Nuove bolle.
Nonostante
i salvataggi
e le nuove regole,
succederà di
nuovo. E quando
succederà, tutti
si saranno
dimenticati che nel
2008 il mondo ha
rischiato di finire.
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Mentre il Congresso americano discuteva,
respingeva e poi rivedeva e approvava il
piano Paulson, i mercati azionari andavano
su è giù, anche con scarti da vertigine. Tra i
grandi istituti di credito regnava la paranoia:
i tassi record dei prestiti interbancari
sottolineavano il fatto che dopo settimane
di disastri nessuno sapeva chi avrebbe avuto
in mano la prossima partita di titoli
esplosivi.
Gli investitori erano in preda alla sindrome
dell’assedio: la consueta fila di limousine che
si forma davanti all’elegante Savoy Place di
Londra era superata da quella dei clienti che
cercavano di trasformare mazzi di banconote
in lingotti d’oro, anche pagando 100 dollari
a oncia in più rispetto al prezzo di mercato.«Almeno siamo più sicuri», sosteneva
un compratore. «Perché non sappiamo che
cosa ci fanno con i nostri denari».
Continuano a chiederselo tutti. E con il
passare del tempo è in difficoltà l’intero sistema
capitalistico anglosassone. Per
trent’anni siamo stati convinti che i mercati
sapessero il fatto loro. Ma poi i politici
americani si sono piegati a un’opinione
pubblica furiosa al pensiero che i cittadini
dovessero spendere quasi mille miliardi dei
loro sudati dollari per salvare qualche master of the universe spendaccione.
A quel punto è stata chiara una cosa: l’idea
che “quello che va bene per Wall Street va
bene anche per Main Street”, cioè per la
gente comune, è ormai tramontata.
Ora che il fascino dell’ideologia reaganianathatcheriana
sta svanendo sotto i nostri occhi,
abbiamo la netta sensazione che sia finita
un’era, che stiamo uscendo dall’epoca
d’oro del libero mercato, degli affari ad alto
rischio e dei grandi profitti, per entrare in
un nuovo periodo di prudenza creditizia, di
norme più severe, di minori speculazioni e
di maggiore intervento dello Stato sui mercati.
I politici di tutto il mondo, ansiosi di
riscattarsi, invocano nuove regole, insieme
con la riforma del sistema finanziario.
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ICP - Milano |
Nel frattempo, sia negli Stati capitalisti autoritari
come la Cina sia nei Paesi socialdemocratici
come la Germania e la Francia, la crisi è stata accolta con reazioni che sono
andate dal sollievo al “Ve lo avevo detto”.
Questi Paesi sono stati sempre diffidenti nei
confronti del sistema anglosassone, e la
sconfitta di Wall Street significa che il loro
modello potrebbe non solo sopravvivere,
ma addirittura trionfare.
Non per nulla il Presidente francese ha sostenuto
che «occorre ripensare il capitalismo» e che «la legittimità dell’intervento
pubblico sul funzionamento del sistema finanziario
non è più in discussione»; mentre
la Cancelliera tedesca ha ribadito che«qualche anno fa andava di moda dire che
in un mondo globalizzato i Governi sarebbero
stati sempre più deboli», aggiungendo
di non aver mai condiviso questa opinione,
e specificando che sono stati proprio i britannici
e gli statunitensi a respingere la sua
proposta di introdurre più regole nel campo
finanziario.
Musica – queste parole – per le orecchie di
Putin, che ha tentato di addossare al «contagio
americano» la colpa dei problemi del
mercato russo; e per quelle dei mediocri dittatori
sudamericani (Hugo Chávez, Cristina
Fernandez de Kirchner, Evo Morales), secondo
i quali il neoliberismo «è morto».
La sensazione che ormai stiamo andando
troppo oltre si è diffusa sull’onda di dati di
fatto incontrovertibili emersi da settembre,
ma noti da tempo agli addetti ai lavori, i
quali hanno preferito tacere o traccheggiare,
limando giorno dopo giorno la fiducia
della gente comune.
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Archivio BPP |
Tutto questo, infatti, non è successo da un
giorno all’altro, o da un mese all’altro. Dalla
fine degli anni Settanta un’ondata di innovazioni
normative e tecnologiche ha favorito
la crescita e ha fatto aumentare la
redditività degli speculatori. I fondi pensione
hanno potuto investire il loro portafoglio
in Borsa, i broker hanno cominciato a
offrire fondi d’investimento ai singoli risparmiatori,
banche di diverso tipo hanno
potuto fondersi tra loro ed entrare in nuovi
settori finanziari, i bancomat e le banche
online hanno creato una rete elettronica attiva
24 ore su 24. Dagli anni Settanta al
2005 la percentuale di americani in possesso
di azioni è salita dal 16 al 50 per cento.
Ovviamente, non tutto è stato negativo.
Con l’aiuto di paladini del mercato come
Ronald Reagan e Margareth Thatcher ci
sono state molte innovazioni finanziarie,
delle quali hanno beneficiato ampiamente le
imprese e i cittadini.
Ma dopo il 2001 l’economia è cambiata e
ha complicato un po’ le cose per chi giocava
d’azzardo, anche se i soldi continuavano
a circolare grazie a tassi di interesse
sempre più bassi: nel 2003 la Federal Reserve
di Alan Greenspan li aveva portati
all’1 per cento. La riduzione dei tassi ha avuto anche l’effetto di far esplodere il
mercato dei derivati legati ai crediti, proprio
quei titoli che poi sono stati la causa
della crisi, perché i grandi banchieri cercavano
un modo per aumentare i profitti nonostante
i bassi interessi.
