russo; e per quelle dei mediocri dittatori sudamericani (Hugo Chávez, Cristina Fernandez de Kirchner, Evo Morales), secondo i quali il neoliberismo «è morto».
La sensazione che ormai stiamo andando troppo oltre si è diffusa sull’onda di dati di fatto incontrovertibili emersi da settembre, ma noti da tempo agli addetti ai lavori, i quali hanno preferito tacere o traccheggiare, limando giorno dopo giorno la fiducia della gente comune.

Archivio BPP
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Tutto questo, infatti, non è successo da un giorno all’altro, o da un mese all’altro. Dalla fine degli anni Settanta un’ondata di innovazioni normative e tecnologiche ha favorito la crescita e ha fatto aumentare la redditività degli speculatori. I fondi pensione hanno potuto investire il loro portafoglio in Borsa, i broker hanno cominciato a offrire fondi d’investimento ai singoli risparmiatori, banche di diverso tipo hanno potuto fondersi tra loro ed entrare in nuovi settori finanziari, i bancomat e le banche online hanno creato una rete elettronica attiva 24 ore su 24. Dagli anni Settanta al 2005 la percentuale di americani in possesso di azioni è salita dal 16 al 50 per cento.
Ovviamente, non tutto è stato negativo. Con l’aiuto di paladini del mercato come Ronald Reagan e Margareth Thatcher ci sono state molte innovazioni finanziarie, delle quali hanno beneficiato ampiamente le imprese e i cittadini.
Ma dopo il 2001 l’economia è cambiata e ha complicato un po’ le cose per chi giocava d’azzardo, anche se i soldi continuavano a circolare grazie a tassi di interesse sempre più bassi: nel 2003 la Federal Reserve di Alan Greenspan li aveva portati all’1 per cento. La riduzione dei tassi ha avuto anche l’effetto di far esplodere il mercato dei derivati legati ai crediti, proprio quei titoli che poi sono stati la causa della crisi, perché i grandi banchieri cercavano un modo per aumentare i profitti nonostante i bassi interessi.
Tra il 2000 e il 2007, per esempio, il mercato dei Credit default swaps (Cds, una delle principali tipologie di derivati creditizi) passava da 100 a 62 mila miliardi di dollari. Mentre persone sagge come Warren Buffett (che ha definito i derivati «armi finanziarie di distruzione di massa») erano preoccupate, altri, come Greenspan, hanno insistito nel dire che questi titoli svolgevano un ruolo importante nella distribuzione dei rischi. Dopo il 2004, un’altra riforma ha ulteriormente aumentato la posta in gioco.
La Security exchange commission, (Sec), l’autorità di controllo della Borsa americana, stringeva un patto con il diavolo per estendere la sua giurisdizione alle società che controllano le banche d’investimento: accettava di annullare il limite massimo di 12 a 1 stabilito per il rapporto tra debito e capitale, consentendo così alle banche di rischiare quanto volevano.

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A quel punto, la Sec non aveva più gli strumenti per giudicare la solvibilità delle banche, e doveva affidarsi a modelli incredibilmente complessi, ai quali venne dato il nome decisamente appropriato di “simulazioni Montecarlo”.
Poi il prezzo delle case, che tra il 2001 e il 2005 era salito alle stelle, scese improvvisamente. La bolla scoppiava, e tutte le tessere del domino cadevano. Ora gli americani si disperano per i costi di operazioni di salvataggio che sembrano premiare proprio l’avidità all’origine del disastro.
A dirla tutta. Anche se non è ancora chiaro che vantaggi avrà l’americano medio dall’intervento del Governo, è evidente che il capitalismo disinvolto degli ultimi quindici-
vent’anni si sta trasformando, se non in qualcosa di totalmente nuovo, sicuramente in una versione più moderata. Tanto per cominciare, le banche d’investimento non potranno essere più quelle di una volta: «Penso che torneremo alle nostre attività di base», hanno chiarito i responsabili di Morgan Stanley, «con più consulenza e meno operazioni rischiose: gli investimenti dipenderanno dalle esigenze dei clienti e non da quelle degli intermediari; le decisioni saranno più strategiche che finanziarie».
Anche il complesso mercato dei derivati dovrà essere regolato. Negli Stati Uniti si invoca la necessità di una stanza di compensazione che renda più trasparenti tutte le transazioni. In Europa ci sono già iniziative per regolamentare i derivati e gli altri giochi di prestigio finanziari. Il ministro delle Finanze tedesco ha persino lanciato una campagna per “civilizzare” i mercati finanziari.È il caso, però, di ricordare che ad avventurarsi in alcune delle operazioni più rischiose degli ultimi tempi sono state proprio le banche tedesche regolamentate dallo Stato, e non i colossi di Wall Street.
Un maggior controllo pubblico non garantisce che tutto fili liscio: è necessario che le regole siano concepite e applicate bene, e che siano, in una certa misura, flessibili. Bisogna anche chiedersi se i politici possano davvero impedire agli investimenti di ricavare
utili del 25 per cento. È davvero possibile imporre limiti al capitalismo? O il suo lato più selvaggio continuerà a riemergere dopo ogni periodo di crisi? È probabile che i gestori degli hedge fund, che pure hanno divorato ricchezze in quantità enormi, tornino alla carica?
Intanto le potenze economiche emergenti sono stracolme di contanti: le Banche centrali asiatiche hanno riserve per oltre 4.000 miliardi di dollari. Questa crescente ricchezzaè stata una delle molle principali delle innovazioni finanziarie degli ultimi anni. Nel tentativo di accaparrarsi tutti quei soldi, molti cercheranno di aggirare le nuove regole. Gli investitori e tutti quelli che sono al loro servizio inventeranno trucchi sempre più fantasiosi. Una bella fetta del nuovo denaro finirà indubbiamente nei mercati occidentali.
Aumenteranno il potere e l’influenza politica dei Paesi emergenti, ma questo non segnerà la fine del sistema liberista. Sebbene la Cina abbia cercato di sfruttare la crisi di Wall Street per reclamizzare le virtù del suo capitalismo autoritario, quest’anno il “modello cinese” ha prodotto perdite del 66 per cento, insieme con una notevole distruzione di ricchezza a danno della gente comune.
Nella nuova era economica il mondo potrebbe finire per somigliare sempre di più all’Europa. Torneremo ad essere un po’ più risparmiatori e un po’ meno investitori, e per qualche tempo il credito sarà concesso con maggiore oculatezza. Poi, a un certo punto, i soldi riprenderanno a circolare con maggior velocità. Si formeranno nuove bolle. In quale settore (quello dell’energia? della tecnologia verde? dello spazio?) nessuno lo può prevedere.
Ma nonostante i salvataggi e le nuove regole, succederà di nuovo. E quando succederà, tutti si saranno dimenticati che nel 2008 il mondo ha rischiato di finire.

   
   
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