Dicembre 2008

Poesie d’amore

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Anonimi canti
aurorali

Ada Provenzano
Giorgio Franciosa
Elisa Minerva

 

 
 

 

 

Nel caldo “sudore del sole’ la “Venere di Frias’, lamina d'oro lavorata a sbalzo, proveniente dalla costa settentrionale del Perù (arte incaica, Cultura Vicùs).

 

Secondo Alfonso Berardinelli, poesia è singolarità, evidenza, precisione. È flusso ritmico. Ma è anche amore del mondo fisico. Dà corpo a idee pure. Poesia è verità, è gioco, allucinazione, suono inalterato. Induce sogni, guarisce dai sogni. È invenzione di forme, o riprende forme tramandate da tempi anche immemorabili. È condensazione di significati. È rarefazione del significato.È associazione fonica, densità semantica. Sospende la comunicazione, rende più efficace la comunicazione. Spezza le convenzioni, preserva le convenzioni. Innova. Sorprende. Echeggia e ripete...
Fu così dall’inizio, dai tempi albali in cui non ci si chiedeva – non ci si poteva chiedere – che cosa fosse la poesia. Fu così anche in seguito, quando le teorie estetiche (soprattutto
quelle novecentesche), accentuando l’idea simbolista di liricità, fecero della poesia il più ermetico e ascetico dei generi: il meno comunicativo, il più depurato da elementi narrativi, riflessivi, emotivi, rappresentativi. Tornare alle radici della poesia, dunque, significa riattraversare o sorvolare concettualmente l’intera storia e geografia delle culture umane, ma vuol dire anche risalire oltre le regole del flusso ritmico, dell’invenzione delle forme astratte, della rarefazione del significato, e far capo a quella intuizione lirica (non nell’accezione crociana dei termini) che fu alla radice del canto aurorale, libero e naturalmente liberato da vincoli e codici teoretici. Furono voci e parole che manifestarono
un’eccellente capacità di far sentire più umana l’immagine del vivere, dell’amare, del comunicare; che si espressero in una sorta di “sovralingua” universale, cioè con la lingua del sentire, con la lingua del pensiero che simultaneamente si articolava e sviluppava, come per miracolo, in tutte le latitudini. Una sovralingua materna. Una sovralingua evidentemente mai del tutto rimossa, e sempre riemergente, se è vero, com’è vero, che secoli dopo Aleksandr Puskin ha potuto scrivere che «il canto […] non ha catene / ed è davvero come il vento».

Carlo Stasi

Precolombiani. Aztechi

Io cesello la giada, io colo l’oro nell’anfora: /
ecco il mio canto! / Io incastono smeraldi: /
ecco il mio canto! / Io, il poeta, signore del
canto, / suono il mio tamburo... // Io, il cantore,
ho composto un poema / tornito come lo
smeraldo prezioso, / come lo smeraldo splendente.
/ Io piego il mio canto al ritmo / della
voce armoniosa dello tzinitzcan*, / al tintinnio
dei campanelli, / al tintinnio dei campanelli
d’oro. / Così sgorga il mio canto profumato,
/ simile a un turchese cristallino. / Il
mio canto fiorisce in primavera.


Precolombiani. Inca

O Creatore, / beato Creatore, sii misericordioso;

/ abbi pietà degli uomini, dei tuoi uomini
e servitori / che hai creato e a cui ordini
di esistere. / Abbi pietà di loro; / che siano
sempre sani e salvi / con i loro figli e tutta la
loro discendenza; / che vadano per la retta
via senza pensare al male; / che vivano a lungo
e non muoiano giovani; / che mangino e
vivano in pace.


Precolombiani. Araucani

Bella come l’argento era il mio amore. Per

questo ho tanta pena. Soffre molto il mio
cuore. Perché il sole sarà sorto dove gli altri
giorni tramonta? Perché mai tramontò là dove
sorge? Così muterai il tuo cuore, amor
mio.


