Dicembre 2008

I MISTERI DELLE OPERE D’ARTE SCOMPARSE

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Tonino Caputo
Enrico Maio
Luisa Ramat

 

 
 

 

 

Odissea a Fano. Ripescato in mare, l'Atleta di Lisippo finì dapprima in un sottoscala, poi fu interrato in un campo di cavoli, passò nelle mani di antiquari di Gubbio e di Milano, per approdare infine al Getty Museum di Malibu.

 

Si è arrivati sul filo di lana, ma si è arrivati. Dei seicento pezzi che la casa d’aste londinese
Bonhams stava per battere, dieci non avrebbero potuto avere alcuna offerta, perché dopo le operazioni di ricerca dei carabinieri, coordinati con l’Interpol, si è stati costretti a ritirarle, nel rispetto delle procedure che vengono applicate quando la provenienzaè messa in dubbio.
La vicenda ha dato luogo anche a un giallo, dal momento che l’operazione britannica di recupero dei pezzi d’arte rubati nel nostro Paese si riteneva riguardasse la celebre collezione Symes, raccolta nella quale sono presenti nove opere trafugate in Italia. Solo
dopo si è appurato che le dieci opere bloccate alla Bonhams (fra le quali spicca un vaso apulo di notevoli dimensioni e di cospicuo valore) non hanno nulla a che fare con l’affaire Symes.
Si tratta di altri reperti, anch’essi di conclamato valore artistico, e dunque di rilevante interesse per l’Italia. Una volta che saranno state concluse le operazioni di verifica e di (eventuale) recupero, conosceremo provenienza, itinerari clandestini seguiti, forse anche personaggi coinvolti negli scavi e nella catena carsica che riguarda i traffici illeciti delle opere d’arte.
Uno dei paradossi del settore, allo stato attuale,è questo: gli scavi abusivi, nel corso degli ultimi anni, sono aumentati, mentre i furti d’arte continuano a diminuire, così come sta calando sensibilmente la quantità di beni trafugati. Si tratta di un bilancio che indica senza dubbio i successi del Nucleo dei carabinieri per la tutela del patrimonio artistico. Gli ultimi dati, riferiti ai primi nove mesi di quest’anno, infatti, confermano che sono tornate in mani lecite opere d’arte per 126 milioni di euro.
Nelle colonne del dare e dell’avere, queste le cifre, alla stessa data: 784 furti denunciati, 13.403 beni culturali trafugati, in calo rispetto all’anno precedente, e 53 nuovi scavi clandestini scoperti. C’è, specularmente, un notevole aumento dei recuperi nel settore archeologico, con sequestri in Italia e all’estero. Complessivamente, i recuperi in questo settore sono stati 48.262. Per la prima volta, tra questi recuperi, il settore della paleontologia (1.187), una leggera crescita dei ritrovamenti di oggetti trafugati dalle chiese
(305) e di sculture (152), mentre sono in evidente flessione i recuperi di beni librari e archivistici.
Della collezione Symes fanno parte ben 17 mila oggetti, tutti di provenienza accertata, vale a dire da scavi illegali, con i quali ha continuato a rifornire il Getty Museum. Robin Symes, dunque, è il depositario di segreti, di gialli archeologici intriganti. Come quello della Venere di Morgantina – che abbiamo citato in un precedente articolo – la statua predata alla Sicilia e finita in California. Caso tuttavia risolto grazie a un compromesso: la statua tornerà nel nostro Paese nel 2010, dal momento che i giudici hanno dato torto agli americani, e il nostro ministero dei Beni Culturali ha fatto la voce grossa, pretendendo la restituzione. È poco probabile, per questo splendido reperto, che gli Stati Uniti possano fare un passo indietro. Questa Venere, del V secolo avanti Cristo, alta più di due metri, attribuita a un discepolo di Fidia, fu ritrovata negli anni Ottanta dalle parti di Enna. A grandi linee, questa la storia: venne ricettata da Renzo Canavesi, un ticinese ottantenne, che successivamente la vendette per 400 mila dollari alla società londinese di Symes, che nell’86 la girò al Getty Museum di Malibu, ricavandone 10 milioni di dollari. Canavesi venne condannato dal tribunale del capoluogo siciliano nel 2001: di qui, la svolta per la restituzione del magnifico reperto all’Italia.

