Fiducia meritata.
Anche in questi
mesi drammatici,
l'Unione è in
grado di esibire
risultati ai quali
neppure il
più cocciuto degli
antieuropeisti
potrebbe negare
un applauso.
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In questo tempestoso finale del 2008 in Europa
qualche chiaro segnale di speranza sopravvive:
non solo a beneficio del quasi
mezzo miliardo di cittadini dell’Unione, ma
anche del resto del mondo.
Se si considera con quale spirito l’anno era
iniziato sembra poco, pochissimo. È molto,
quasi miracoloso se si mettono in conto i
disastrosi momenti che abbiamo attraversato
nel corso del 2008 e che ancora, oltretutto,
non abbiamo completamente superato.
A gennaio, come abbiamo precedentemente
ricordato in questo nostro spazio, voci autorevoli – ad esempio quella del Presidente
della Commissione europea, il portoghese
José Manuel Barroso – ci avevano detto che
il 2008 partiva con molte possibilità di guadagnarsi
il titolo di anno dell’entusiasmo
europeo.
Purtroppo, nei mesi immediatamente successivi,
questo trionfale obiettivo era improvvisamente
e irreversibilmente scomparso
dagli schermi delle nostre prospettive.
E mentre una crisi forse senza precedenti
prima travolgeva la maggiore e più forte
economia del mondo, quella americana,
poi varcava gli oceani e contagiava ogni
parte del pianeta, si era arrivati a giorni in
cui era sembrato difficile salvare perfino
la speranza.
Meno male che negli ultimi mesi dell’anno
almeno la speranza è sopravvissuta. Grazie
all’Europa, alla forza economica che
essa è riuscita a mettere in campo a tutela
degli interessi dei suoi cittadini e producendo
benefici di cui si avvertono le positive
conseguenze pure in altre parti del
mondo. È accaduto e accade senza che nessuno –
nelle istituzioni dell’Unione, nei governi nazionali
europei, tra gli stessi cittadini – si sia
nascosto e si nasconda la gravità dei problemi
che ha davanti, senza cioè che nessuno
s’imponga di vedere rosa quello che è nero
o grigio scuro, o liquidi con infastidite alzate
di spalle i giudizi di chi definisce l’attuale
crisi come peggiore di quella del ‘29, o addirittura – come ha fatto recentemente il ministro
degli Interni tedesco, Schäeuble – vede
non impossibili nefasti seguiti politici allo
tsunami che fa scricchiolare o addirittura
travolge alcuni dei maggiori colossi della finanza
internazionale: proprio come avvenne
dopo il ‘29, quando tra le conseguenze
del crollo di Wall Street ci fu l’avvento al
potere di Hitler.
Di tutto questo pochi, pochissimi, sempre
meno anche in Europa ignorano l’esistenza
e la gravità. E tuttavia non pochi, anzi molti
con sollievo prendono nota del fatto che
da noi, nell’Unione dei 27 Paesi, alcuni segnali
di speranza in un non lontano superamento
della crisi tornano ad essere visibili.
Non solo. Questi segnali sembrano ben
piantati: grazie alla forza dell’euro, grazie
inoltre alle difese che le istituzioni europee e i governi nazionali stanno allestendo per assicurare la salvezza delle 8 mila banche
sparse sul territorio dell’Unione dalle micidiali
conseguenze del contagio americano; e
grazie anche alla fiducia del mondo economico
e degli stessi cittadini che, nonostante
il momento difficile, l’Europa è in grado di
mettere in cassa e cominciare a usare per favorire
il successo delle iniziative già in atto
o in preparazione.