Precolombiani. Indiani Nord America

Svegliati fiore della foresta, uccello / della

prateria che vaghi per il cielo. / Svegliati!
Svegliati meraviglioso essere dagli occhi di
cerbiatto. / Quando tu mi guardi son pago:
come / i fiori che bevono rugiada… / Canta
il mio cuore quando tu mi sei vicina; è una /
fronda che danza, / danza dinnanzi allo Spirito
del Vento nella / luna di fragole… /
Guardami! Volgiti a me! Sangue del mio
cuore che batte. / La terra sorride – le acque
sorridono – perfino il / cielo di nubi sorride
– ma io, / io mi scordo come si fa a sorridere
quando tu non sei vicina. / Svegliati! Svegliati
amore mio.


Precolombiani. Pellerossa Lakota

Come il giorno esce dalla notte, / così io esco

a cercarti, / alza gli occhi e guarda colui / che
viene a te col giorno.


Precolombiani Sudamerica. Indiani Piaroa

La luna è per l’uomo / che aspetta, / il sole

per la canoa, / che risale il fiume. / L’acqua è
per tutti gli uomini della selva. / Ma la farfalla
rossa / è per Merìca. / Merìca è la fanciulla
che amo: / Merìca, che raccoglie la yuca /
e cuoce focacce di cassàve. / Merìca è luna,
sole, acqua, farfalle…


America del blues

Da quanto tempo, bambina, da quanto tempo /

se n’è andato quel treno della sera? / Da quanto
tempo? Mi chiedo; da quanto, quanto tempo?...
// Sento il sibilo del fischio ma non riesco
e vedere nessun treno / e giù in fondo al cuore
ho un dolore e una pena. / Per quanto tempo?
Mi chiedo; per quanto, quanto tempo?... // Se
potessi ululare come uno sciacallo di montagna
/ salirei sulla montagna e
richiamerei indietro la mia bambina. / Per
quanto tempo? Per quanto, quanto tempo?... //
La mia mente comincia a vaneggiare, mi sento
così male / pensando alla malasorte che mi è
toccata / per tanto tempo, per tanto, tanto
tempo…




Africa Orientale. Mulea-Rwanda

Oh, carissima, lasciami, io vado via! / Ah!
Taci, cara, sii buona! / Figlia di mia madre,
lasciami, vado via! / Figlia di mia madre, ah!
Non gridare… // Ah! Cara, vai dove le altre
sono già andate. / Figlia di mia madre, abituati!
/ Ah! Taci, bambina, lascia il dolore. //
Figlia di mia madre, lasciami, vado via!


Africa Orientale. Galla

Ciò che piove, è Dio; / la nuvola è solo

un’ombra. / Ciò che piange è il cuore; / le lacrime
sono solo un’ombra. // L’oca è felice /
perché non affoga. / Tu sei un Dio, è vero, / il
cui cuore non conosce nostalgia.


Africa Sud-occidentale

…Bel marito, / ascolta! Un giovenco selvatico
è passato! / Alzati dunque, va’ ad appostarti /
nella capanna sull’acqua, / e abbatti la giraffa
/ quando va all’abbeveratoio! / La sua pelle è
buona a fare scarpe, – senza scarpe debbo
stare, / e chi me le dovrebbe dare, / se non
vuoi andare a caccia / per soddisfare i miei bisogni?
// O padre del mio bambino, / nero come
le tortore sul collo, – / sul sentiero, che il
cacciatore / batte, ormai non andrai più! / Oh,
non eri un cattivo ragazzo! / No, eri abile e
buono! / Il carniere era sempre colmo di selvaggina.
/ Perché adesso sei così immobile?


Ultime voci di Grecia


Io gloriosa qui giaccio sepolta, perché son colei

/ che all’amore d’un solo uomo sciolsi il
mio cinto.


Ultime voci di Grecia

Oh, se fossi una rosa porporina! / Fra due seni
starei, rosa fra rose.


Prime voci di Roma


Giulive le vedemmo presso il fiume / scherzar

tra loro e con le brocche attingere / acqua dal
fonte.