Tra il 2000 e il 2007, per esempio, il mercato
dei Credit default swaps (Cds, una delle
principali tipologie di derivati creditizi) passava
da 100 a 62 mila miliardi di dollari.
Mentre persone sagge come Warren Buffett
(che ha definito i derivati «armi finanziarie
di distruzione di massa») erano preoccupate,
altri, come Greenspan, hanno insistito
nel dire che questi titoli svolgevano un ruolo
importante nella distribuzione dei rischi.
Dopo il 2004, un’altra riforma ha ulteriormente
aumentato la posta in gioco.
La Security exchange commission, (Sec),
l’autorità di controllo della Borsa americana,
stringeva un patto con il diavolo per
estendere la sua giurisdizione alle società
che controllano le banche d’investimento:
accettava di annullare il limite massimo di
12 a 1 stabilito per il rapporto tra debito e
capitale, consentendo così alle banche di rischiare
quanto volevano.
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ICP - Milano |
A quel punto, la Sec non aveva più gli
strumenti per giudicare la solvibilità delle
banche, e doveva affidarsi a modelli incredibilmente
complessi, ai quali venne dato il
nome decisamente appropriato di “simulazioni
Montecarlo”.
Poi il prezzo delle case,
che tra il 2001 e il 2005 era salito alle stelle,
scese improvvisamente. La bolla scoppiava,
e tutte le tessere del domino cadevano.
Ora gli americani si disperano per i costi di
operazioni di salvataggio che sembrano
premiare proprio l’avidità all’origine del
disastro.
A dirla tutta. Anche se non è ancora chiaro
che vantaggi avrà l’americano medio
dall’intervento del Governo, è evidente che il capitalismo disinvolto degli ultimi quindici-
vent’anni si sta trasformando, se non
in qualcosa di totalmente nuovo, sicuramente
in una versione più moderata. Tanto
per cominciare, le banche d’investimento
non potranno essere più quelle di una
volta: «Penso che torneremo alle nostre attività
di base», hanno chiarito i responsabili
di Morgan Stanley, «con più consulenza
e meno operazioni rischiose: gli investimenti
dipenderanno dalle esigenze dei
clienti e non da quelle degli intermediari; le
decisioni saranno più strategiche che finanziarie».
Anche il complesso mercato dei derivati dovrà
essere regolato. Negli Stati Uniti si invoca
la necessità di una stanza di compensazione
che renda più trasparenti tutte le
transazioni. In Europa ci sono già iniziative
per regolamentare i derivati e gli altri giochi
di prestigio finanziari. Il ministro delle Finanze
tedesco ha persino lanciato una campagna
per “civilizzare” i mercati finanziari.È il caso, però, di ricordare che ad avventurarsi
in alcune delle operazioni più rischiose
degli ultimi tempi sono state proprio le banche
tedesche regolamentate dallo Stato, e
non i colossi di Wall Street.
Un maggior controllo pubblico non garantisce
che tutto fili liscio: è necessario che le
regole siano concepite e applicate bene, e
che siano, in una certa misura, flessibili. Bisogna
anche chiedersi se i politici possano
davvero impedire agli investimenti di ricavare
utili del 25 per cento. È davvero possibile
imporre limiti al capitalismo? O il suo
lato più selvaggio continuerà a riemergere
dopo ogni periodo di crisi? È probabile che
i gestori degli hedge fund, che pure hanno
divorato ricchezze in quantità enormi, tornino
alla carica?
Intanto le potenze economiche emergenti
sono stracolme di contanti: le Banche centrali
asiatiche hanno riserve per oltre 4.000
miliardi di dollari. Questa crescente ricchezzaè stata una delle molle principali delle innovazioni
finanziarie degli ultimi anni. Nel
tentativo di accaparrarsi tutti quei soldi,
molti cercheranno di aggirare le nuove regole.
Gli investitori e tutti quelli che sono al
loro servizio inventeranno trucchi sempre
più fantasiosi. Una bella fetta del nuovo denaro
finirà indubbiamente nei mercati occidentali.
Aumenteranno il potere e l’influenza
politica dei Paesi emergenti, ma questo
non segnerà la fine del sistema liberista.
Sebbene la Cina abbia cercato di sfruttare
la crisi di Wall Street per reclamizzare le
virtù del suo capitalismo autoritario, quest’anno
il “modello cinese” ha prodotto
perdite del 66 per cento, insieme con una
notevole distruzione di ricchezza a danno
della gente comune.
Nella nuova era economica il mondo potrebbe
finire per somigliare sempre di più
all’Europa. Torneremo ad essere un po’ più
risparmiatori e un po’ meno investitori, e
per qualche tempo il credito sarà concesso
con maggiore oculatezza. Poi, a un certo
punto, i soldi riprenderanno a circolare con
maggior velocità. Si formeranno nuove bolle.
In quale settore (quello dell’energia? della
tecnologia verde? dello spazio?) nessuno
lo può prevedere.
Ma nonostante i salvataggi e le nuove regole,
succederà di nuovo. E quando succederà,
tutti si saranno dimenticati che nel
2008 il mondo ha rischiato di finire.
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