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La sede della Banca Centrale Europea,
a Francoforte sul Meno, nella Willy Brandt Platz. - Archivio BPP |
Tanto più perché questa fiducia, firmata soprattutto Europa utile, cioè Europa al diretto
servizio dei cittadini, appare oggi più che
mai ben meritata, dato che anche in questi
giorni e mesi drammatici l’Unione è in grado
di esibire risultati ai quali neppure il più
cocciuto degli antieuropeisti potrebbe negare
un applauso. Com’è il caso di quanto ha
dato e dà la politica di coesione di cui – proprio
nel pieno della grande crisi – si è avuta
l’occasione di festeggiare i primi vent’anni. «La politica di coesione – ha detto José Manuel
Barroso, presidente della Commissione
europea – è stata e continua ad essere il più
visibile e concreto esempio dell’utilità dell’iniziativa
dell’Unione per i suoi cittadini». E
a confermare la validità dell’elogio le fonti
della Commissione hanno fatto seguire un
ricco pacchetto di dati. Grazie ai fondi di
coesione nelle regioni dell’Unione definite“della convergenza” (sono quelle in cui il
PIL non supera il 75% della media comunitaria)
si è avuto un netto miglioramento delle
condizioni di vita dei cittadini.
L’andamento del PIL pro capite ha registrato,
in queste regioni, un incremento del
50 per cento più rapido di quello avutosi
nelle altre parti dell’Unione. Nelle stesse
zone la disoccupazione è scesa del 3 per
cento. E non sono mancati casi in cui, grazie
ai fondi di coesione, l’immagine economica
di alcuni Paesi è stata letteralmente
rivoluzionata.
In Paesi dove prevaleva la povertà o l’arretratezzaè improvvisamente comparsa la prosperità
o comunque si sono create zone di
benessere prima impensabili. Il caso limite,
di cui si è parlato e riparlato, soprattutto in
occasione dell’esito negativo del referendum
sul progetto di Costituzione europea, è stato
quello dell’Irlanda dove, grazie al buon uso
dei fondi di coesione, il PIL è passato dal 69
per cento al 123 per cento della media comunitaria.
Di recente il miracolo dell’opulenza
irlandese ha subìto qualche scricchiolio, ma
evidentemente gli interventi difensivi del governo
di Dublino hanno ridotto al minimo le
preoccupazioni che si stavano diffondendo
tra i cittadini. E non solo tra loro. Tanto è
vero che, quando la crisi americana ha raggiunto
la Gran Bretagna e messo seriamente
a rischio importanti banche di quel Paese,buona parte dei loro clienti ha ritirato i depositi e li ha trasferiti – o ha tentato di farlo – dove un secolo e mezzo fa una grande carestia
azzerò la produzione di patate e provocò
la morte per fame di milioni di contadini,
cioè, appunto, l’Irlanda.
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ICP - Milano |
Ragguardevole anche il balzo in avanti che i
fondi di coesione hanno consentito alla Grecia.
In questo Paese, il PIL è balzato dal 73
all’89 per cento della media comunitaria.
Per quanto riguarda la potenza dei cambiamenti
che hanno provocato i fondi di coesione
nelle “regioni della convergenza” – divenute
in taluni casi regioni della “ex convergenza”!
– meritano grande attenzione anche
le straordinarie conseguenze che tali
fondi hanno provocato nei flussi migratori
dai Paesi economicamente più disagiati a
quelli che godono di un diffuso benessere.
Dal 2004 (anno dell’allargamento dell’Europa
comunitaria da 15 a 25 membri) fino a
tutto il 2005 e buona parte del 2006 affluirono
nella sola Gran Bretagna un milione circa
di uomini e donne provenienti dall’Europa
centro-orientale, tutti in cerca di un lavoro
e di condizioni di vita più decenti di quelle
che potevano trovare nel loro Paese.
Oggi il loro numero si è ridotto della metà.
Circa 500 mila hanno fatto ritorno nei loro
Paesi, mentre la quantità dei nuovi arrivi
dall’Europa centro-orientale in Gran Bretagna
si va riducendo del 15 per cento l’anno.