Prime voci di Roma


Come se ballasse, a turno / si abbandona, ed

è di ognun: / cenni a questo, occhietto a quello,
/ uno stringe, un altro ha in cuor: / mentre
intesa è all’un la mano / a un altro il piede
preme: / mostra ad un l’anello e a un altro /
fa un bacin di lontan: / canta a due con uno e
a un altro / sceglie intanto i biscottin…

 

Una coppia di devoti
abbracciati, proveniente dal Tempio di Inanna, a Nippur (Iraq), III millennio a.C. Museo di Baghdad. - Archivio BPP
Una coppia di devoti abbracciati, proveniente dal Tempio di Inanna, a Nippur (Iraq), III millennio a.C. Museo di Baghdad. - Archivio BPP




 

 

 

 

 

 

Prime voci di Roma

Cantiamo nuova primavera: il mondo / in primavera

è nato. / Stagion d’amori è questa, e
fa giocondo / di nozze il gregge alato. / La
pioggia maritale il bosco ormai / di nuove
fronde ornò. / Ami domani chi non amò
giammai / domani ami chi amò…


Età di Mezzo. Carmina Burana

O merciaio, dammi del colore / per dipinger

di rosso le mie guance, / e costringere all’amore,
/ lo voglia oppure no, / ogni giovincello.
/ Guardami, orsù, ragazzo, / per te è il
mio favore! / Ama, o casto giovane, / le fanciulle
leggiadre / e dimostra che il tuo grande
cuore / tutti sovrasta con l’amore… / Per fortuna
il mondo va così, / ognun si dica lieto. /
Io voglio esser tua / e col tuo bene sempre felice.
/ Guardami, orsù, ragazzo, / per te è il
mio favore!


Età di Mezzo. Trovatori provenzali

Fa’ buona guardia, o guardia del castello, /
poi che tengo con me ciò ch’è più bello / e
buono, fino all’alba… // Tu, amico, veglia e
fammi buona scorta. / Ora ho ciò che mi piace
e mi conforta, / ma mi cruccio dell’alba, //
e il danno grande che il giorno ci porta / più
mi sconforta / che l’alba, ahimè, che l’alba!...
// O donna, addio, non posso più restare; /
malvolentieri mi conviene andare; / ma quanto
grave è l’alba // che così lesta già vedo
spuntare! / Ci dobbiamo separare ! / Questo
fa l’alba, ahi, l’alba !


Età di mezzo. Trovatori provenzali

Allorché l’usignol si lagna / notte e dì con la

sua compagna / io con la mia sto alla campagna
/ sotto il fiore, / finché il terrier che conta
le ore / grida: amorosi! Andate attorno, /
ch’io vedo l’alba e il chiaro giorno!


Spagna delle origini

Il mio cuore mi fugge via. / Ahi, mio Dio, mi

tornerà? / È tanto il mio dolore per l’amato! /
È ammalato, quando guarirà?


Spagna delle origini

Ditemi voi, sorelline, / come conterrò il mio

amore? / Non potrò vivere senza l’amato! /
Andrò volando a cercarlo.


Poemi anglosassoni. XI secolo

Colui che incise il legno ora mi spinge / a

chiedere che tu, riccamente adornata / con
abiti e gioielli, ricordi i voti che un tempo /
insieme pronunciaste, il tempo / della vita comune
nella stessa casa / e sulla stessa terra,
felicemente amandovi. La lotta / lo allontanò
dal suo popolo. // Ora mi ha chiesto di dirti
parole, con gioia, / spingendoti a prendere vela
sul mare / appena udito il canto del triste
cucùlo / nel bosco ai piedi del monte. / Dopo
il suo canto nessun uomo vivo / possa distrarti
dal viaggio, ti sbarri la via. / Prendi la vela
sui flutti dell’oceano, la casa del gabbiano, /
affrettati alla nave, così che a sud sul sentiero
del mare / possa incontrare il principe che
con ansia ti aspetta. / Come mi disse, gli sembra
non vi sia / gioia più grande al mondo, a
lui concessa / da Dio Onnipotente, di incontrarti
/ di nuovo e offrire in dono tesori preziosi
/ e anelli d’oro sbalzati...

Medioevo tedesco. XII secolo

Tu sei mio, io son tua, / di ciò devi esser

convinto. / Sei chiuso nel mio cuore, / perduta
è la chiavetta. / Tu devi sempre rimanervi
dentro.


