Dicembre 2008

DALLA GRANDE CRISI IL NUOVO SOGNO AMERICANO

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UN ROOSEVELT NERO?

a.b.

 

 
 

 

 

Se poi Obama si rivelerà all'altezza delle sue idee coraggiose allora avremo vinto davvero tutti quanti. E il Sogno Americano diventerà un Sogno Planetario.

 

Il titolo più intrigante lo ha inventato El Mundo: “L’America cambia colore”. L’America
che si è sottratta alla trappola etnicistica e che non ha issato la bandiera della negritudine. L’America dove nulla è impossibile. L’America che farà ancora la Storia del mondo.
Il lungo autunno americano del 2008 ha registrato la più partecipata delle tornate elettorali
dal trionfo di Lyndon B. Johnson nel 1964, quando si recò alle urne il 70 per cento degli aventi diritto al voto. Nell’eterno pendolo tra i due princìpi fondanti degli Stati Uniti – l’opportunità che premia i più audaci, l’uguaglianza che protegge i più deboli – è l’ora di quest’ultimo. Sono in molti a sentirsi deboli. Obama incarna questa stagione. La cultura della speranza, tessuto connettivo che tiene insieme opportunità e uguaglianza e che si chiama Sogno Americano, ha ricevuto da mesi di crisi finanziaria colpi pesanti, e va dunque ricostituita.
Per farlo, l’America dovrà pensare molto più a se stessa, rischiando di ripiegarsi e di diventare, al di là della retorica, meno incline all’azione, più trincerata commercialmente, forse disposta a non congelare l’epoca delle grandi aperture dei traffici, ma a patto di essere stimolata e costruttivamente contrastata da altri. Quest’America avrà troppo da fare al proprio interno per dedicarsi davvero alla scena internazionale, emergenze a parte. Troppe promesse sono state fatte dai democratici, e mai tante come nel corso delle ultime elezioni, dopo quarant’anni di appoggi dei sindacati, da tempo protezionisti. Gli Usa sono molto deindustrializzati, hanno nel settore manifatturiero 13 milioni di lavoratori. Produttivi, ma pochi: meno di quanti ne contino insieme Germania e Italia, che però hanno
la metà della popolazione americana.


Sconfitta l’Urss, ancora fuori gioco la Federazione Russa, a riprova che un’economia fondata solo sul petrolio non può reggere in presenza di una crisi generale, il mondo non è sempre diventato più americano. Il senso di onnipotenza yankee è smarrito. E il Paese va risanato: finanza, economia, società; ma anche ponti, strade, ferrovie, energia, reti di comunicazione... Dunque, si è conclusa una lunga era repubblicana, inaugurata da Nixon nel 1968, e impersonata al meglio da Reagan. Il pendolo americano si è spostato quasi naturalmente sull’altro quadrante. Per questo era patetico il tentativo di alcuni politici nostrani di proclamarsi vincitori al traino di Obama. Del resto, era già privo di senso dibattere furiosamente su chi – tra Obama e McCain – potesse essere il miglior Presidente, se l’innovativo, carismatico, affascinante erede di Kennedy, oppure il saggio, riflessivo, eroico discepolo di Bush.Nessun mediocre e nessun marxista diventa Presidente americano; e anche quando la spunta un candidato di piccolo cabotaggio, com’è successo con Jimmy Carter, il secondo mandato non lo vince. Negli ultimi quattro
decenni gli Usa hanno avuto un solo altro democratico rieletto, malgrado il noto scandalo e il tentato impeachement, Bill Clinton, che è stato un notevole statista, toccato anche dalla fortuna di un’età dell’oro dell’economia statunitense.
Ma Clinton è stato, e resta, un uomo di centro, un moderato, che, anche se gli è toccato schierarsi dalla sua parte, in realtà detesta Obama perché sa che è un protezionista selvaggio, che è contrario alla costruzione di nuove centrali nucleari, che non è amato da molti economisti (il Premio Nobel Edward Prescott non ha accettato di lavorare per lui, indignato per un programma che può rendere gli Stati Uniti«simili alla depressa Europa»).
In ultima analisi, quella del 2009-2010 potrà essere un’iniezione di denaro pubblico superiore, in proporzione, a quella del “New Deal” di Roosevelt, che fu molto attivo, ma
sostanzialmente attento alla spesa. Con tutte le conseguenze per inflazione e dollaro. Stabilito che l’America venuta fuori dalle elezioni ha bisogno di una scossa, questa potrebbe essere positiva sul breve-medio periodo per i mercati, storicamente cresciuti di più con i democratici che con i repubblicani; ma sul lungo periodo occorrerà l’azione di una classe dirigente capace di far rientrare nei ranghi la spesa, se si vuole evitare che il costo ultimo sia estremamente pesante.
E intanto i nuovi tempi si caricano di attese messianiche, speculari alle speranze e alle certezze anche visionarie che caratterizzavano i giorni immediatamente precedenti la consultazione elettorale, riassunte in tono scanzonato in una sequela di ipotesi un po’ semiserie e un altro poco irriverenti: se vince Obama, la Grande Crisi finirà; se vince Obama, ci sarà sempre il sole, e comunque la pioggia cadrà più lieve; se vince Obama, in Italia avremo il maestro veramente unico; se vince Obama, Colaninno comprerà la Lufthansa; se vince Obama, i banchieri svizzeri pagheranno i mutui dei cittadini europei; se vince Obama, Sabina Guzzanti ricomincerà a far ridere, ma solo in inglese, e Carla Bruni acquisterà una mansarda accanto alla Casa Bianca, casomai; se vince Obama, ogni impresa diventerà possibile, perfino poter prendere un treno veloce in partenza dal Sud d’Italia; se vince Obama, i petrolieri faranno la raccolta differenziata e le mafie diventeranno confraternite religiose senza fini di lucro; se vince Obama, la Cina sarà conquistata dal Tibet e gli africani ridurranno a una mezza dozzina il numero sterminato delle loro bellicose tribù; se vince Obama, i ghiacciai ghiacceranno, il buco nell’ozono si tapperà da solo e l’effetto-serra svanirà nello spazio di un mattino, trasformandosi in un inebriante effetto-primavera...
Ha vinto Obama, e non accadrà nulla di tutto questo, lo sappiamo bene. Eppure, sarà come per lo sbarco sulla Luna: le vite degli uomini saranno rimaste ferme, ma l’umanità
avrà compiuto un passo avanti. Se poi, diciamo in un tempo ragionevole, Obama si rivelerà all’altezza della sua faccia simpatica e delle sue idee coraggiose e perfino spregiudicate, e sarà costretto dalle aspettative degli altri a trasformarsi nel primo statista del secolo, allora avremo vinto davvero tutti quanti. E il Sogno Americano diventerà – miracolosamente – un Sogno Planetario.

   
   
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