Accade, a quanto si è appreso da un’inchiesta
del settimanale americano Time, dopo
che, ad esempio, in Polonia, dal 2004 il livello
medio delle retribuzioni è salito del 7,7 per
cento, il numero dei disoccupati è sceso dal
14 al 10 per cento e il cambio della valuta nazionale
(lo zloty) con la sterlina inglese è notevolmente
variato (7 zloty per una sterlina
nel 2004, 4 zloty per una sterlina oggi). Per
effetto della crescita economica, resa possibile
dai fondi di coesione, la Polonia non è più
il Paese che, per le sue condizioni di arretratezza,
incoraggiava la fuga di molti, specie
tra i giovani. Come altre parti dell’Europa
centro-orientale, sta lavorando sodo, con determinazione
e orgoglio, per avvicinarsi al
benessere. Grazie soprattutto alle iniezioni di
energia ricevute dai fondi di coesione.
E non sono state solo le “regioni della convergenza”
a trarre grandi benefici dai fondi
di coesione.
Un’ampia e dettagliata relazione
pubblicata dalla Commissione europea
documenta che ovunque nell’Unione questi
fondi hanno favorito una potenziale crescita
nel medio termine di cui sono stati particolarmente
visibili i risultati nei servizi finanziari
e in quelli legati alle imprese, al
commercio, ai trasporti, alle comunicazioni,
al settore manifatturiero ad alta e media
tecnologia. José Manuel Barroso ha avuto dunque solide ragioni per dichiarare, in
quella sorta di proclamazione di vittoria
che è stata la cerimonia per i vent’anni della
politica di coesione, che i due obiettivi fondamentali
di tale politica, «la crescita e l’equità,
sono stati raggiunti».
Ci sono elementi per prevedere – e anche
questo consolida la speranza nel ruolo positivo
che l’Unione può avere nella difesa
contro i poderosi attacchi della crisi mondiale – che tali risultati si ripetano nei prossimi
anni. E per facilitare questo obiettivo
gli esperti sono al lavoro per affinare la
strategia della politica di coesione, per renderla
più produttiva.
Nel primo ventennio di questa politica il 25
per cento dei fondi disponibili è stato destinato
alla ricerca e all’innovazione e sono state
particolarmente favorite alcune attività
imprenditoriali con, in prima linea, le Piccole
e Medie Imprese, che vengono ritenute il settore
più produttivo e dinamico del panorama
industriale. L’investimento ha dato ottimi
frutti e si pensa perciò di rafforzarlo.
Nel solo periodo 2007-2013 la politica di
coesione destinerà alle PMI 27 miliardi di
euro, in gran parte (esattamente nella misura
del 65 per cento) da spendere per gli investimenti
tecnologici e in misura apprezzabile
(il 14 per cento) per l’arricchimento delle attrezzature
informatiche mentre si coglierà
l’occasione dell’attuazione del programma
di interventi in questo settore per incoraggiare
nuove iniziative, soprattutto tra i giovani:
offrendo tra l’altro, con il programma“PMI friendly”, crediti fino a 25 mila euro a
chi vorrebbe dar vita a una nuova piccola
impresa, ma non dispone dei mezzi necessari
per sostenere le spese di avvio.
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Particolare della “Casa de la Panaderia”,
nella Plaza Mayor di Madrid. Da questo palazzo, per secoli, i reali spagnoli hanno assistito alle corride, alle feste e alle
esecuzioni dei condannati. - Archivio BPP |
È interessante notare che queste nuove strategie
nascono e si avviano parallelamente a
indirizzi che fanno parte degli interventi anticrisi
che i governi dell’Unione hanno già
concordato nelle riunioni del G4, dell’Eurogruppo
e del Consiglio Europeo di ottobre:
tra l’altro, il megaprogetto per il salvataggio
delle banche e le nuove misure per sostenere
le PMI, più che mai viste come fattori
decisivi di una controffensiva europea
contro l’epidemia che è dilagata e continua
a dilagare dagli Stati Uniti.
Nei prossimi mesi e anni dalla politica di
coesione potrebbero uscire quindi altri importanti
contributi al successo della battaglia
che l’Europa dei Ventisette sta affrontando
in un clima di buona collaborazione
tra i suoi membri – per ora non messa in
serie difficoltà neppure dai contrasti sull’attuazione
dei programmi a tutela dell’ambiente – per liberare se stessa, e il resto
del mondo, dall’incubo del disastro
economico.
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