Medioevo belga. XIV secolo

… Allora subito nella stanza andò / e delle

vesti più ricche s’ornò. // Che cosa mise al
corpo? / Una camiciola più fine che seta. /
Che cosa mise al suo busto? / Esso era teso
per i nastri d’oro. / Che cosa mise alla sua
gonna rossa? / Ad ogni punto un bottone d’oro.
/ Che cosa mise al suo mantello? / Ad ogni
punto una perla fine. / Che cosa mise alle sue
bionde chiome? / Una corona d’oro che pesava
tanto. // Alla scuderia di suo padre andò /
e dei corsieri scelse il migliore. / Salì a cavallo
del bel corsiero / e con canti e trilli cavalcò
nel bosco...


Incantesimi medioevali scandinavi
XII-XIII secolo

… Ed essa cantò una canzone, / una canzone
sgorgata dal cuore; / si fermò allora il
torrente / che precipite soleva fluire. // Si
fermò allora il torrente / che precipite soleva
fluire / e la cerva di pelo bruno il piede, / dimentica
della fuga, ritenne. // Mi levai allora
in piedi / sorreggendomi alla spada; / a
vicenda le donne degli elfi / per stregarmi
danzarono intorno. // Non fosse stata benigna
la sorte, / non avesse cantato quel gallo,
/ tra quei monti avrei pernottato, / in balia
delle donne degli elfi. // La vidi allora per la
prima volta...


Incantesimi medioevali scandinavi
XII-XIII secolo

… Tanto mi piace esserti accanto / come star
fuori nel chiaro sole; / quando è il momento di
separarci, / mi si lacerano l’anima e il cuore...


Incantesimi medioevali finnici
Dal “Kalevala”

… Ed io, sventurata, / la mia figlia ho ricercata
/ per i boschi, come un’orsa, / come lontra
per le selve; / per un giorno, per due giorni
/ per tre giorni la cercai: / al finire del terzo
giorno, / dopo lungo tempo alfine, / montai
sopra un alto colle, / d’un gran poggio sulla
cima; / di lassù chiamai la figlia, / dolorosa,
la perduta; / mi risposer le montagne, / risuonarono
le lande: / “Non chiamare più tua figlia,
/ non chiamare, non gridare ! / Mai più
torna, in alcun tempo, / non vedrà costei mai
più / della madre la casetta, / del suo babbo
la barchetta...”.


Rinascimento spagnolo.
Dal “Romancero”

Mattino di San Giovanni – mattinata di bellezza,
/ quando dame e giovanotti – vanno a
udir messa maggiore. / Ecco, va la mia signora
– che è fra tutte la migliore, / veste gonna
sopra gonna – un bel mantello cangiante, /
camicia con oro e perle – ricamata sul colletto.
/ Sulla sua bocca bella – porta un poco di
rossetto / sopra il suo viso bianco – un pochino
di belletto / e sui suoi occhietti azzurri –
solo un po’ di carboncino. / Così entra nella
chiesa – rilucendo come il sole...


Canti popolari. Grecia

Gorgheggiate i miei canti, usignoli, / e lodate

la donna mia, voi che avete dolce voce: / ditelo
chiaro lo spasimo del mio cuore, / e gli affanni
che soffro per lei: / e non lasciatela, se
non muti pensiero. / Non prometta compassione,
non mi compianga, / rimanete, dolci
usignoli, finché la vediate piangere, / dolorosamente
parlarvi, e dirvi che m’ama. / Allora
volando verrete a dirmi ogni cosa, / che è il
tempo della gioia, che finita è la mia servitù.


Canti popolari. Albania

Mi trovai, compagne, all’alba / in vetta a un

monte: / avida, compagne, bevvi / l’acqua di
fonte; / e mangiai le cime tenere / dell’erba in
fiore; / e dormii lieta nel manto / del mio pastore;
/ e gioii come un agnello / nel buon tepore.


Canti popolari. Romania

… E se tu, se tu vedrai, e se tu incontrerai /

una piccola vecchia madre / dalla cintura di
lana, / con le lacrime negli occhi, / in affanno
per i campi, / e che a tutti passa e chiede, / e
che a tutti passa e dice: / “Chi ha visto o conosciuto
/ un caro pastorello / così snello da
passare / per il cerchio di un anello?... // Se
tu, se tu la incontrerai, / abbi pietà di lei, /
dille la verità, / che io ho sposato la figlia di
un Re, / in un prato di paradiso. / Ma non
dirle che alle mie nozze / è caduta giù una
stella, / e che platani e abeti / mi sono stati
compagni nuziali / e preti le montagne / e musici
gli uccelli / a migliaia convenuti, / e fiaccole
le stelle.