All’interno del Museo del Convento di S. Antonio a Fulgenzio, a Lecce. - Arturo Caprioli
All’interno del Museo del Convento di S. Antonio a Fulgenzio, a Lecce. - Arturo Caprioli


Niente da fare invece, almeno fino a questo momento, per l’Atleta di Lisippo, che il Getty Museum si ostina a negarci. Il bronzo ellenistico si impigliò nel 1964 nella rete di pescatori al largo di Fano: ebbe inizio da qui l’odissea che portò questo preziosissimo reperto dapprima in un sottoscala della città marchigiana, poi nientemeno che in una buca in un campo di cavoli, poi ancora presso un antiquario di Gubbio che la comprò per tre milioni e mezzo di lire. Successivamente, passò in una canonica, e in seguito ancora nelle stanze di un antiquario milanese, in quelle di Heinz Herzer, e, nel 1977, nel Getty Museum, che la acquistò per tre milioni e 890 mila dollari. Il direttore del museo americano, Michael Brand, ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di restituire il Lisippo all’Italia, perché, obietta furbescamente, è ancora in corso il procedimento giudiziario, presso la Procura di Pesaro, al termine del quale dovrà essere stabilito se il reperto sia stato “pescato” in acque italiane oppure in acque internazionali. Ma la Procura pesarese ne ha già chiesto la confisca per contrabbando e per esportazione clandestina.
Due storie, queste, in qualche modo parallele, ma soprattutto note. Invece resta fitto il mistero sul Caravaggio di Palermo, la “Natività” trafugata nel 1969 dall’oratorio di San Lorenzo, che resta l’ossessione di tutti gli investigatori della Penisola. Finita in mano a una cosca mafiosa, (stando almeno a quanto ebbe ad accennare un celebre pentito appartenente al crimine organizzato siciliano, Francesco Marino Mannoia), potrebbe aver fatto una brutta fine: l’ex mafioso parlò di una tela “arrotolata e poi distrutta”, senza tuttavia saper specificare di quale opera si trattasse. Sicché le ipotesi sono due: il Caravaggio è in mani private, in possesso di un qualche personaggio danaroso che si guarda bene dal rivelare il rifugio; oppure è proprio l’opera d’arte di cui ha parlato Mannoia, dunque una tela perduta per sempre. Il mistero resta fittissimo.
Come fitto resta il destino del Bambinello dell’Ara Coeli, che era ricoperto di ex voto d’oro, segni di gratitudine dei romani (ma non solo) per le guarigioni dei bambini. Venne rubato ai francescani capitolini nel febbraio 1994, e non se ne è saputo più nulla. Secondo un’ipotesi degli investigatori, sarebbe finito nella spazzatura, dopo essere stato spogliato delle sue vesti preziose e degli ex voto che vi erano appuntati.
Forse proprio riferendosi alla vicenda del Caravaggio e di Mannoia, Vittorio Sgarbi, alludendo a un «drammatico mercato sommerso che investe milioni di pezzi», ha sostenuto che c’è bisogno «di una stagione nuova in cui saranno i pentiti a parlare». Il ministero dei Beni Culturali – chiarisce lo studioso– deve patrocinare una legge per la rilevazione del sommerso che dia la possibilità alla gente di dire che cosa possiede, anche
opere d’arte di provenienza illecita, «senza per questo essere denunciata o arrestata», ma, al contrario, tutelata. Le opere importanti lo Stato le compera, ribadisce Sgarbi, mentre quelle meno rilevanti le vincola, e quelle meno pregiate le cataloga. Inoltre, viene proposta una «carta di identità per le opere che hanno più di mezzo secolo».

Di ambito veneziano, particolare della
“Vergine del Carmine”, tempera su tela, XV secolo ca. Lecce, Museo Diocesano d’Arte Sacra. - Archivio BPP
Di ambito veneziano, particolare della “Vergine del Carmine”, tempera su tela, XV secolo ca. Lecce, Museo Diocesano d’Arte Sacra. - Archivio BPP


Ce la farà mai lo Stato italiano a realizzare un programma del genere? Pensiamo alla pura e semplice catalogazione delle opere d’arte messapiche esistenti in casa Colosso, in quel di Ugento: un’operazione che ha richiesto tempi lunghissimi. E figuriamoci, con i mezzi finanziari disponibili abitualmente e decurtati oggi per via della crisi che investe l’economia pubblica italiana, quanti secoli occorrerebbero per avviare, eseguire e concludere un progetto come quello – comunque ottimale – proposto da Sgarbi! Più realistica la proposta del ministero: cooperazione internazionale, per il recupero delle opere trafugate, prima di tutto. E maggiori mezzi al Nucleo dei carabinieri specializzati nel settore: «La nostra Arma è un modello per gli altri Paesi ed è in prima linea nella battaglia al traffico illecito anche in campo internazionale». E si rammenta che la Romania sta istituendo un corpo di polizia, predisposto a questa attività, che si ispira ai nostri Carabinieri; esempio, questo romeno, seguito anche dalla Gran Bretagna, dalla Spagna, dalla Russia e dalla Repubblica Ceca. Dalla capitale italiana, dunque, parte un progetto globale contro i traffici illeciti. Una bella soddisfazione per il nostro Paese, spesso accusato di non esercitare alcuna influenza, in quasi nessun campo, oltre i confini nazionali!
Cooperazione internazionale anche negli investimenti. Non più soltanto quattrini tirati fuori dallo Stato. A dare man forte ai progetti degli oltre quattromila musei italiani dovrebbero arrivare anche i finanziamenti dei privati, sia di casa nostra che d’oltreconfine. Si pensa, in particolare, agli americani e agli arabi. Il piano per la creazione di una grande rete italiana
di musei e di siti archeologici dovrebbe partire ai primi mesi del 2009, con investitori pubblici, ma anche con i privati (soprattutto Fondazioni bancarie). Intanto, dopo una visita a undici musei statunitensi, gli esperti dei Beni Culturali stanno mettendo a punto nuovi progetti, finalizzati alla creazione di rapporti che dovrebbero risolversi in una serie di accordi bilaterali. I musei stranieri cercano opere da esporre, ma anche collaborazione
scientifica e know how, tanto che il Louvre ha chiesto aiuto all’Italia per formare, ad esempio, un primo gruppo di restauratori francesi. Tra le alleanze possibili, c’è quella con il museo americano di Atlanta, ma ci sono moltissimi altri musei, ad esempio in Texas, nel Missouri, a Philadelphia, in California, che desiderano avere prestiti, incontri e accordi con l’Italia.

Statua dell’Indovino, dal frontone est del
Tempio di Zeus, ad Olimpia, tra i più mirabili esempi dell’arte scultorea greca. Museo Archeologico di Olimpia.
Statua dell’Indovino, dal frontone est del Tempio di Zeus, ad Olimpia, tra i più mirabili esempi dell’arte scultorea greca. Museo Archeologico di Olimpia.


Fra l’altro, si sta lavorando a un programma di primissimo ordine, grazie al quale Pompei potrebbe beneficiare di un cospicuo investimento: il magnate americano Packard, che nel 2004 aveva versato 12 milioni di euro per interventi di restauro ad Ercolano, potrebbe staccare un altro assegno per la maggiore città campana distrutta dal Vesuvio. La diplomazia dei Beni Culturali è al lavoro. Per i risultati, c’è ottimismo. Che non guasta mai.

   
   
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