Canti popolari. Universo slavo

“Ragazza, piccola violetta, / io t’amerei, ma

sei bambina ancora”. / “Amami, caro, diventerò
grande: / è piccolo il grano della perla /
ma si porta al collo matronale, / la quaglia è
un uccello minuscolo, / ma stanca cavallo e
cavaliere.


Canti popolari. Universo slavo

“Fanciulla, anima mia, / di che odorano i tuoi

seni, / di cotogna o d’arancio, / di basilico o
mirtillo?” // “Ragazzo, giuro per Dio / che
non odorano i miei seni / di cotogna o d’arancio,
/ di basilico o mirtillo, // ma della mia
anima giovane”.


Dalle terre sconfinate. Russia

Tutt’intorno alla vigna / gira una stradina,
/ una bella ragazzina / la percorre. / Una
giovane ragazza / dall’occhio moro, / orlata
ha la pelliccia / di pelli di castoro. /
Avanza, s’avvicina: / “Venite alla festa da
ballo”.


Canti della steppa. Tartari

…Come una pelle tesa / è, o cavallo sauro, la

tua suola; / come seta sfilacciata / è, mio sauro,
la tua criniera; / come la lunga chioma
delle fanciulle / è la tua coda, o mio alto
sauro! ...


Canti della steppa. Kirghisi

I capelli si pettinava con un pettine. / Come

la cavalla dei nobili / era snella di vita. /
Quando si guardava la bellezza del suo viso, /
era come il raggio della primavera. / Quando
si guardava il suo viso, / come farina di grano
/ liberata dal tritello, era bianco. / I suoi cigli
si piegavano come archi gialli. / Le sue palpebre
erano come perforate da frecce. / La sua
vita era pieghevole; / chi la guardava, non poteva
volgere gli occhi….


Canti della steppa. Tarantaschi

… Senza la mia amata, la mia vita, / duri

mill’anni, non sarebbe un giorno! / In confronto
al mio fuoco, / il fuoco dell’inferno non
è una scintilla! // Oggi la cavalla vive nel piacere,
– / domani il tesoro è dimenticato. /
L’uomo invece non scorda mai / la diletta di
un tempo passato. // I suoi neri sopraccigli
giocano, / fino alla cintura le fluttuano i capelli.
/ Non mettere piede fuori di casa! / O
gli amanti si sfidano a lottare.

 

Filippo Lippi,“Ritratto di amanti”,
1440-1444 ca.,Metropolitan Museum,New York. - Archivio BPP
Filippo Lippi,“Ritratto di amanti”, 1440-1444 ca.,Metropolitan Museum,New York. - Archivio BPP




 

 

 

 

 

 

 

 

 

Carovane del Mashrek. Deserto d’Arabia

Sono innamorato di te da dodici lune / ed è

vergognoso per te non dire: vieni! // Non è
giusto da parte tua disconoscermi. / Il tuo
amore è fuoco che crepita dentro di me, / e la
tua figura mi è sempre dinnanzi come un fantasma…
// O confidente delle mie pene, il tuo
abbigliamento è splendido, / tu sei la luce, i
tuoi occhi sono languidi, / la tua guancia, una
rosa sbocciata fra le montagne. // Innaffiata
dall’acqua, in gennaio, / nel terreno arido, è
diventata rigogliosa, / e di essa si nutrono le
gazzelle.


Il favoloso Oriente
Centosettima delle “Mille e una notte”

Quale pelle di vergine odora / come te, limpido
corpo / dove pose il ramo la sua curva /
e il suo profumo il gelsomino? / Quali occhi
di donna / come voi s’infuocano, pupille / in
cui versò il diamante la sua luce / e la notte
le sue stelle? / Quale bacio di femmina è più
fresco / del tuo bacio dolcissimo, bocca / più
aromatica del miele? / Oh, accarezzare i
tuoi capelli, / sulla tua pelle con la mia pelle,
/ fremere, per vedere / nei tuoi occhi sorgere
le stelle!


Veli del Bosforo

Somiglia forse il sole / allo splendido viso della mia bella? // Se
per un momento essa si svelasse / brucerebbe il mondo.


Echi dal Caucaso

Le georgiane dai volti / come la luna e il sole / costellano

di gioia il firmamento. // Le circasse somigliano
alla luna, / il corpo uno stelo / due rubini le labbra /
ebbrezza lo sguardo.

Graffito contemporaneo. Roma

Senza i tuoi capricci che farei!

 

Figura femminile
votiva proveniente dalla Nigeria (Yoruba).
Figura femminile votiva proveniente dalla Nigeria (Yoruba).

È stato scritto che prevalentemente la poesia si afferma nella modernità occidentale come una forma di ricerca essenziale, assoluta, del senso ultimo, ma anche del senso primo di tutto, una ricerca particolare: le sue strazianti domande e le sue traboccanti scoperte si esprimono per immagini, quindi emozionalmente: la poesia non è “emozioni” ma rivelazione, conoscenza che passa attraverso l’emozione. Da Leopardi a Bonnefoy, da Baudelaire a Hölderlin, i grandi poeti più consapevoli della nostra condizione di uomini moderni descrivono la poesia come una forza cosmica che resiste ed esiste nello spazio interiore, che dalla solitudine del poeta emana nella comunità del mondo, che dalla natura elementare, primordiale, misteriosa dell’essere si proietta verso la specifica realtà psicologica, storica, consapevolmente relativa all’uomo.
Quando noi leggiamo opere poetiche di civiltà primigenie (di indistinte – nel senso di non ancora disegnate dalle vicende della storia – regioni del pianeta), ma anche di civiltà concretamente definite e culturalmente identificabili – egizie, maya, babilonesi...– la questione si semplifica e si complica nello stesso tempo: da un lato vediamo la sontuosa narrazione di genesi in cui dal buio e dal mare sorgono piante e animali, e sfolgorano cieli trafitti da uccelli, con una poesia delle cose fuse nella natura divina; dall’altro questa poesia ci pare distante proprio nel suo trionfo, priva di quel vuoto e quel buio da cui noi pensiamo che in fondo essa sempre sgorghi.
E ci sembra – ma può essere anche soltanto una nostra sensazione unilaterale – che soprattutto nei versi anonimi (canti individuali, nella maggior parte dei casi; oppure manifestazioni rituali, iniziatiche, alcuni, di gruppi umani; o più semplicemente istintivi trasporti del cuore del cacciatore/raccoglitore) si può cogliere il significato primevo di una poiesis come esigenza di creare pensiero, pensiero del tutto nuovo, che faccia sentire vivo il mondo, meno drammatica la natura, meno desolata la solitudine, più abitati lo spazio e il tempo.
Con la poesia l’individuo che popola le caverne e le palafitte e accende il fuoco e scheggia la pietra; che poi evolve nel gruppo e nella tribù; che in seguito dipinge le pareti e incide i massi vallivi; che infine alza gli occhi e acquista la spiritualità; questo individuo coniuga la sua totalità fisica con quella onirica, percepisce la sua finitudine ma si esalta al cospetto di un tramonto infinito o di una quieta felicità sotto un cielo stellato.

Dario Carrozzini
Dario Carrozzini

Poi, col passare dei secoli (dei millenni?) qualcosa cambia. La poesia (da Omero e dai lirici greci, da Virgilio e dai classici latini) custodisce il sogno dell’oltretempo, ma nel brivido del tempo, perché resta pur sempre lingua umana, che attinge a fonti non umane. E forse la stessa poesia oggi, da Galilei e da Shakespeare in poi, vogliamo dire, cioè da quando il mondo è diventato grave e mensurabile, è la culla vivente, operante, generante di quel mistero dell’uomo che vede (al capo opposto dell’aurora del mondo) il proprio destino finale compiersi altrove ed eternamente, ma soffre nell’angoscia che questo sia soltanto un sogno, e crea per dare forma a questo sogno, per farlo presente, storico, scritto, qui e
ora. Qui è presente.


(Fine. La precedente puntata
su “Apulia”, n. III / Settembre 2008)

   
   
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